La Scozia rende gratuiti i tampax, paga il contribuente. “I maschi che hanno qualcosa da obiettare non devono dimenticare che in Nepal fino a pochissimo tempo fa c’era la pratica millenaria del chhaupadi, la reclusione delle mestruate in capanne isolate in cui non potevano mangiare né bere, ma potevano essere morse dai serpenti”. Quando si toccano o anche solo si sfiorano temi connessi alla relazione tra i sessi, al loro comportamento, alle loro posizioni e ruoli sociali, il “non bisogna dimenticare” è una locuzione, una sentenza che viene sistematicamente enunciata da decenni, in modo assillante, ormai spontanea e irriflessa. Sta sulla bocca delle filosofe come in quella delle liceali (e ovviamente dei lacchè maschipentiti).
È uno strumento di eccezionale potenza. Si tratti di reindirizzare un discorso “deviante” o di contrastare un’osservazione che metta in dubbio, anche solo lontanamente, un dogma della narrazione femminista o ancora di tacitare chi avanza timide obiezioni verso qualche vecchio privilegio e qualche nuova rapina in corso di implementazione ai danni degli uomini, quel richiamo imperioso, perentorio e conclusivo, non manca mai. Quella è la frusta che riconduce l’eretico all’ortodossia, il dubbioso alla fede canonica, l’interlocutore al silenzio: “Non bisogna dimenticare”. Cos’è dunque che non va dimenticato? Non deve essere scordato alcun paragrafo della Grande Narrazione femminista, non deve essere tralasciato alcun particolare di quel racconto che parla del male universale subito dalle femmine in tutti i luoghi, i tempi, i modi e le forme.
Se scompare il passato scompare il debito.
Tutto deve essere ricordato e registrato indelebilmente nella memoria individuale e collettiva. Tutto, ma in particolare “non bisogna dimenticare” l’incendio della fabbrica Cotton, il voto nel ’46, l’entrata in magistratura nel ’63, l’aborto clandestino, lo stupro come reato contro la morale, il delitto d’onore. Il satee indiano, il guajo cinese, il vladh arabo. Il paygap, il body shaming, lo stalking, il mansplaining, il manspreading, il manterrupting, il catcalling, il caretaking non remunerato. Lo jus primae noctis, la cintura di castità. Lo sfruttamento casalingo, la servitù in famiglia, la clausura domestica. L’infibulazione, la clitoridectomia, le molestie, la violenza fisica, corporea, psicologica, morale, emotiva, sessuale, mentale, materiale, economica. Gli stereotipi, i pregiudizi, le discriminazioni, le penalizzazioni, le esclusioni, le forclusioni, le intimidazioni, i ricatti sessuali, affettivi, economici. Il soffitto di cristallo. Gli abusi paterni, gli stupri coniugali, i femminicidi. Lo stigma del mestruo, la sessualizzazione, la donna-oggetto, i costrutti sociali, i ruoli di genere. La strage delle baccanti, il ratto delle sabine, la lapidazione delle adultere, il matrimonio riparatore, il levirato, il sororato. Le smagliature della gravidanza, le lacerazioni del parto, l’imposizione della depilazione, l’induzione allo shopping. L’esclusione dalle facoltà STEM. Il controllo del panopticon maschilista.
Al tempo! Si obietterà che l’incendio della fabbrica Cotton è una balla (smascherata da due femministe…), lo jus primae noctis una fake (ridicolizzata da Barbero), il levirato un’istituzione a favore della stessa vedova! E cos’è questo vladh arabo, in cosa consisteva questa violenza mai udita? Non chiedetelo a me che ne ricerco il significato da anni, vanamente. Ma è davvero importante conoscerne la natura? No. Ciò che importa è che si tratta di un crimine maschile che fa somma con tutti gli altri, veri, verosimili, inverosimili, falsi, inventati, assurdi e con il bene cancellato o stravolto o rovesciato. Tutto serve al medesimo scopo. Perché dunque non si deve dimenticare? L’ossessione sul ricordo obbligatorio, sul “non dimenticare” è davvero sospetta, come se la dimenticanza avesse effetti deleteri, forse catastrofici. Ed è così: se il debitore dimentica il debito, non lo pagherà. Elementare. Il fondamento del debito è una scrittura contabile che registra il passato. Se scompare il passato scompare il debito.
Un passato che non deve passare.
Ora, cos’è la narrazione femminista se non il racconto universale del male planetario patito dalle donne nei millenni (presente incluso)? Per quale scopo è stato costruito se non per trasformarlo in una cambiale da incassare senza fine? Vero è che qui il debito cambia nome e diventa colpa perché viene traslocato sul piano etico e perciò l’obbligato cambia qualificazione e diventa colpevole, con ciò tenuto a pagare non solo sul versante economico, ma soprattutto, e prima, su quello psicologico, comportamentale, morale. Su tutti i piani dell’esistenza. A cosa serve costruire con tanta fatica un passato debitorio se poi il colpevole lo dimentica? Se dimentichi il Nepal, non accetti di pagare i tampax. Persa la memoria del passato e del presente, scomparirebbero colpa, debito e risarcimento. Sarebbe troppo comodo dimenticare, per questo la dimenticanza è tabù e perciò quel ritornello non finisce mai, non deve mai finire perché quel passato, vero ma soprattutto falso che sia, non deve mai passare.