Il DDL Zan non passa al Senato e sotto accusa sono “le destre”, “i traditori”, gli “omotransfobici”. Credo sia profondamente sbagliato scendere sul solito terreno delle tifoserie destra-sinistra, l’analisi deve essere più complessa, multiforme e approfondita. Diversi intellettuali di sinistra, anche femministi, anche omosessuali, anche ex parlamentari e parlamentari in carica, erano da tempo fortemente critici nei confronti di molti aspetti del DDL tra i quali il reato d’opinione e le iniziative nelle scuole. Tuttavia imperversano polemiche sfacciatamente capziose da parte di chi si straccia le vesti – e sono in tanti – a causa del Paese medioevale che si farebbe beffe dei diritti. Gente che non conosce, o finge di non conoscere, le critiche piovute da destra e da sinistra sul testo affossato mercoledì 27 al Senato. Attaccare etichette è una strategia puerile ma anche molto facile e infatti fin troppo diffusa; tuttavia appare ridicolo etichettare con “le destre” tutti i renziani oppure gente come Valeria Valente e Valeria Fedeli, entrambe in organico PD, oppure ancora accusare di omotransfobia gente come il parlamentare Tommaso Cerno e l’ex parlamentare Paola Concia, entrambi dichiaratamente omo.
Le parlamentari PD filosalviniane e gli omosessuali omotransfobici, sembra una barzelletta invece è stato detto davvero. Ma quelle/i evidentemente non contano, hanno solo smarrito la retta via tracciata dal partito? Gli attuali avvelenatissimi contestatori che protestano per l’affossamento rifiutano di vedere l’evidenza: il DDL Zan era un testo «divisivo, malfatto, vecchio e medioevale» (Sen. Cerno), le criticità erano state evidenziate per tempo ma i Dem sono andati dritti per la propria strada verso un inglorioso fallimento. Ancora Cerno «Ho ripetuto in tutte le salse che quel testo aveva molti difetti, che rischiava di istituire un grottesco e sbagliato reato di opinione, che poteva essere migliorato. Invece lo hanno proclamato intoccabile, come se Zan fosse Mosè e il suo ddl fossero le tavole della legge dettate dal dio dei gay». Il Senatore ha inoltre denunciato un autentico boicottaggio nei suoi confronti. «Mi hanno escluso da qualsiasi tavolo sulla questione, nonostante io sia l’unico gay dichiarato di Palazzo Madama, perché contestavo il merito della legge e la linea dem del tutto o niente. Sono arrivati persino a telefonare alle trasmissioni tv che mi invitavano, per dissuaderle. Mercoledì ho chiesto di intervenire in aula e mi è stato detto che era un dibattito solo procedurale e non serviva».
Le molte importanti opposizioni da sinistra.
Non solo Cerno; in tempi non sospetti, ben prima del mercoledì nero di Letta, Zan & Co., anche altri pezzi da novanta del PD hanno dichiarato il proprio scetticismo nei confronti del DDL e la necessità di modificarne il testo per non incorrere in una sonora bocciatura. La Senatrice Valente era da mesi tra le voci dell’area progressista che sostenevano la necessità di un confronto sul testo del ddl Zan, ma lamentava un deficit di discussione nel suo partito: «serve un testo migliore, che superi le ambiguità (…) parte del mondo femminista con buone ragioni vede il rischio di confusioni e passi indietro rispetto a conquiste fatte». La ex ministra Fedeli le fa eco: «sbagliato il ddl Zan, le donne non sono una minoranza (…) la discriminazione delle donne non ha nulla a che vedere con le minoranze come possono essere omosessuali e transessuali, per questo trovo un arretramento inserire nel DDL Zan la discriminazione per sesso e quindi la misoginia». Anche Paola Concia, per anni attivista di spicco del Partito Democratico per le istanze LGBT, ad aprile contestava il Ddl Zan: «legge divisiva e perfettibile. Era meglio inserire le aggravanti ai crimini d’odio già presenti». Affrontava anche un altro aspetto contestatissimo: «non sposo la proposta del Ddl Zan sulle lezioni in classe per la Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia, la scuola ha una sua autonomia». Inoltre sarebbe comico definire Arcilesbica come omotransfobica e simpatizzante delle destre reazionarie, eppure ha assunto da sempre posizioni fortemente critiche nei confronti del DDL: «La presidente di Arcilesbica distrugge il ddl Zan: Da cambiare. Per Cristina Gramolini, presidente nazionale di Arcilesbica, il ddl Zan così come è non va bene perché minaccia i diritti delle donne e crea confusione e problemi».
È nota la contrarietà al DDL dei transfughi dal PD di Italia Viva, ma anche a sinistra del PD fioccano le medesime critiche. Stefano Fassina (LeU) ha puntato il dito contro il controverso concetto di “identità di genere”, ovvero uno dei temi – insieme alle iniziative nelle scuole – su cui c’erano più distanze non solo col centrodestra ma anche all’interno del centrosinistra. Checché ne dica Alessandro Cecchi Paone, anche diversi intellettuali progressisti hanno rilevato le criticità del DDL. Una su tutte la Prof.ssa Lucetta Scaraffia, docente di Storia contemporanea alla Sapienza che definisce molto pericoloso l’articolo 4 del testo: «nell’art. 4 del DDL Zan c’è una clausola sulla punibilità delle opinioni che integrerebbero il concreto pericolo che si compiano discriminazioni o violenze. Decidere cos’è che incita alla violenza e cosa no rimane una prerogativa della magistratura. Questo è molto pericoloso». Il sociologo Luca Ricolfi, in un lungo editoriale sul Messaggero, ricorda la posizione di diverse femministe e di associazioni impegnate per i diritti di donne, omosessuali e transessuali: «Non solo italiane (Udi, Se non ora quando, Radfem, Arcilesbica) ma oltre 300 gruppi in più di 100 Paesi (Women’s human rights compaign). La rappresentante italiana è Marina Terragni, da decenni impegnata in battaglie per i diritti. A queste associazioni non piace che le donne siano trattate come una minoranza: ma soprattutto non piace che il mondo femminile, con i suoi spazi e i suoi diritti, sia arbitrariamente colonizzato da maschi che si autodefiniscono donne, (n.b. – nemmeno Ricolfi riesce ad affrancarsi dalla contrapposizione maschi/donne) come è già capitato ad esempio in ambiti come le carceri e le competizioni sportive; per non parlare dei dubbi sui rischi di indottrinamento e di cambiamenti di sesso precoci dei minori».
Chi ha votato contro il DDL deve per forza odiare.
Il tema dell’identità di genere, insomma, intesa come identità sessuale sulla base dell’autopercezione e della sola manifestazione della volontà soggettiva, sganciata dal dato biologico. Ricolfi cita anche le posizioni di diversi studiosi che sul piano giuridico hanno segnalato rischi potenziali per la libertà di espressione: « Gli studiosi, e specialmente i giuristi, che hanno analizzato l’impianto e ne hanno individuato almeno tre criticità: rischi per la libertà di espressione, difetto di specificità e tassatività dei reati perseguiti con il carcere, conflitto con l’articolo 26 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 (“I genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere d’istruzione da impartire ai loro figli”). Fra i giuristi che hanno sollevato obiezioni, oltre a diversi costituzionalisti, c’è anche Giovanni Maria Flick, ex ministro della Giustizia del Governo Prodi». Tutti fasci reazionari? «Ma forse il caso più interessante di disallineamento con l’integralismo LGBT di Letta e del PD – prosegue il sociologo – è quello dell’estrema sinistra, in Europa e anche in Italia. In una parte della sinistra radicale le battaglie LGBT e più in generale le battaglie sui diritti civili sono guardate con ostilità come “campagne di distrazione di massa” che la sinistra riformista – irrimediabilmente compromessa con il capitalismo e con le logiche del mercato – utilizzerebbero per spostare l’attenzione dal vero problema, ovvero l’arretramento dei diritti sociali. Su questa linea, ad esempio, troviamo filosofi come Jean Claude Michéa e, in Italia, Diego Fusaro. Ma anche uomini politici di sicura fede progressista come Mario Capanna (assolutamente contrario, perché “la legge aggiunge reati, non diritti”), o il sempre comunista Marco Rizzo, forse la voce più severa sui diritti LGBT e sulle celebrities che di quei diritti si servono per autopromuovere se stesse (ma, è il caso di notare, osservazioni del medesimo tenore sono talvolta venute anche da un riformista D.O.C. come Federico Rampini)».
Appare quindi ridicolo, per non dire altro, che il pianto vittimista “ce l’hanno tutti con noi” venga riferito a fascisti, sovranisti, pro-vita pilloniani, cattolici integralisti, trogloditi medioevali e odiatori di ogni genere contrari alla realtà LGBT: in sintesi ,“le destre”. La responsabilità del fallimento è prevalentemente del PD che ha blindato il testo contro i suggerimenti esterni e persino contro quelli interni mentre invece, muovendosi diversamente, avrebbe raggiunto i numeri per l’approvazione anche al Senato. Nonostante tutto, il vittimismo non si placa, è sempre colpa di quelli brutti, sporchi e cattivi. Tale Oscar Nicodemo usa termini forti: «attentato culturale da paese sottosviluppato», affossamento “abominevole”, decisione “raccapricciante”, e la colpa è di chi non vuole mettere al bando l’omotransfobia, negando alla comunità LGBT diritti, dignità e possibilità di essere legalmente tutelata. Come se oggi il nostro impianto normativo sanzionasse chi picchia, insulta, denigra o perseguita in ogni modo qualsiasi persona, tranne gli omosessuali verso i quali diventa lecita la violenza, il bullismo, l’insulto e tutto il resto. Poi Oscar si indigna per «le immagini festanti dei nostri parlamentari omotransfobici». E niente, non ce la fa, chi ha votato contro il DDL deve per forza odiare.
La vera chiave del fallimento del DDL Zan.
Abbracci e grida di esultanza sono comportamenti che in teoria sarebbe bene lasciare fuori dalle aule parlamentari, ma in pratica sono ormai sdoganati da chiunque, Dem compresi. A Montecitorio e Palazzo Madama succede di peggio, Oscar non lo sa? I commessi parlamentari devono intervenire spesso per contenere le intemperanze da stadio, onorevoli e senatori sono perfino arrivati a festeggiare lanciando in aria fette di mortadella, memorabili le performances eclatanti di Sgarbi da una parte e della Cirinnà dall’altra. Continua Nicodemo: «Le destre più o meno fasciste, cattolici integralisti e fanatici di ogni sorta hanno, dunque, avuto la meglio sulla volontà di una maggioranza del paese». Ancora le destre, i fascisti e i fanatici di ogni sorta, ma chi indossa paraocchi ideologici si dimostra incapace di un’analisi oggettiva. Troppo comodo sbraitare contro “il nemico” quando la realtà dei fatti, piaccia o meno, testimonia che il DDL Zan è stato affossato dal fuoco amico. Oscar Nicodemo non è l’unico, sulla stessa linea anche Andrea Russo, presidente SPQR. Non presiede un’associazione di centurioni, SPQR sta per Sardinian People for the Queer Revolution, e dichiara: «Ci siamo visti negare il diritto ad essere tutelati da parte dello Stato, negata una legge che avrebbe tutelato non solo le vittime dell’omofobia, ma anche le donne e le persone con disabilità». Beh, proprio quello è il problema: il maldestro tentativo di tutelare anche le donne è il motivo delle feroci contestazioni da parte di UDI, Arcilesbica, Se Non Ora Quando e parlamentari PD in ordine sparso. Fin qui i dati oggettivi.
Accanto a questi vi è poi un aspetto ideologico, secondo la mia personalissima lettura: il DDL – in particolare il primo articolo su definizione dei generi, autopercezione etc. – avrebbe messo in discussione il pilastro “violenza di genere” sul quale si fonda la Bibbia del femminismo, ovvero la Convenzione di Istanbul. Lo stesso concetto di violenza di genere, convenzionalmente inteso come violenza subita esclusivamente dalle donne, si sarebbe sbriciolato col riconoscimento di un numero imprecisato di generi da tutelare dai quali sarebbe rimasto escluso solo il genere maschile, slatentizzando la discriminazione di fondo sulla quale è costruita la Convenzione di Istanbul e tutto ciò che ne deriva. Ad esempio avrebbero dovuto acquistare una sconosciuta pluralità, oppure avrebbero perso l’autorevolezza di “faro”, organismi internazionali nati per essere monotematici come CEDAW e GREVIO. Anche in casa nostra avrebbero dovuto rimodulare le proprie strategie l’ISTAT, il dipartimento Pari Opportunità e tutti gli assessorati collegati. Intollerabile. Non deve entrare in crisi l’impianto “donne oppresse/maschi oppressori” accuratamente costruito negli anni, i generi devono essere due per poter alimentare il conflitto tra loro. La frammentazione confonde, non giova alla costruzione di un nemico unico dal quale difendersi. Il riconoscimento di molti altri generi (la sigla LGBTQIA+ si arricchisce continuamente di nuovi elementi) farebbe vacillare la divisione del mondo in buoni e cattivi, la contrapposizione squisitamente ideologica tra il genere-vittima ed il genere-carnefice, tra genere prevaricato e genere prevaricatore. Non a caso le contestazioni al DDL non arrivavano solo dalle “destre” medioevali, reazionarie e fasciste, ma da diverse correnti interne proprio al PD e non solo.
Contromisure istituzionali di genere.
La tutela (e i fondi destinati alla tutela) devono rimanere appannaggio delle donne, qualsiasi allargamento farebbe scricchiolare il Vittimificio costruito negli ultimi anni. Sull’esclusione del genere maschile tra quelli meritevoli di tutela: non era scritto espressamente nel DDL Zan ed è ovvio che non lo fosse, sarebbe stato incostituzionale. Ma verrebbe sistematicamente dimenticato, esattamente come oggi accade per ogni norma che formalmente nasce asessuata ma subisce una implacabile applicazione ideologica, quindi unidirezionale. Ogni novella normativa deve prescindere dal genere delle persone tutelate, poi però lo stalking e il codice rosso vengono propagandati, e di fatto applicati nella maggioranza dei casi, da tutte le fonti istituzionali come misure a tutela delle donne. Con effetti concreti, ad esempio sul codice rosso: le denunce femminili esitano in misure cautelari, le denunce maschili vengono archiviate. Non tutte, ovviamente, ma la casistica testimonia questo trend. Teoricamente non dovrebbe accadere, eppure accade. Potremmo analizzare le misure antiviolenza come la rete 1522, la rete dei centri antiviolenza, il gratuito patrocinio per chi si dichiara vittima di violenza e tanto altro ancora: tutte misure che teoricamente dovrebbero garantire uguale tutela a qualsiasi vittima di violenza a prescindere da etnia, religione, orientamento sessuale, stato sociale e ovviamente anche genere, ma è proprio l’appartenenza al genere maschile che, di fatto, impedisce l’accesso alle misure antiviolenza mirate su un dato di fatto: non ha importanza che una persona sia italiana o straniera, ebrea o cattolica, omo o etero, ricca o povera… l’importante è che sia donna. La violenza non è di genere, le uniche ad essere realmente di genere sono le contromisure istituzionali; il rischio concreto a DDL Zan vigente, quindi, sarebbe stato che le contromisure istituzionali dovessero essere allargate a più generi intaccando il monopolio attuale. Che è blindato e tale deve rimanere. La Senatrice Valente sosteneva espressamente che «il mondo femminista con buone ragioni vede il rischio di passi indietro rispetto alle conquiste fatte». E se lo dice lei, bisogna crederle.