La Fionda

Oltre il DDL Zan. Stop omosessualismo, si torni all’omosessualità

È nota la nostra posizione sul defunto DDL Zan, l’abbiamo espressa in moltissimi articoli, tutti reperibili accedendo alla categoria “Teoria queer” del menu in testata del sito. Così com’è noto che ritenevamo il progetto di legge ormai lettera morta già a partire dalla forte presa di posizione del Vaticano, nel giugno scorso. Non ha senso dunque, se non in piccola parte, tornare su motivazioni già espresse: oggi che il tramonto del disegno di legge è cosa ufficiale, ha molto più senso provare a tirare le somme, sotto il profilo politico, culturale e sociale. E dunque è fuori di dubbio che l’impallinamento della legge contro l’omolesbobitransfobia è un sacrifico fatto sull’altare delle incessanti contrattazioni che avvengono tra le fazioni e i partiti presenti in Parlamento. Che si tratti della bocciatura per motivi etici di una normativa giudicata inadeguata è soltanto un pretesto su cui si innestano numerosi possibili altri significati. C’è chi ipotizza che la Lega abbia barattato la morte del DDL con un atteggiamento mansueto nei confronti della riforma pensionistica su cui il Governo sta lavorando; altri ritengono che dietro ci siano delle “prove generali” per l’imminente elezione del prossimo Presidente della Repubblica; altri ancora sostengono che sia stata la moneta con cui il fronte progressista ha “comprato” da Salvini un atteggiamento più mite nei confronti del ministro Lamorgese e della questione immigrazione, o del possibile prolungamento fino a marzo del Green Pass.

Sono tutti scenari verosimili e non alternativi: non è pensabile infatti che Enrico Letta, segretario di un importante partito di maggioranza, sia stato così ingenuo da buttare alla cieca in pasto al Senato un disegno di legge tanto controverso, respingendo rigidamente le modifiche proposte dalla Lega e con il pregresso di una maggioranza risicatissima, senza essersi assicurato una qualche contropartita (quale sia, lo scopriremo nei prossimi giorni). Dunque lo scenario di un DDL divenuto vittima sacrificale o moneta di scambio ci sta tutto. La chiave di volta che ha contribuito all’esito di ieri è stata la procedura del voto segreto, che rende inutile e penosa la discolpa e tutti gli ipocriti piagnistei di chi, da sinistra, ora accusa la destra di inciviltà, di “deriva polacca o ungherese” e, naturalmente, di omofobia. Solo uno sciocco può pensare che, con la copertura del voto segreto, a votare l’affossamento del DDL Zan non siano stati anche i tantissimi cattolici e le tante femministe tradizionali che allignano tra le fila di Italia Viva, del Movimento 5 Stelle e del Partito Democratico. A scavare la fossa alla legge è insomma stata una maggioranza assolutamente trasversale, gli schieramenti destra/sinistra c’entrano davvero poco. Dal lato politico poi non si può fare a meno di registrare come l’esame del DDL Zan abbia monopolizzato buona parte delle discussioni parlamentari in un periodo critico per la vita del nostro paese, dove era piuttosto semplice individuare altre e maggiori priorità rispetto a una legge-bandiera di tipo meramente ideologico, in aggiunta al fatto generale che ha poco senso condurre battaglie sui diritti civili (sempre che il DDL Zan lo fosse, e non lo crediamo), nel momento in cui è più profonda e grave che mai la crisi dei più elementari diritti sociali.

Alessandro Zan
L’On. Alessandro Zan

Il naufragio del DDL Zan: quante prove vi servono ancora?

Ora chi si occupa di queste tematiche discute su quale fattore, al di là dei vari mercimoni parlamentari, abbia contribuito di più all’esito fallimentare del DDL Zan, se la presa di posizione del Vaticano o le pressioni delle femministe tradizionali. Difficile dirlo: per parte nostra riteniamo più probabile che a influire di più sia stato il peso specifico della Chiesa, potenza ben più radicata e influente della fazione tradizionale femminista, che pure ha avuto il suo ruolo (e i suoi meriti) non irrilevante. Molte sono le parlamentari che vi si riconoscono ed è certo che per loro, specie a sinistra, arriverà un redde rationem con la fazione intersezionale (che sosteneva il DDL Zan) il giorno in cui si dovranno decidere le candidature per la prossima legislatura, considerando che, con il taglio dei parlamentari, i “posti al sole” saranno assai pochi. Può essere che amicizie-alleanze di lunga data, come quella tra Valeria Valente (che si è spesa poco e di evidente malavoglia, con frequenti puntate oppositive, per il DDL Zan) e Valeria Fedeli (ieri piangente addirittura per l’affossamento della proposta di legge), si trasformeranno in faide, e da quel punto di vista per noi si tratterà solo di avere abbastanza birra e popocorn per goderci pienamente lo spettacolo. Perché la divisione dell’avversario è sempre una buona notizia, ed è per questo che a suo tempo sostenemmo e incitammo le femministe tradizionali a darci dentro nella demolizione del DDL Zan: in allora la nostra posizione suscitò numerosi mal di pancia tra i nostri lettori e sostenitori (c’è chi ce lo rinfaccia ancora adesso), venimmo accusati di “intelligenza con il nemico”, quando in realtà si trattava di un avvicinamento temporaneo orientato al risultato. Avendolo raggiunto, ieri, le femministe tradizionali tornano da oggi ad essere quello che per noi naturalmente sono, cioè controparti, quando non avversarie.

Il risultato raggiunto è, nei fatti, quello di aver evitato che entrasse nell’ordinamento dello Stato una legge che osava ridefinire l’istituto dell’umano secondo criteri antiscientifici, irreali e antinaturali nella misura in cui erano frutto del parto mentale, non di una pensatrice femminista come la spesso citata Judith Butler (cosa che avrebbe avuto una sua, seppur infima, dignità), bensì di un oscuro attivista LGBT americano, l’inventore della quadripartizione della persona, la cosiddetta “Genderbread person“. Si è anche evitato di andare a sovradisciplinare fattispecie che sono già ampiamente disciplinate, in parte dalla “Legge Mancino”, in parte da leggi già pienamente funzionanti, laddove l’aggravante per futili motivi copre ampiamente l’eventuale delitto commesso per ragioni di omofobia. Si è infine evitato di aggiungere un nuovo partecipante nell’indegno, ambito e redditizio scenario del “Vittimificio Srl”. Sono in tanti i soggetti, e la corrente LGBT era in pole position, desiderosi di vedersi certificati, anche senza prove statistiche, come una nuova categoria di persone “storicamente e attualmente afflitte e discriminate”, di “vittime certificate”, di “minoranze oppresse”, e dunque titolari di diritti altri e ulteriori, con le relative azioni risarcitorie in termini di denaro pubblico e discriminazioni “positive” nei confronti del resto del mondo. Sotto questo profilo, la palma rimane strettamente in mano alla figura della “donna”, cui l’attribuzione di “vittima” resta riservata ed esclusiva grazie al martellante battage ideologico femminista. Ed è in questo senso che la comunità maschile omosessuale e transessuale, dopo questo ennesimo fallimento, dovrebbe a nostro avviso cominciare a interrogarsi sulla natura e l’utilità pratica della loro militanza nel fronte LGBT, magari riflettendo se per caso prima di eventuali discriminazioni dal lato dell’orientamento sessuale, non ci siano fenomeni di discriminazione di tipo sessista. Dal lato nostro verrebbe da chiedere loro: quante prove ancora vi servono del fatto che l’alleanza con il femminismo (intersezionale) non paga, anzi è dannosa?

propaganda LGBT

Le nostre porte saranno sempre spalancate.

Perché, e questo è forse il punto più importante per noi in questa nostra riflessione di chiusura sul percorso del DDL Zan, l’omosessualità è un fenomeno tanto importante quanto irrilevante. È importante dal lato individuale, perché traccia i confini, ad un tempo biografici e simbolici, dell’intimità di moltissime persone, andando a definirne cruciali aspetti identitari ed emozionali di differenziazione. E la differenza è sempre ricchezza, per sua stessa natura. L’orientamento sessuale è indubbiamente uno dei tanti aspetti che plasmano e caratterizzano un individuo, andando a collocarsi in sovrapposizione a quelle che in neuroscienze vengono definite “strutture primarie”, con il risultato di generare un caleidoscopio pressoché infinito di occasioni di umanità profonda, talmente originale da non poter che avere effetti di attrazione ed empatia. Il tutto nel quadro dello scontatissimo rispetto e delle tutele che si devono a tutte le persone, a prescindere da ogni criterio citato dall’articolo 3 della nostra Costituzione e forse anche di altri. Se non che quelle “strutture primarie” contano e tra di esse c’è l’appartenenza di genere: in questo senso riterremmo opportuno che i tanti uomini che oggi affidano l’affermazione della propria esistenza e dignità ai movimenti LGBT iniziassero a riflettere se forse non sarebbe più proficuo e coerente coagularsi attorno al principio dell’appartenenza di genere che non a quello dell’orientamento sessuale.

Che è tanto cruciale dal lato individuale ed intimo quanto irrilevante dal lato “pubblico”. Risale agli anni ’90, epoca in cui l’omosessualità aveva raggiunto (per lo meno in Occidente) una piena e sacrosanta legittimazione sociale, culturale e politica, la politicizzazione dell’orientamento sessuale. In quell’epoca i movimenti per i diritti dei gay, ormai sulla strada di una graduale e scomoda irrilevanza, hanno optato per la politicizzazione spinta, ossia hanno ritenuto utile, per riprendere vita, trasformare la normale diversità del Dr. Jeckill, cioè l’omosessualità, nel mostruoso e incontrollabile Mr. Hyde, ovvero in omosessualismo militante. Presto risucchiato e divorato (e con ciò sterilizzato) dal ben più potente femminismo intersezionale: basti pensare che originariamente la sigla di riferimento era GLBT, con la parte gay messa per prima, poi cambiata, su pressione della fazione lesbica, in LGBT. Un aspetto meramente simbolico ma emblematico, che è parte del processo che ha portato agli esiti visti ieri: le istanze incarnate dal femminismo prevalgono su tutto. La nostra domanda oggi resta dunque quella di sempre, ed è rivolta a chiunque appartenga in termini fisiologici al genere maschile e abbia come (irrilevante in quanto intimo) orientamento sessuale quello omosessuale: non è forse il caso di fare un paio di passi indietro, abbastanza da uscire dal campo di influenza dell’omosessualismo, e raggiungere il ben più tutelante e coerente fronte maschile antisessista (e dunque antifemminista)? Come già accaduto con altri illuminati, a partire dal nostro autore Domenico Schiafalà, le nostre porte saranno sempre spalancate.



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