Raccontavamo qualche giorno fa del cortocircuito tra il tragico e il comico innescato dal Ministro Bonetti con il suo commento su Virginia Raggi, sindaco donna, dunque un’eccellenza per le fanatiche delle quote rosa, improvvisamente diventata “incapace” nel momento in cui c’è la necessità di spendersi per un candidato uomo (Gualtieri a Roma) amicissimo delle femministe. Un segnale ulteriore, come se ce ne fosse stato bisogno, che il femminismo è (anche) uno strumento di settarismo politico, laddove distingue le donne “buone”, quelle di una certa parte politica, da quelle “cattive”, ovvero le avversarie. Giorgia Meloni, unico segretario di partito donna in Italia, può raccontare bene questo tipo di strabismo incoerente del femminismo nazionale. Alla fine del suo sbandamento, la Bonetti aggiusta la rotta approdando nel porto più sicuro, nonché l’unico esistente: il merito. Dopo aver girato la frittata cinque o sei volte, in un suo post Facebook conclude laconicamente: «la differenza la fa la qualità, non il genere». Eureka! Sostenitrice onoraria de “La Fionda” allora! La smettiamo completamente con le chiacchiere sulla quote allora!
Niente affatto, quel tipo di corbellerie continueranno con il settarismo di sempre, per cui sì, servono posti riservati alle donne per compensare lo strapotere maschile, storico e attuale, ma solo per certe donne sceltissime e ortodosse rispetto a una specifica parte politica. Le altre sono donne di serie B o C, quindi niente. E nel mare magnum di queste ipocrisie si staglia una figura di donna davvero meritevole. Una che, senza correre sotto i riflettori o passare l’esistenza a farsi selfie per i canali social, punta il bersaglio, lavora a testa bassa e con competenza, e alla fine colpisce. Il riferimento è a Valentina Salvi, magistrato, Pubblico Ministero di Reggio Emilia incaricato di sostenere le accuse contro il “sistema Bibbiano”, rappresentato nel procedimento conseguente all’indagine “Angeli e Demoni” da alcuni personaggi noti alle cronache di un paio di anni fa e poi scomparsi. Sì, i vari Foti, Anghinolfi, Bolognini, Monopoli e altri per i quali, a distanza di molto tempo, complici i rallentamenti dovuti alla pandemia, i nodi cominciano a venire al pettine. Qualcuno di quella schiera ha già pagato, si tratta di Cinzia Magnarelli, assistente sociale dell’Unione Val D’Enza, rea confessa, condannata a un anno e otto mesi per falso ideologico e frode processuale. Confezionava relazioni false per togliere i bambini alle famiglie e darli in affido, il tutto sotto le pressioni pesanti e continue dei superiori.
Di Bibbiano non si può più parlare.
Valentina Salvi ha messo in cassaforte questa prima condanna, non importante in termini di pena ma cruciale per il suo carattere: viene da una rea confessa, una persona che ha ammesso l’esistenza di una catena di comando orientata alla frode del sistema degli affidi. Affari economici e operazioni ideologiche sulla pelle di famiglie e bambini, insomma. Magnarelli era uno degli ultimi ingranaggi e ora il processo di Bibbiano promette di risalire ai vertici del sistema. Qualche giorno fa Valentina Salvi ha pronunciato la sua requisitoria in tribunale: sette ore in cui è stata ripercorsa la vicenda vergognosa degli affidi illeciti. Una vicenda sparita da tempo dai media e non stupisce che, in un momento pre-elettorale, la richiesta di condanna per Claudio Foti a sei anni di reclusione sia passata pressoché sotto silenzio. Sei anni sembrano pochi a chi ha seguito con profondità l’indagine “Angeli e demoni”, ma è l’effetto del rito abbreviato chiesto da Foti, sotto accusa per abuso d’ufficio, frode processuale e lesioni gravissime, e dai suoi legali. La sentenza di primo grado è prevista per l’11 novembre e coinvolgerà anche altre figure coinvolte nella vicenda, ad esempio Beatrice Benati, assistente sociale dell’Unione Val D’Enza, accusata di violenza privata e tentata violenza privata. Le sentenze dell’11 novembre però non chiuderanno la questione: proseguiranno i procedimenti, non con rito abbreviato, per altri personaggi-chiave della vicenda, tra i 23 rinviati a giudizio, ad esempio i già citati Anghinolfi e Monopoli.
Non è improbabile che per costoro le sentenze già emesse, quella per la Magnarelli e quelle dell’11 novembre, andranno a pesare, se si tratterà di ulteriori condanne, rappresenteranno un precedente grave, specie se a gestire il fascicolo rimarrà il PM Salvi. I girotondi nelle assegnazioni degli uffici ai magistrati sono frequenti ed è certo che una ricollocazione della rocciosa PM di Reggio Emilia indebolirebbe fortemente la linea dell’accusa. Che ad oggi è stata gestita con una professionalità raramente riscontrabile in quel settore sempre più incerto e in molti casi marcescente (vedasi la vicenda Palamara) che è la magistratura. Valentina Salvi ha lavorato duramente, marciando dritta per la sua strada nonostante le poderosissime pressioni interne ed esterne a cui è stata sottoposta. Sulla vicenda di “Bibbiano” si sono concentrate le attenzioni congiunte dei media e della politica, che poi hanno operato attivamente per far dimenticare tutto. Per la sinistra è una vera spina nel fianco, gli sforzi per ridimensionarla sono stati immensi, con un coinvolgimento attivo dell’informazione mainstream; la destra, dal canto suo, deve avere, su questa tematica, stipulato un accordo di non-belligeranza o forse, più banalmente, ha smesso di parlarne perché “non tira più”, anzi “parlare di Bibbiano” è inspiegabilmente diventato sinonimo di analfabetismo funzionale da webete.
“Quote rosa”, purché non contro gli amici.
Proprio perché vige questo ostracismo forzato, noi continuiamo e continueremo a parlarne. Siamo consci di quello che c’è in ballo, ovvero la scoperta, ora ridotta a sussurro carbonaro, che quello della Val D’Enza era ed è un sistema, come tale replicato ovunque in Italia, in particolar modo dove i cordoni della borsa amministrativa locale sono in mano a una parte politica specifica. Un sistema sostenuto da una corrente di pensiero, quella dell’abusologia verificazionista, che non ha alcuna autorevolezza scientifica, eppure, grazie all’aggancio agli interessi connessi ai miliardi che circolano attorno alla partita degli affidi, va per la maggiore, nelle prassi come nei tribunali. È contro questo gigante che il PM Valentina Salvi si sta scontrando, è questa rete tossica che sta portando alla sbarra. Silenziosamente, operosamente, con determinazione e dedizione. Altri avrebbero trasferito la pratica a qualche collega più malleabile o si sarebbero fatti piegare dalle poderose pressioni interne alla magistratura, mediatiche e politiche. Valentina Salvi non pare essere quel tipo di persona e di professionista. Il suo agire suggerisce un’idea solidissima non solo di giustizia, ma anche e soprattutto di deontologia. Ecco: se ci fosse la certezza assoluta che con le quote rosa a essere privilegiate sarebbero donne come lei, potremmo dirci assolutamente a favore, perché significherebbe favorire persone che non hanno paura di affrontare sfide enormi e poteri superiori, non di rado spietati. Peccato che le quote rosa siano tutt’altro, ed è un bene che finalmente pure la Bonetti l’abbia capito. Ci auguriamo che le sentenze sulla vicenda “Bibbiano”, sebbene coinvolgano i suoi amici nella politica, la rafforzino in questa sua nuova opinione.