La Fionda

Magistratura da incubo: una storia vera a puntate (11)

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A margine della storia si sviluppano i corollari che intendono dipingere il ricorrente/denunciante come una persona sleale. Così, pur di raggiungere lo scopo, viene fatto il tentativo di strumentalizzare anche la sorella. Per buona sorte dell’uomo, anche se provata dalla vicenda che da luglio 2020 le ha tolto grande parte della residua lucidità, la congiunta non ha sottoscritto alcuna denuncia. E’ questo uno degli aspetti che caratterizzano  l’amministrazione della Giustizia: c’è più spazio di ieri per impiegare cinicamente una persona malata contro qualcuno che dà fastidio. In attesa che maturino altri eventi, prima di tornare al tema, ci concediamo una disgressione. Se la memoria non ci tradisce, l’ultima volta che abbiamo affidato al Web delle riflessioni sul “tema giustizia” è stato qui: https://antoniobertinelli.com/2020/07/20/vecchi-pensieri-114/. Attualmente il panorama nazionale è ancora più deteriorato rispetto ad allora. Fulgidi esempi di magistrati come quelli che abbiamo avuto il piacere di conoscere nel passato non sembrano poi così facili da incontrare ai nostri giorni. Tralasciando le tante sgradevoli esperienze altrui, è sufficiente ripercorrere le nostre personali degli ultimi anni per redigere un bilancio sconfortante. Per carità di Patria, non riportiamo scampoli di altre vicende ben più gravi e, prima di riprendere il filo della nostra narrazione, ci limitiamo a riferire l’episodio più banale che ci ha riguardato direttamente. Illo tempore denunciato più per saggiare gli effetti dei proclami fatti sulla Giustizia a cura del Governo, da poco insediatosi, che per altre ragioni. Si riferisce ad una sanzione regolarmente pagata ed il cui silenzioso epilogo ha il sapore della beffa.

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                                                            Alla Procura della Repubblica

Oggetto: ho versato soldi non dovuti dietro intimidazione

Io sottoscritto xxxx

Il 17 agosto 2013 ho pagato on line una sanzione comminatami dal Comune di Roma, ricevuta per posta raccomandata il 23 luglio 2013. Questa mia tempestiva regolarizzazione (conforme alla richiesta del debitore) non mi ha evitato di finire in una triangolazione di soggetti “aventi titolo” a pretendere pagamenti sia debiti che indebiti, dalla quale non sono più riuscito ad uscire. Copia del versamento postale da me effettuato è in allegato a questo esposto.

Il 26 febbraio 2016 ho ricevuto una raccomandata di Equitalia contenente la cartella esattoriale n. 09720150188800800 per l’asserito mancato pagamento della sanzione di cui sopra. Sostenendo, Equitalia, che non era tenuta a valutare la congruità della richiesta dell’ente locale in quanto solo mandataria, mi ha invitato formalmente a reclamare presso l’ente mandante.

Il 29 febbraio 2016 ho inviato all’ U.O. contravvenzioni di Roma Capitale una raccomandata R.R. con la “richiesta di discarico”, corredata di copia della ricevuta di pagamento della sanzione sopracitata.

Non ho mai ricevuto riscontro da parte dell’ufficio preposto al “discarico”.

Il 6 novembre 2016, dopo aver trovato nella cassetta postale una lettera di posta ordinaria con la quale Equitalia è tornata a ripetere richieste analoghe a quelle da me già contestate, ho reclamato dettagliatamente sul sito della stessa società.

Il 7 novembre 2016, fornendo tutti gli elementi necessari, ho chiesto sul sito di Equitalia, con l’apposito modulo, la “sospensione legale della riscossione”, così come era previsto dalla stessa società per situazioni simili alla mia.

Il 9 febbraio 2019, per la vicenda che ritenevo ormai positivamente e definitivamente conclusa, ho ricevuto un’intimazione (in allegato) da parte di un nuovo soggetto: Agenzia delle Entrate – riscossione.

La suddetta Agenzia esige che io versi quanto previsto dalla cartella esattoriale correttamente sospesa per le ragioni esposte da Equitalia e mi minaccia di trascrivere il “fermo amministrativo” su uno dei mezzi a me intestati: per l’esattezza quello acquistato da ultimo, nel settembre del 2018.

Il nuovo gabelliere non prevede la presentazione di una ricevuta liberatoria presso una qualche sede esattoriale. Per difendersi da questo genere di vessazioni è obbligatorio rivolgersi all’autorità giudiziaria. Fatti i dovuti conti conviene arrendersi e pagare l’indebito per evitare altri danni, esborsi, perdite di tempo e disagi più rilevanti.

Per tale ragione ho deciso di soggiacere a quella che ritengo una richiesta estorsiva ed il 2/3/2019 ho pagato 298,10 euro, una somma assolutamente non dovuta.

giudice

Tornando alla storia che ha travolto il nostro protagonista ed al corollario che ha coinvolto la sorella, vanno fatte alcune precisazioni. Quando la donna ha conosciuto la diagnosi neurologica riguardante il suo destino, avendo anche un figlio diventato da poco seriamente handicappato per un tumore, ha deciso di affidare il suo futuro e quello del giovane al fratello. Lo ha fatto in scienza e coscienza, fin nei minimi particolari. Persona colta, già dirigente in un’azienda pubblica, sapeva quali ostacoli avrebbe potuto incontrare il fratello e gli ha facilitato il percorso con una procura generale, dove, tra l’altro, ha lasciato all’uomo anche il potere d’intentare, se necessario, azioni giudiziarie. Il documento in buona sostanza accorda al fratello poteri illimitati. La donna, con decreto ex art. 445 bis, 5° co., c.p.c. ha avuto l’omologa del requisito sanitario pertinente alla sua condizione il 21 agosto 2020. Non è stato sufficiente quello dichiarato, documentato dal fratello sulle sue condizioni di salute e sembra neanche quanto asseverato dal Tribunale. C’è chi, cela va sans dire, nel preminente interesse della donna, ha tentato di arruolarla come parte lesa delle azioni lecite del fratello (a salvaguardia di alcuni averi rimasti ancora nelle sue disponibilità). Il perseguito è la persona che lei stessa, in nitida consapevolezza, ha scelto alcuni anni fa come suo esclusivo fiduciario. Sembra un’aberrazione giurisdizionale, eppure è accaduto. L’archiviazione come quella richiesta dal P.M. è meno che un atto dovuto.

Il ricorrente/denunciante ha deciso di scrivere alla sorella: “Cara xxx, se è stato ritrovato in casa il libretto dove viene accreditata la pensione di nostra madre, bisogna fare un piccolo versamento o un piccolo prelievo sul libretto all’ufficio postale. Lo puoi fare tu o, se vuoi, lo posso fare io. Solo in questa maniera si sblocca il postamat e la vecchia può riprendere la pensione allo sportello automatico vicino casa. I “benefattori”, ai quali nostra madre si è affidata da giugno scorso, non vogliono che lei ricominci a prendere la pensione perché hanno in programma di mettere le mani sui tuoi liquidi, cioè su quelli che io conservo per te. Vogliono costringermi a prelevare i tuoi soldi per portarli a lei (me lo hanno chiesto più volte) e pensano di riuscirci in questa maniera. E’ da marzo che la pensione di nostra madre viene accreditata sul libretto e nessuno la ritira. Ricorderai che ho provveduto personalmente alle sue necessità fino a tutto giugno. Non intendo nel modo più assoluto usare le tue disponibilità economiche per altre ragioni se non quelle collegate ai tuoi bisogni presenti e futuri. Non intendo versare i tuoi soldi nelle mani altrui. Telefonami per darmi una risposta. 3/12/2020 xxx”

anziana

L’uomo ha deciso di ricorrere a questo escamotage perché è finito in un cul de sac. A molti mesi dalla sua scomparsa deve contare sul possibile rinvenimento del libretto postale in casa delle due disabili e sulla rimasta capacità della sorella di capire le pressanti necessità del momento. A giugno scorso, alla luce dei sempre più frequenti trinceramenti della vecchia nell’abitazione, il ricorso alla Magistratura fu l’unico passo (legale) praticabile. Il ricorrente era talmente nel dubbio che le due donne conviventi fossero da qualche tempo circuite che nell’istanza al G.T. fece espressa richiesta del conferimento del potere di querela per meglio tutelare la madre. A tutt’oggi i fatti dimostrano che le defaillances dell’anziana donna sono state usate come cavallo di Troia, calunniando il figlio, per tentare di mettere sotto controllo (giudiziario?) le disponibilità economiche della figlia. Onore al merito per questa sfortunata donna che con grande intuito e lungimiranza ha dettagliatamente nominato il fratello suo procuratore generale. Se domani avrà necessità di altre cure (molto probabili), ci saranno ancora un po’ di soldi da impiegare all’uopo. Con il ricorso ai suoi presunti “benefattori” l’anziana donna invece ha perduto una quantità imprecisata di beni (regalati, venduti, svenduti?), ha perduto la riscossione mensile della pensione e la quotidiana presenza in casa del figlio che si occupava di lei e di tutti i suoi problemi dal marzo dell’anno 2006. Qualcuno, molto diligentemente, ha pure provato ad imputare al figlio (in pratica messo alla porta dai nuovi tutori della vecchia) la violazione dell’art. 591 c.p. (abbandono d’incapace). E’ il mito di Antigone che, dalla tragedia di Sofocle, si trasferisce ancora oggi nell’attività giurisdizionale. Il contrasto tra leggi e potere può farsi insanabile.

Per garantire che l’azione dei tribunali non fosse un mero esercizio di tracotanza, i Padri Costituenti hanno previsto rigide garanzie per l’esercizio della funzione giurisdizionale, assicurando che il magistrato sia soggetto soltanto alla legge (art. 101) e che la Magistratura costituisca un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere (art. 104) con governo autonomo (artt. 104 e 105), prevedendo che i singoli magistrati siano inamovibili, distinti solo per diversità di funzioni (art. 107) e limitando le prerogative del Ministro della Giustizia all’organizzazione ed al funzionamento dei servizi relativi alla Giustizia (art. 110). Tali prerogative sussistono nell’interesse non dei singoli magistrati, né della Magistratura intesa come corporazione, ma del Popolo Italiano, in nome del quale è resa giustizia con l’esercizio imparziale e sollecito della giurisdizione (art. 111), assicurando che venga rispettato il principio dell’eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge (art. 3). L’art. 1 del d.lgs. n. 109/2006 enumera i doveri del magistrato nell’esercizio delle sue funzioni, individuandoli in quelli di imparzialità, correttezza, diligenza, riserbo, equilibrio e rispetto della dignità della persona. Detti parametri normativi, nel profilare la postura professionale del magistrato, fungono anche quali denotazioni connotative per l’eventuale integrazione di uno degli illeciti disciplinari previsti dall’art. 2 del citato decreto. Le disposizioni sono messe a presidio del confine oltre il quale l’esercizio della giurisdizione non è più al riparo da possibili interventi sanzionatori del giudice disciplinare. Oltrepassati questi paletti, il magistrato non può difendersi dietro il paravento dei principi di autonomia e indipendenza. Gli illeciti disciplinari del magistrato nell’esercizio delle funzioni, tipizzati dal legislatore nella riforma del 2006, sono stati successivamente più volte integrati e modificati. Il CSM è posto a presidio della trasparenza dell’attività dei magistrati. L’epilogo della recente vicenda riguardante il presidente dell’ANM ha consentito al “defenestrato” di dire in TV che lui ha pagato per tutti in quanto il sistema di cooptazione era quello da sempre. Non si è dichiarato “innocente”, ma le sue dichiarazioni successive al verdetto appaiono credibili, come la paludata chiamata di correità. Da sottolineare che il “cacciato”, secondo le accuse, aveva dimostrato interesse alla nomina del nuovo procuratore capo di Perugia, ovvero nel distretto di Corte d’Appello competente per le indagini sui possibili reati commessi dai magistrati del distretto di Corte d’Appello di Roma, così come è stabilito dalla legge n.420/1998. Sic transit gloria mundi. Non ci è dato di conoscere gli esiti dei procedimenti penali avviati sui magistrati al di fuori del distretto giudiziario di rispettiva appartenenza. Possiamo invece riportare quello che scriveva “Il Giornale” il 29 gennaio 2018: “Una pioggia di denunce contro i magistrati, ma sono sempre assolti. Più di mille esposti all’anno dai cittadini. Le toghe si auto-graziano: archiviati 9 casi su 10”.



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