L’importante è decidere di assolvere qualcuno, poi il motivo si trova. Analisi critica di una sentenza di Cassazione che annulla la condanna ad una donna per il reato di sottrazione di minore, in quanto portare i figli all’estero non è un reato ma una delle tante divergenze tra genitori in caso di separazione. «Per i giudici della prima Corte di Cassazione la questione va affrontata non come sottrazione internazionale di minore, ma semplice controversia sull’affidamento». Al tempo. Primo: una controversia sull’affidamento non è mai “semplice”. Secondo: allora le sottrazioni di minore, nazionali ed internazionali, non esistono, nascono tutte da controversie sull’affidamento dei figli. Definire “semplice” una controversia sull’affidamento ci fa comprendere quanto siano sottovalutate dalla magistratura le questioni relative a separazioni, divorzi e affido minori. È sufficiente fregarsene dei Codici, delle riforme normative e delle convenzioni internazionali, buttare alle ortiche i diritti dei minori, restaurare la figura del genitore prevalente, dire che gli spettano casa, soldi e figli e l’altro deve arrangiarsi, dire che il genitore prevalente può andare dove vuole e i figli lo seguiranno perché sono “roba sua”, insomma basta restare ancorati agli standard del secolo scorso. Semplice, no?
Il caso di specie parla di una separazione tra un padre italiano e una madre franco-israeliana, hanno un figlio che nasce a Gerusalemme ma la famiglia si stabilisce in Italia ed è in Italia che il bambino cresce. Poi arriva la separazione, è il padre a chiederla; il Tribunale di Roma dispone nel marzo 2017 il divieto di espatrio della minore e l’affidamento della piccola a entrambi i genitori. Nel tempo intercorso tra la l’istanza e la sentenza la madre fugge dall’Italia e vola in Israele con la figlia, per cui i giudici ordinano il rientro in Italia e stabiliscono tempi e modalità degli incontri padre-figlia. Ecco il primo interrogativo: perché lasciare alla madre la custodia prevalente regolando le frequentazioni padre-figlia e non il contrario, visto che è la madre ad essersi appropriata illecitamente della bambina? Inoltre la violazione del dispositivo giuridico (388 CP) non è un elemento trascurabile delle attitudini genitoriali, perché indica l’incapacità di gestire il figlio nell’ambito delle regole. Non conosciamo gli atti integrali ma soprattutto non possiamo entrare nella mente dei magistrati, tuttavia potrebbe trattarsi di una misura scevra da sanzioni per favorire il rientro in Italia, ignorando di fatto il contrastatissimo art. 574 bis CP che prevede la revoca della responsabilità genitoriale per chi sottrae i figli.
I giudizi morali come pretesto.
Si va in Appello, e di nuovo la Corte riconosce la «residenza abituale della minore in Italia, precisamente a Roma», prima che la donna si trasferisse in Israele «sottraendosi al giudice italiano e portando via la figlia al padre». Non solo. La corte d’Appello non dubita delle capacità genitoriali del padre, gli riconosce un «pieno coinvolgimento nella vita della figlia», ritiene invece «censurabile il comportamento della madre che, a fronte di un progetto di vita per sé e la figlia, anziché ricorrere all’autorità giudiziaria per ottenere l’autorizzazione a trasferirsi con la minore in altro Paese spiegando le ragioni legate all’interesse della minore, decideva di allontanarsi insieme alla bambina, trasferendosi in Israele e così sottraendo la minore al suo contesto di vita e al padre», nonostante un ordine di non allontanamento. Una madre che “si è ‘fatta giustizia da sola” non ottemperando al provvedimento che disponeva il divieto di espatrio e che è «convinta che per cancellare ad una figlia il padre sia sufficiente trasferirla nottetempo in un altro Stato costruendole una diversa identità familiare». La Corte d’Appello sottolinea quindi che la madre avrebbe potuto e dovuto presentare istanza di trasferimento della figlia all’estero, lasciando ai giudici la valutazione di quale fosse nel caso specifico il best interest of child.
Perché perdere tempo nelle lungaggini giudiziarie, col rischio magari di vedere rigettato il consenso all’espatrio? Meglio scappare fregandosene di ciò che prevede la legge, tanto decide lei quale sia il best interest of child e poi in Italia le madri possono violare tutto il violabile ma alla fine la fanno franca. Tuttavia il comportamento illecito della signora in questa occasione viene pesantemente biasimato dalla Corte d’Appello. Caso risolto? Niente affatto, irrompe a gamba tesa la Cassazione. Per la Suprema Corte i giudici di secondo grado avrebbero dovuto decidere nell’interesse della minore, mentre «le considerazioni espresse nel decreto non riescono ad occultare la sussistenza di un giudizio morale», nei confronti della donna che si è rifatta una vita e ha avuto altre due figlie dall’attuale marito. Si contestano le «divagazioni di stampo talora moraleggiante da parte dei giudici». Siamo al paradosso. Ancora non abbiamo il testo integrale della sentenza ma, in attesa di procurarcelo, sembra di leggere neanche tanto tra le righe il proposito dei Giudici di Cassazione di spostare l’attenzione dai diritti della minore all’orgoglio ferito dell’adulto: imputano ai giudici di secondo grado di non aver deciso nell’interesse della minore ma allo stesso tempo motivano tale presunta carenza col giudizio morale sulla madre.
L’amputazione della vita dei figli.
La signora si è rifatta una vita e ha concepito altre due figlie con l’attuale marito, ma non è questo l’oggetto della lite giudiziaria. La signora ha sottratto illecitamente la figlia al padre, si o no? È scappata dall’Italia nonostante il divieto di espatrio, si o no? Ha impedito alla figlia di conservare rapporti equilibrati e continuativi col padre, si o no? Ha violato un provvedimento preso da un Tribunale italiano, si o no? Tali comportamenti costituiscono violazioni dei diritti dei minori, si o no? E soprattutto, tali comportamenti costituiscono violazioni del nostro ordinamento, si o no? A queste domande deve rispondere un tribunale; poi che la signora negli anni successivi abbia avuto altre due figlie, o tre, o quattro non ha importanza, come non ha importanza se abbia concepito le bambine con un marito, un convivente o un partner occasionale. La rilevanza giuridica delle condotte illecite prescinde da qualsiasi giudizio morale sui comportamenti successivi all’illecito stesso. Fatti, non opinioni: matrimonio e gravidanze in Israele sono sopraggiunti negli anni successivi rispetto agli eventi delittuosi in merito ai quali i Tribunali di primo e secondo grado sono stati chiamati a giudicare. Il grimaldello: la maternal preference.
Citando diverse sentenze della Cassazione, i giudici di legittimità rilevano che si tratta di un caso non di sottrazione internazionale di minore – come fanno sia il Tribunale Ordinario che la Corte d’Appello -, ma di «controversia concernente l’individuazione del miglior genitore collocatario, individuazione da effettuarsi nell’interesse esclusivo della minore, anche a costo che ciò incida negativamente sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non collocatario». È una frase che conosciamo fin troppo bene, estratta dalla sentenza di Cassazione n° 18087 del 14/09/2016, che a sua volta ripete identica frase contenuta nella sentenza 9633 del 15 maggio 2015. Tra i nostri magistrati la consuetudine del copia-e-incolla è molto apprezzata. Due slides utilizzate nei seminari di studio Centro Studi Applicati per una analisi critica delle strategie di aggiramento dell’affido condiviso. La vicenda del 2015 è relativa ad una madre trasferitasi con la prole dalla Calabria alla Puglia, quella del 2018 dall’Abruzzo al Friuli. Trasferimenti che di fatto non si limitano ad incidere negativamente sulla quotidianità dei rapporti padre-figli, ma li amputano del tutto con un colpo di mannaia brutale, violento e irrispettoso dei diritti dei figli.
Prepotenza e giustizia fa-da-te per la Cassazione sono legali.
Appaiono difficilmente sostenibili, per non dire altro, entrambe le motivazioni poste a sostegno dell’autorizzazione a trasferire la prole da Rossano a Lecce o da Vasto a Gorizia. Ipocrita il riferimento alla quotidianità dei rapporti, cancellata del tutto; altrettanto ipocrita il riferimento al fatto che i figli, in ragione della particolare duttilità e capacità di adattamento, si sarebbero presto ambientati a centinaia di chilometri da dove sono nati e hanno sempre vissuto. Un’acrobazia logica con triplo avvitamento, motivo d’invidia per qualsiasi tuffatore olimpico. Giova ricordare che l’assegnazione della casa coniugale segue sempre il genitore collocatario della prole poiché è inammissibile strappare (scrivono proprio così, strappare) i minori dal proprio contesto abituale; sarebbe inconcepibile farli vivere in un appartamento a 300 metri da quello precedente, il genitore collocatario vuole la casa coniugale in assegnazione e la ottiene. Sempre. Poi però se lo stesso genitore cambia idea e vuole trasferirsi in un’altra città o in un’altra regione, può farlo perché i figli diventano improvvisamente duttili, dicono gli Ermellini. Pur di assecondare le esigenze (o i capricci?) del genitore prevalente la Cassazione si arrampica sugli specchi per assoggettarsi al pregiudizio della maternal preference senza ammettere di assoggettarsi al pregiudizio della maternal preference. Si tira in ballo l’esclusivo interesse dei minori: i figli hanno il sacrosanto diritto a restare nella ex casa coniugale, sarebbe traumatizzante imporre loro di adattarsi ad un’altra sistemazione. Quando è ciò che vuole il genitore prevalente.
Quando invece il genitore prevalente preferisce spostarsi, cambia tutto: non è più traumatizzante “strappare” i figli dalla casa in cui sono cresciuti, tanto sono diventati duttili e si adattano in fretta a ciò che il genitore plenipotenziario ha deciso essere il best interest per loro. Amen. Tornando al caso di sottrazione che non è sottrazione ma semplice controversia, un’altra chicca della Cassazione è quella di contestare alla sentenza cassata di non aver stabilito se il trasferimento sia stato un “escamotage” per sottrarsi al divieto di espatrio o «un vero progetto di vita tale da coinvolgere armonicamente la minore». Risulta difficilmente comprensibile cosa ci sia di armonico nello sradicare senza preavviso una bambina dal padre e da tutti i suoi affetti, la scuola, le amiche, nonni, zie, cugini. Invitiamo a ragionare sui termini utilizzati: un reato diventa un escamotage, un trucco, una furbata; l’allontanamento della figlia dal padre diventa coinvolgimento armonico nel nuovo progetto di vita della madre. Alla diminutio della gravita di una sottrazione corrisponde la giustificazione buonista di voler coinvolgere la bambina, per di più armonicamente. Il pregiudizio ideologico la fa da padrone in un campo, quello giudiziario, che dovrebbe restare confinato all’imparzialità. Ci siamo interrogati sul recente episodio del padre che prende la bambina, la mette in un furgone e fugge inseguito anche dall’Interpol. Tutti hanno gridato al rapimento, ma non è che per caso quel padre avesse un vero progetto di vita tale da coinvolgere armonicamente il minore? Diciamo le cose come stanno: alla signora franco-israeliana è stata riconosciuto il legittimo diritto di esercitare la giustizia fai-da-te. La prepotenza è legale, un precedente significativo per gli sviluppi del caso Eitan.