È opportuno, dopo aver dato aperto sostegno a un candidato specifico alle ultime elezioni amministrative, dare conto dell’esito e fare qualche riflessione. Perché abbiamo deciso di appoggiare Fabrizio Marchi, candidato dal Partito Comunista di Rizzo al Comune di Roma, l’abbiamo spiegato più volte nelle ultime settimane. Il motivo è sintetizzabile in un concetto molto semplice: che qualcuno, non importa chi, abbia deciso di candidare una persona apertamente antifemminista e proveniente dall’ambito della questione maschile, era cosa tra lo straordinario e il miracoloso, specie nel contesto attuale. Colui che ha avuto questo coraggio, ovvero Marco Rizzo, andava premiato, ancor più perché la sua scelta era caduta su una persona di specchiata onestà, di alto profilo intellettuale e di provata militanza antifemminista. In uno scenario socio-culturale un minimo evoluto, sarebbe bastato questo per garantire all’amico Fabrizio magari non un plebiscito, ma sicuramente un numero di voti tali da portarlo in Campidoglio. Invece, a giochi fatti, il suo conteggio si chiude a 94, mentre quello complessivo del Partito Comunista a Roma si chiude con 3.583 voti, pari a uno 0,35% che non solo sbarra la strada all’ingresso in Consiglio Comunale, ma rappresenta addirittura un arretramento rispetto ai consensi in precedenza ottenuti dal partito nella Capitale.
Fabrizio, l’ha detto esplicitamente in un suo articolo post elettorale su “L’Interferenza”, ha motivo di essere personalmente soddisfatto. Con i suoi 94 voti risulta il candidato del Partito Comunista più votato in tutta Italia. Dopo di lui, con quasi la metà dei suoi voti, la capolista candidata a Torino. Nella complessiva débâcle del partito di Rizzo, che si afferma soltanto a Siena, dov’era candidato lo stesso Segretario (4,7%), l’apprezzamento per un candidato per certi versi fuori dagli schemi, sebbene con un forte radicamento nella tradizione socio-politica marxista, ha pur sempre un significato. Piace pensare che la posizione di Fabrizio Marchi, da sempre analiticamente critico delle derive dettate dal femminismo, in qualche misura abbia incrociato, seppur nello stretto alveo degli elettori del PC, un bisogno di ritorno all’equità e alla normalità. Ci auguriamo che Marco Rizzo ne prenda in qualche modo atto e che chi osserva la politica con profondità si renda conto delle potenzialità che può avere, dal lato della rappresentatività, chi si fa portatore di idee alternative al pensiero unico dominante in salsa femminista che così tanto irrefrenabilmente dilaga nel nostro Paese (e non solo). Non c’è dubbio che se Fabrizio Marchi, o una figura a lui corrispondente, avesse trovato collocazione in uno qualunque dei partiti più competitivi tra quelli in lizza, il suo consenso sarebbe stato proporzionalmente più alto: c’è una chiara richiesta che arriva dal basso, silente e timorosa di esprimersi ma c’è. Ed è una richiesta di ragionevolezza che si opponga alle follie senza limiti del femminismo suprematista. Resta solo che di questo se ne accorgano anche altri leader di partito, oltre a Marco Rizzo.
L’idiozia ideologica.
Vero è che potrebbe sembrare estrema la nostra posizione per cui un candidato vada votato a prescindere soltanto perché antifemminista, a prescindere dal partito che lo propone. Abbiamo spiegato più volte che per noi l’antifemminismo è questione civile, come tale pre-partitica. Si tratta di un valore fondativo, di protezione ed evoluzione equilibrata della comunità, dunque prescinde dai simboli e da tutto il resto, ma capiamo che per alcuni questa posizione potrebbe suonare un po’ eccessiva. E allora un candidato da cosa si può valutare? Dalle proposte programmatiche. Ebbene Fabrizio Marchi, se eletto, era pronto a combattere affinché i padri separati avessero titolarità d’indigenza nelle graduatorie per l’assegnazione dell’alloggio popolare. Non solo: aveva sottoscritto apertamente i contenuti di una lettera fatta pervenire ai candidati dalle maggiori associazioni nazionali a favore della bigenitorialità. Insomma, se non bastava il principio in sé, c’erano i programmi a sostenere una candidatura su cui, lo diciamo apertamente, speravamo che convergessero tutte quelle persone che giornalmente intasano i social media de “La Fionda” e di tante altre pagine simili con commenti sdegnati, richieste d’aiuto, denunce di discriminazioni e simili. Ci attendevamo che la maggior parte di costoro riconoscesse il valore rivoluzionario di una candidatura come quella di Marchi e lo premiasse. Quanti padri separati in condizione di difficoltà ci sono a Roma, con la loro cerchia di nuove compagne e rispettivi genitori-nonni? Moltissimi, sicuramente. Quanti uomini falsamente accusati, quanti penalizzati da leggi discriminatorie o spinti fuori da ogni relazione significativa a causa della cultura femminista dominante? Moltissimi, sicuramente. A nessuno di loro era richiesto di esporsi in prima persona, con il rischio di perdere il poco che hanno. Avrebbero potuto incaricare qualcuno di essere il loro portavoce e portatore d’interessi con una semplice X apposta nel segreto della cabina elettorale. Nessuno di loro però si è palesato.
Cosa è accaduto? Il riscontro che abbiamo noi dei motivi di tali assenze è sconfortante. Le ragioni della latitanza dell’elettorato sono essenzialmente due. La prima attiene al simbolo presente nel partito che ha candidato Fabrizio Marchi. Per qualcuno la falce e il martello ancora sono motivi sufficienti per rifiutare il proprio consenso. Come se fossimo negli anni ’50, ai tempi di Don Camillo e Peppone, come se a votare comunista si corresse davvero il rischio di finire vittima di qualche purga, rinchiusi in qualche gulag o privati delle proprietà. C’è chi ci ha detto che non avrebbe votato Marchi perché candidato coi comunisti e ha fatto riferimento all’ideologia in sé. In un’era dove le ideologie (purtroppo o per fortuna) non esistono più e dove a predominare è il voto d’interesse, ci siamo sentiti dire: «io e la mia famiglia siamo anticomunisti da generazioni, non voteremmo mai quel simbolo». A dircelo sono stati uomini che, dopo la separazione, vivono dai genitori e vedono i figli qualche ora a settimana, e soltanto se versano regolarmente il loro assegno, altrimenti l’ex si inventa subito qualcosa per impedirglielo. E anche uomini assolti dalle più infamanti (e false) accuse dopo anni di calvario giudiziario e migliaia di euro spesi in avvocati. E anche persone che denunciavano di vivere in una condizione di celibe involontario. Costoro hanno anteposto uno sciocco e anti-storico arroccamento ideologico al concreto interesse proprio dell’oggi e a quello dei loro figli nel futuro. Che dire? I casi sono due: o nel disagio in cui essi si trovano alla fine stanno bene per qualche motivo incomprensibile, oppure ancora oggi l’idiozia ideologica continua a indurre persone a tagliarsi gli attributi per far dispetto alla moglie, come dice l’adagio.
Lo scalciare scomposto di chi viene impiccato.
Il secondo motivo addotto è, se possibile, ancora più stupido. Dice: «eh, ma il Partito Comunista è un “partitino”, così spreco il mio voto». È probabile che anche la Lega, Fratelli d’Italia, il Movimento 5 Stelle, all’inizio fossero partitini. Anzi la memoria della crescita dei grillini è ancora recente: solo dieci anni fa circa erano derisi da tutti, faticavano a piazzare uno o due consiglieri in qualche municipio, nessuno li votava perché erano un partitino. Alla fine ce li siamo (ahimè) ritrovati al governo. È ovvio che un partitino resta tale finché non lo si inizia a votare. Serve un motivo per votarlo, ovviamente, e in questo caso ce n’era uno bello grosso: Fabrizio Marchi. Eppure, anche in questo caso, ad addurre il motivo dell’insignificanza del partito che l’aveva candidato erano gli stessi soggetti citati sopra: padri separati alla canna del gas, gente strizzata come un limone da procedimenti giudiziari basati sul nulla, eccetera eccetera. Noi l’abbiamo detto fin dall’inizio: in quanto libertari assoluti, esecriamo ogni ideologia che comporti esplicitamente o implicitamente una compressione delle libertà individuali e collettive. Dunque siamo antifascisti, antinazisti e anticomunisti, senza se e senza ma. Eppure, se avessimo potuto, a Roma avremmo votato Marchi (e chi di noi è di Roma, l’ha fatto). In quella città che regala immobili di pregio a organizzazioni femministe che chiamano a convegno ex terroriste o donne condannate per lesioni, che garantisce alle donne sconti fino al 50% per i taxi, che paga le vacanze alle donne che autocertificano di essere state vittime di violenza, che fa una legge sulla “parità retributiva”, che affigge gigantografie in cui milioni di uomini vengono definiti criminali e “mezzi uomini”, dove ha sede un ministero (quello dell’Istruzione) che apre un bando per assumere commissari politici del femminismo che indottrinino i docenti italiani, noi stessi, pur se anticomunisti, avremmo votato Partito Comunista, dando la preferenza a Fabrizio Marchi, che quelle mostruosità combatte da anni.
La domanda resta la stessa, quella che poniamo ai nostri lettori, ma soprattutto a tutte le persone per bene di ogni sesso e che non abbiano mandato il cervello in discarica: cosa siete disposti a fare? Noi ci mettiamo la faccia, il tempo e il cuore da quasi sei anni. Alcuni altri, i cui nomi potete leggere nell’elenco degli autori di questo sito, anche da dieci, quindici, vent’anni. Tutti insieme facciamo analisi, elaboriamo una critica e proponiamo una visione alternativa. In risposta riceviamo ogni giorno decine di migliaia di visite sui nostri articoli, migliaia di reazioni e centinaia di commenti ai nostri post sui social, decine di messaggi privati di persone sature, quando va bene, disperate nella maggior parte dei casi, per quanto sta accadendo. Eppure quando viene l’occasione di mettere una zeppa al sistema, piccola e limitata finché si vuole, ma pur sempre importante, è un fuggi fuggi generale, tra mille scuse. Forse è l’effetto sfogante dei social network, che non permette la coagulazione di una vera massa critica, forse sono la paura e la pigrizia che ormai dominano incontrastate ogni persona, in ogni caso il panorama sconfortante è quello di una comunità cosciente del fatto che il dilagare di questa deriva anti-umana rappresentata dal femminismo sia esiziale per il presente e per il futuro, ma indisponibile, nonostante ciò, ad assumersi qualche responsabilità e a prendere qualche iniziativa di rilievo. Quello di Fabrizio Marchi era un test, il primo significativo dopo anni di lotta condotta nelle catacombe, come i primi cristiani perseguitati. Il test è fallito, così come i tanti tentativi precedenti di creare coordinamenti nazionali di associazioni o movimenti di contrasto alla barbarie femminista. La domanda dunque resta, pesante come un macigno: cosa siete disposti a fare? Esprimibile anche come: quanto ancora siete disposti a sopportare? Molto, a quanto pare. Forse fino all’annientamento. Ed è così che viene in mente ciò che disse Indro Montanelli rispetto all’ipotesi che Berlusconi governasse: «non bisogna opporsi, bisogna che gli italiani provino sulla propria pelle cosa significherebbe». A questo punto viene da pensare la stessa cosa rispetto al femminismo: meglio smettere di argomentare, criticare, analizzare, fare opposizione e resistenza. Per come stanno le cose, equivale allo scalciare scomposto di chi viene impiccato. Tanto vale smettere di agitarsi e lasciarsi uccidere con dignità.