Talora le statue sono semplici monumenti, talaltra mostrano di avere un vero e proprio potere magico: far venire a galla tutta la feccia umana che si annida nella società. Quella dedicata dall’artista scultore Emanuele Stifano alla “spigolatrice di Sapri” fa parte di quest’ultimo gruppo. Inaugurata domenica proprio a Sapri, la scultura in bronzo ha scatenato un putiferio contro l’amministrazione comunale che l’ha commissionata e contro l’autore stesso. Rappresenta una bella donna che, con il mento fieramente sollevato, guarda lateralmente, la mano destra sul cuore e gli abiti che le aderiscono al corpo spinti dal vento di mare. «Poiché andava posizionata sul lungomare», ha commentato l’autore, «ho approfittato della brezza marina che la investe per dare movimento alla lunga gonna, e mettere così in evidenza il corpo». Il risultato è notevole, considerando il materiale: dare leggerezza al bronzo non è facile, ma Stifano c’è riuscito. Il problema è che, aderendo al corpo, la gonna mette in risalto i glutei e le gambe torniti della donna. Ed è questo che ha scatenato il putiferio. Anno 2021, Italia, provincia di Kabul.
A sollevarsi in massa sono state ovviamente le femministe. Prima le opinioniste sul web, riprese dai giornali, e a traino ovviamente le loro portavoce della politica, Laura Boldrini e Monica Cirinnà in primis: «il maschilismo è uno dei mali dell’Italia», questa la sentenza, dopo una requisitoria di fuoco contro l’opera di Stifano. Parte così la shitstorm ferocissima contro l’amministrazione committente e contro l’artista, che rimane allibito dalle reazioni. «Quando realizzo una scultura tendo sempre a coprire il meno possibile il corpo umano, a prescindere dal sesso», ha provato a difendersi. In effetti è vero, questa è la cifra del suo stile e basta andare a vedere le sue statue precedenti per constatare come abbia un approccio molto classico nella valorizzazione del corpo, maschile o femminile che sia, tanto da essere stato definito “il Michelangelo del Cilento”. Il suo Palinuro e il suo San Bartolomeo martire, ad esempio, sono pressoché nudi entrambi e le loro forme corporee sono rappresentate con la giusta sublimazione in un caso del fisico giovanile e muscoloso, nell’altro di un anziano torturato. Alla luce di ciò, deve valere per quelle di Stifano ciò che vale per ogni altra opera d’arte: la norma è guardarla, cercare di capire quale sia la visione dell’artista, dato atto che ogni artista ha la propria, per poi argomentare in modo più o meno approfondito se soggettivamente ci piace o non ci piace. Tutto ciò che va oltre questo è talebanesimo, fascismo, nazismo, comunismo, inquisizione, censura, barbarie.
Ratti che escono dalla cambusa.
Ed è proprio quella la caratura di tutta la feccia che l’opera di Stifano per Sapri ha fatto emergere. La statua è sessista, hanno detto invasate e invasati, perché oggettifica la donna. Tutta colpa di quel bel sedere valorizzato dal vestito spinto dal vento. Un insulto alle donne e “alle spigolatrici” che, così viene detto, “sicuramente non erano così sensuali”. Soluzione a questo vilipendio della dignità femminile? Si è sentito di tutto: coprire la statua, spostarla altrove, addirittura abbatterla. Nessuna femminista ha proposto di farla saltare con la TNT, come fanno i talebani, perché sul lungomare di Sapri oggettivamente sarebbe difficile, ma è certo che qualcuno l’abbia pensato. Tutto questo è feccia e mostra tutta la distruttività del furore fondamentalista innescato dall’ideologia-religione femminista. Che denuncia anche le tipiche e profonde contraddizioni dei culti religiosi: perché il sedere della spigolatrice sarebbe sessista e insultante e quello, ad esempio, del David o dei bronzi di Riace (che mostrano pure il proprio membro) no? Nonostante l’incoerenza, costoro si impancano a sindacare la visione di un artista relativa a una figura leggendaria come “la spigolatrice di Sapri”. C’è di più: avesse fatto una statua dalle forme boteriane, probabilmente avrebbero gridato al body-shaming; avesse fatto un’opera immaginifica alla Picasso, scomponendo e ricomponendo le fattezze della donna, avrebbero parlato di istigazione alla violenza di genere, e così via. Con il fanatismo non c’è mai via d’uscita: di fronte all’espressione artistica la risposta è sempre un composito di censura e repressione violente.
Elementi che sorgono e fioriscono spontaneamente anche dalla banalità del pensiero (e del Male) tipicamente femminista: gran parte delle proteste si appiglia infatti all’argomento per cui “le spigolatrici non erano sicuramente così”. Come se un’opera d’arte dovesse sempre essere figurativa e rispettare rigorosamente la verità storica. Un’arte per dementi, insomma, dove l’aspetto simbolico e visionario, che è elemento essenziale dell’arte, viene bandito. Andrebbero dunque abbattuti tutti quei monumenti ai caduti che non rappresentano un soldato morto in battaglia ma sono costituiti da gruppi scultorei puramente simbolici (buttiamo giù l’Altare della Patria dedicato al milite ignoto, perché non rappresenta un soldato?), e andrebbero bruciati tutti i dipinti e distrutte tutte le statue che non si attengano alla precisa figurazione della realtà. Magari a partire proprio dalla spigolatrice dipinta da Francesco Hayez nel 1853, irrealistica e sessista perché a seno nudo. Insomma la mobilitazione che ha travolto Stifano denota una volta di più le due radici profonde di ogni pensiero estremista in generale, e in questo caso di quello femminista: la malafede e l’ignoranza. Ciò che abbiamo letto in dichiarazioni formali e informali su questo tema è quanto di più irragionevole e insensato potesse manifestarsi e forse, da un certo punto di vista, è un bene che la statua di Stifano abbia avuto il potere magico di far uscire i ratti dalla cambusa. Per due ragioni.
Morti per dar voce alle invasate.
La prima è aver portato alla luce la pulsione profonda che muove queste inquisitrici moderne: la perversione frustrata. Basta leggere ciò che scrivono sui social («una statua buona per gli uomini che allungano le mani», ad esempio) per rendersi conto di quanto marciume deviato contengano gli occhi, e dietro di essi la mente, di costoro nell’attribuire malizia erotica a un’opera che come tante altre celebra la naturale fierezza-bellezza del corpo umano. Sarà banalizzante dirlo per quanto è evidente, ma la totalità di chi si è mobilitata contro Stifano e la sua statua è costituita da donne che darebbero un rene per avere un sedere come quello della statua, tale da attrarre gli occhi e le mani maschili. Non potendo giovarsi di quelle forme e mancando probabilmente da tempo di ogni minima attenzione maschile, odiano in due direzioni: verso l’armonia del corpo e verso coloro che la apprezzano, ovvero le donne normali (non femministe) e gli uomini tutti. Nella tempesta scatenata contro Stifano c’è insomma tutta l’anti-naturalità e l’anti-socialità insita nel profondo del culto femminista, che detesta la bellezza in generale, invidiando con ferocia particolare quella altrui. La seconda ragione per cui il potere di evocare la feccia della statua è stato un bene, riguarda la reazione della maggioranza dell’opinione pubblica all’ennesima shitstorm psichiatrica delle femministe.
Alcune di loro hanno provato infatti ad aggredire Stifano sui suoi profili social, schiantandosi però contro un muro compatto di apprezzamenti e solidarietà diffusa, espressi sia da uomini che da donne. La tolleranza verso queste intolleranti è un lumicino sempre più flebile: le persone comuni vogliono vivere serenamente la normalità delle cose, e queste masnade di piagnone savonarolesche del nuovo millennio hanno ormai saturato la pazienza dei più. Questo è un bene, anche guardando all’origine lontana della figura della spigolatrice di Sapri che, nella famosa poesia di Mercantini, guardava trecento uomini «giovani e forti» sacrificare volontariamente la propria vita per valori più alti: la patria e la libertà. Il riferimento è infatti all’impresa tentata dal patriota risorgimentale Carlo Pisacane nel 1857, terminata in una strage. Una strage di tutti uomini che, sebbene abbia rappresentato un fallimento nella contingenza storica, è alla base degli eventi che hanno poi portato a quella forma abbastanza avanzata di libertà e democrazia che abbiamo avuto in Italia fino a un paio di anni fa. In base a ciò, di due cose si può essere certi. La prima è che la statua di Stifano deve rimanere dov’è. La seconda è che se Pisacane, Nicotera, Falcone e gli altri avessero saputo che sarebbero morti per poter dare in futuro possibilità di esprimersi alle invasate che abbiamo visto in azione in questi giorni, con buona probabilità si sarebbero guardati bene dal salpare per compiere la loro impresa.