di Rosa Bortolotti. Per le molte donne stressate da un modello che causa più schizofrenia, distopia e pericolo (per loro stesse e altre persone) che felicità, si fa largo un nuovo paradigma, anzi antico: tornare pulchrae puellae et bonae. La soluzione ultra-femminista è alle battute finali: le donne si stanno organizzando per rimettere in ordine le priorità e dimostrare che non esiste opposizione tra il ruolo naturale della donna (dare la vita, essere la colonna della famiglia e della casa, diventarne la guida) e il valore morale, intellettuale, civile ed economico che garantisce una posizione lavorativa. Una visione nuova che libera dall’asfissia e consente di riscoprire, anche storicamente, la figura femminile, dopo il fallimento del femminismo anti-femmineo.
Dopo la battaglia contro “la mistica della femminilità” le pulchrae puellae et bonae scoprono che fare carriera come madre e moglie, vale quanto una laurea con master ed è compatibile con il lavoro. Una consapevolezza (si tiene a precisare) a cui sono arrivate senza subire alcuna violenza, né fisica, né psicologica. Le brave ragazze di sicuro non la pensano come Robin Morgan, che scriveva: “Lasciatele vivere, lasciatele mostrarsi malevole, maliziose, lesbiche, frustrate, pazze, Solanasiane, frigide, ridicole, pungenti, imbarazzanti, odiatrici dell’uomo, calunniatrici… Il sessismo non è colpa delle donne. Uccidete i vostri padri, non le vostre madri”. No, esse proteggono la loro indole femminile dagli attacchi, a differenza di chi le vorrebbe lesbiche e relegate in comunità monogenere (dopo aver soppresso gli uomini), abortendo i loro bambini (da fabbricare con metodi artificiali e innaturali da affidare allo Stato).
Il femminismo è morto o sta esalando gli ultimi respiri.
In fatto di sesso le pulchrae puellae non considerano gli uomini degli oggetti sessuali ma oggetti d’amore e cercano una relazione matura. Per questo si vestono per essere dall’uomo ammirate e per piacere, sono attive nell’esaltare la propria deliziosa essenza, rigettando lo stile che le vuole abbigliate come lottatori suonati. Tutte le donne sanno (anche quelle a cui è stato candeggiato il cervello a forza di slogan misandrici) quanto sia indispensabile un uomo al proprio fianco e quanto sia importante imparare a rispettarlo senza temerlo. Una consolidata letteratura scientifica ha certificato come le donne sposate corrano minori rischi di subire violenze rispetto alle donne non sposate (o conviventi). Il matrimonio non soltanto riduce i casi di violenza sulla donna, ma porta a numerosi benefici per entrambi i partner e, soprattutto, ai figli. Non c’è niente di più naturale della relazione Uomo/Donna. Largo quindi, con determinazione, alla guerra di liberazione che mette fine alla lotta delle donne contro il proprio padre, il proprio figlio, il proprio fratello.
Il femminismo è morto o sta esalando gli ultimi respiri. Nonostante i media parlino di grande adesione in realtà sono poche le donne che ne sono veramente interessate e partecipi, in genere giovanissime alla ricerca di un’identità e un senso, guidate da qualche vecchia volpona del settore, interessata a scampoli di potere e prebende. Il gioco ormai è scoperto: il concetto di parità è semplicemente una copertura per il vero obiettivo, ossia la distruzione del uomo-padre-maschio. Per questo l’anti-femminismo sta diventando più popolare del femminismo, che ha stancato e saturato i più con la sua matrice forzosamente antagonista e la costante denigrazione della società (a lor dire “patriarcale”), temi che per altro, invece di fare da collante, hanno allontanato e disperso il fronte femminile. Di contro, le donne che hanno respinto la narrazione basata sui principi femministi, sono state dileggiate e trascinate sui carboni, rendendo evidente che il femminismo non è qualcosa a cui iscriversi ma qualcosa a cui resistere. Concludendo, il femminismo potrebbe non essere (ancora) morto, ma il suo declino è evidente. Starà anche e soprattutto alle pulchrae puellae et bonae accelerare quel processo e abbreviare quell’agonia.