Appare commovente il fedele allineamento del Corriere dell’Umbria al trend zerbinamente corretto. Le componenti dell’informazione pilotata ci sono tutte: slogan, frasi ad effetto ripetute a go go, termini truculenti anche se privi di fondamento, dati fantasiosi, riferimenti anacronistici ed anche l’immancabile contrapposizione donne/maschi, colonna portante dell’informazione di regime imposta dal femminismo totalitario. «Alla base di questo massacro, la convinzione, forse non sbandierata, ma radicata nel profondo dell’inconscio, che LE DONNE siano proprietà DEI MASCHI». Discriminazione sessista? Fatto. Le lamentate stragi, massacri e mattanze non sono affatto in crescita, tantomeno in “forte” crescita come scrive il Corriere dell’Umbria, i dati degli omicidi in generale e delle vittime femminili in particolare sono fortunatamente in flessione costante. L’Italia è tra i Paesi più sicuri per le donne.
Libero spazio alla fantasia sulle cifre.
Si tratta di rilevazioni su scala europea costanti negli anni, l’Italia è sempre agli ultimi posti. Su scala mondiale va ancora meglio: l’Italia si colloca al 174° posto su 198 Paesi, dati UNODC gennaio 2021. Ma la narrazione vittimisticamente corretta insiste sull’emergenza femminicidio come mattanza, strage, massacro. Informazione faziosa? Fatto. Anche la necessità di trascorrere ventiquattro ore su ventiquattro sotto lo stesso tetto è falsa. Non era realistica nemmeno nel primo periodo di lockdown “duro” dello scorso anno, ma nel settembre 2021 nessuno – né uomini né donne – é più blindato nella propria abitazione quindi è ormai impossibile parlare di donne costrette in casa col proprio aguzzino. Chi lo fa, mente. Riferimenti anacronistici? Fatto. Poi i dati: 83 vittime di femminicidio, il 60% di tutti gli omicidi commessi in Italia. 83 vittime è un numero all’insegna della confusione più totale, dati clamorosamente a-scientifici figli della più becera competizione a chi la spara più grossa. Negli ultimi 15 giorni si sono succedute cifre che sarebbe un eufemismo definire bizzarre: 38 femminicidi dall’inizio dell’anno, poi 41, 46, 54, 65, 66, 76, 83, persino 105 a seconda della fantasia di chi le pubblica. Da 30 a 60 a 100, è un attimo raddoppiare o triplicare. Per un’analisi più obiettiva, disintossicata dai miasmi del femministicamente corretto, può essere utile riguardare il nostro podcast di settimana scorsa:
Etilometro per i giornalisti?
Quindi, cercando di sembrare seri, al Corriere dell’Umbria dicono che, da solo, il femminicidio rappresenterebbe il 60% del totale degli omicidi commessi nel nostro Paese. L’ISTAT dice qualcosa di diverso, gli ultimi dati disponibili (Report 2019) registrano 315 omicidi volontari con 111 vittime femminili. Attenzione: sarebbe un errore credere che donna uccisa sia un femminicidio, le due voci non sono sovrapponibili. Non tutti sono omicidi passionali figli della prevaricazione maschilista, dell’oppressione di genere, del patriarcato, della gelosia morbosa o del criterio “uccisa inquantodonna”, le fumose definizioni che si accavallano in cronica assenza di una definizione ufficiale. L’ISTAT non scorpora le figlie uccise dalle madri , le madri uccise dalle figlie, le zie uccise dalle nipoti, le donne uccise da un’ex fidanzata lesbo e nemmeno le donne effettivamente uccise da un uomo ma per ragioni che non hanno nulla a che vedere con la prevaricazione di genere: un’intera gamma di moventi economici, rapine finite male, divisioni di eredità controverse, debiti non restituiti ed altro ancora. La percentuale di donne uccise inquantodonna (criterio privo di ogni logica, non è altro che uno slogan) scenderebbe quindi attorno al 10/12% del totale, se solo L’ISTAT potesse scorporare i dati secondo criteri valutativi ufficiali di un fenomeno che però non esiste nel codice penale. Tuttavia ipotizziamo che non esista nemmeno un omicidio commesso da malati psichiatrici, rapinatori o creditori, arrivando quindi a considerare vittime di femminicidio tutte le 111 donne decedute; sarebbe comunque il 35%, nemmeno in questo caso il femminicidio rappresenterebbe il 60% del totale di episodi delittuosi, come scrive il Corriere dell’Umbria. Diffusione dati farlocchi? Fatto. Mi chiedo se non sarebbe il caso di estendere i test con l’etilometro anche ad altre categorie oltre gli automobilisti.