Abbiamo dedicato un’intera settimana alla ricostruzione delle vicende che hanno coinvolto William Pezzulo dopo essere uscito dall’ospedale a seguito di un gravissimo attacco con l’acido subito dalla sua ex Elena Perotti. Abbiamo ricostruito il calvario di un ragazzo lasciato solo dalle istituzioni, dai media e dalla giustizia. Abbandonato due volte: in senso assoluto e in confronto ad altri eventi similari che hanno colpito vittime femminili, ad esempio la oggi onorevole Lucia Annibali. Quell’intera settimana è stata una cavalcata nel buio dell’iniquità che colpisce sistematicamente gli uomini vittime di violenza da parte di donne. Sottovalutati, ridimensionati, esclusi, dimenticati. A riprova abbiamo ricordato di come qualcuno, ai tempi, avesse presentato istanza al Presidente della Repubblica affinché concedesse a William l’onorificienza di “Cavaliere della Repubblica”. Non sarebbe stato nulla di risolutivo per lui, ben intesi: i danni permanenti sarebbero rimasti tali, così come la mancanza di risarcimenti economici. Sul piano simbolico però sarebbe stato importante: William non si sarebbe sentito più dimenticato e discriminato dal proprio Paese, da un lato, e dall’altro l’opinione pubblica avrebbe avuto il segnale di istituzioni sensibili alla parità, alle vittime in quanto tali e non poste in una graduatoria in base al sesso di appartenenza. Soprattutto l’opinione pubblica avrebbe riconosciuto e conferito dignità alla violenza femminile contro gli uomini, una novità assoluta, ancora oggi totalmente trascurata.
Com’è noto, il Quirinale diede una risposta tra l’insensato e il vergognoso. Chi aveva promosso l’istanza rispose per le rime e poi la cosa finì lì. Cocciuti come asini, alla fine della rassegna, abbiamo tentato di nuovo di sollevare la questione davanti alla Presidenza della Repubblica, nel frattempo cambiata. Il rifiuto allora proveniva dall’amministrazione Napolitano, mentre oggi il Colle è presidiato dal fratello di un uomo ucciso dalla mafia, un cattolico, una persona che si presume abbia una sensibilità particolare per le vittime, chiunque esse siano. Così abbiamo riformulato, attualizzandola, l’istanza a suo tempo presentata e l’abbiamo reinviata. Sappiamo che in moltissimi hanno scritto al Quirinale per supportarla ulteriormente (grazie!). Ben intesi: non ci attendevamo una risposta a breve, tanto meno una risposta positiva. Saremmo stati già soddisfatti di una risposta negativa argomentata in modo per lo meno più decente di quella precedente. Invece, sorpresa inaspettata, la risposta è arrivata rapidissima, dopo una decina di giorni. Sorpresa nella sorpresa, è riuscita ad essere ancora più vergognosa di quella precedente, elaborata ai tempi di Napolitano. È stata una risposta indiretta, implicita, non ci è arrivata sotto forma di lettera o di comunicazione, ma nonostante questo il riscontro è chiarissimo, non fraitendibile. E, basandosi sulle recenti scelte di Mattarella, si può ridurre in questo messaggio: non solo al Quirinale non frega assolutamente nulla delle vittime maschili di violenza perpetrata da donne, ma addirittura guarda con favore e indulgenza a chi la commette.
Così ci sono insieme dolo e beffa.
Solo questo si può desumere dal fatto che, in presenza di un’istanza per il cavalierato a William Pezzulo, il Presidente Mattarella decida di concedere la grazia a Francesca Picilli. Già condannata a dieci anni e sei mesi di reclusione per l’omicidio del fidanzato, pena di per sé già ridicola per un omicidio, ora la Picilli avrà da scontare in carcere meno di quattro anni, per effetto della grazia quirinalizia. In pratica, tra una storia e l’altra, in breve sarà libera. L’omicidio, avvenuto nel 2012 a Sant’Agata di Militello, venne classificato come preterintenzionale: i due stavano litigando furiosamente, spuntò un coltello a serramanico nella mano di lei e la lama in breve sparì nel torace del fidanzato, che morì in ospedale poco dopo. Si stava difendendo? Questa è la tesi usuale, da cui deriva la preterintenzionalità e la non volontarietà dell’omicidio. Se non che ci si difende eventualmente mirando a mani, braccia, gambe, non al torace. Mirare al torace significa voler uccidere, puntare a cuore o polmoni. Così come mirare alla nuca. Così funziona se chi attacca è di sesso maschile. Se si è di sesso femminile no, allora è tutt’altra cosa. Lo può raccontare bene l’avvocato Piero Lorusso, attinto da diverse coltellate sferrate dalla (ora ex) compagna Eleonora De Nardis. Per Lorusso fu un tentativo palese di ucciderlo, tanto che chiese alla magistratura di classificare l’atto come tentato omicidio: richiesta naturalmente respinta. La donna venne accusata per lesioni aggravate e poi condannata. Grazie a questo curriculum, ancora adesso gira l’Italia presentando libri e partecipando a convegni sulla violenza domestica e contro le donne.
Ma non è diversa nemmeno la vicenda di William Pezzulo: chi lo aggredì fu Elena Perotti in prima persona, con un secchio ricolmo di un mix di acidi. Nonostante questo modus operandi, venne incriminata (indovinate un po’?) solo per lesioni aggravate e non per tentato omicidio. Poi venne condannata, si fece qualche mese di galera e subito fu fuori. Di contro l’aggressore di Lucia Annibali non agì in prima persona, pagò uno scagnozzo affinché schizzasse il volto della ex e la sfigurasse. Missione (purtroppo) compiuta, danni estetici imparagonabili con quelli subiti da William. Eppure Luca Varani, questo il nome del mandante, fu incriminato per tentato omicidio e sconta ancora adesso una pena severissima. Andando a pescare in cronaca esempi così se ne trovano a centinaia, abbiamo una banca dati ricolma, grande nella stessa proporzione del nostro bisogno di trovare un punto di equilibrio in quella che a noi pare a tutti gli effetti una prassi vergognosamente sbilanciata. Ben intesi: non è un bisogno soltanto nostro, ma generale, etico, civico, di equità. Per questo speravamo che Mattarella avesse la sensibilità per comprendere l’importanza della nostra istanza e finalmente portasse un po’ di chiarezza e di giustizia. Così non è stato: in risposta il Presidente ha graziato un’assassina conclamata, la cui condanna è stata confermata anche in Cassazione. Sarebbe stato quasi meglio ricevere in risposta una copia della vergognosa lettera mandata in precedenza dalla Prof.ssa Zincone, per lo meno avremmo potuto attribuire la cosa all’ignavia burocratica dei funzionari quirinalizi. Così no. Così ci sono insieme dolo e beffa.
A far severa guardia anche un plotone di Corazzieri.
In realtà, possiamo svelarlo ora, sapevamo che sarebbe finita così. Stiamo parlando di un Presidente della Repubblica che non ha perso occasione per schierarsi totalmente e passivamente dalla parte della narrazione unilaterale femminista sulla violenza e sul patriarcato. Negli ultimi anni non c’è stato “discorso di fine anno” che non comprendesse un predicozzo esplicito sulle donne e il paygap, o sulle donne e il “fenomeo dilagante della violenza”. Per non parlare delle ricorrenze “comandate” del femminismo, l’8 marzo o il 25 novembre, dove il Presidente si è esibito in saluti, auguri, messaggi di vicinanza. Non una parola mai su nulla che possa riguardare criticità del mondo maschile, a partire dalle morti sul lavoro. L’unica volta che ne ha parlato è stato quando un incidente si è portato la via di alcune lavoratrici. Non è stato un atto ingenuo, il nostro, dunque: sapevamo che la nostra istanza per il cavalierato all’amico William sarebbe caduto in un’istituzione ormai da anni profondamente colonizzata, tramite funzionari e dirigenti quirinalizi, da personaggi messi lì dalla lobby femminista nazionale. Una colonizzazione che soffoca il Quirinale come tante altre istituzioni, per altro. Abbiamo fatto la nostra proposta con il cuore sincero, ma sapevamo che sarebbe stata ridotta, in un Quirinale in questo stato, al rango di una mera provocazione. Sapevamo che ci sarebbe stata tirata in faccia una risposta ancora più vergognosa di quella precedente. Un vero vilipendio da parte del Capo dello Stato nei confronti personalmente di William Pezzulo e dei tanti tantissimi come lui. Ma soprattutto un vilipendio verso una verità cui è proibito venire a galla. A far severa guardia affinché non emerga mai, occorre saperlo, il femminismo, oltre al resto, ha messo anche un plotone di Corazzieri. E non stupisce che il risultato sia un Presidente della Repubblica che, nel suo ruolo di rappresentante tutto il popolo e garante dei diritti di tutti, scende sotto il livello dell’indegnità esortando tutti a «non invocare la libertà». Roba da impeachment per attentato alla Costituzione. Un presidente più gradito al femminismo di questo davvero non si potrebbe pensare.