Cosa accade se una decina di cittadini qualunque si riunisce davanti a uno dei palazzi delle istituzioni, a Roma, a manifestare su qualsivoglia questione? Non ne parla nessuno, giustamente. Le mobilitazioni hanno senso solo quando molto partecipate. Eppure c’è un’eccezione: un qualunque presidio, sit-in o flash mob ottiene ribalta e considerazione, fuori e dentro i palazzi della politica, se a realizzarlo sono delle donne. La dimostrazione qualche giorno fa: una manciata di attiviste, dalle foto sembrano una decina non di più, ha fatto un sit-in davanti a Montecitorio. Sono quelle ribattezzate “mamme coraggio”, ovvero quel numero sparuto di madri alle quali qualche giudice ha valutato, dopo diverse analisi, di togliere il figlio per darlo all’ex marito. Ovvero signore che hanno subito eccezionalmente ciò che sistematicamente subiscono gli uomini e i padri. Eccezioni che, per l’appunto, si contano in qualche decina, sulle decine di migliaia di separazioni conflittuali nel nostro Paese. Armate di cartelli che vaneggiano di “figli rapiti dallo Stato”, di “violenza istituzionale”, di “ridatemi mio figlio”, costoro sono le “madri coraggio” che, per vedersi la prole assegnata all’ex compagno, devono averla fatta davvero grossa. Tipo aver fatto di tutto per alienare la prole stessa dalla figura paterna, con lavaggi del cervello senza fine, esagerando però e facendosi quindi beccare dai giudici in quella disonorevole condotta. Numericamente sono tantissime quelle che lo fanno. Pochissime sono quelle condannate per questo, dovrebbero dunque rappresentare un fenomeno irrilevante, in cui per altro la politica non dovrebbe impicciarsi, stante la rigorosa separazione tra poteri.
Invece così non è. Il ridicolo sit-in di qualche giorno fa viene rilanciato dalla sempre zelante agenzia di stampa D.I.Re. che, grazie al suo ruolo, riesce a far riprendere la non-notizia anche da altre testate, seppur sotto tono. Le questioni covid, vivaddio, tengono saldamente in pugno le prime pagine, e carnevalate come quelle finiscono alla fine in secondo piano. Il problema è che le istanze di costoro, supportate da tutta intera la rete dei centri antiviolenza (a partire dal consorzio D.I.Re., che solo casualmente ha lo stesso nome dell’agenzia di stampa…), trovano orecchie e mani anche nella politica. Trovano cioè sponda in personaggi come Valeria Valente, Valeria Fedeli, Laura Boldrini, Veronica Giannone, insomma la crème del femminismo politico italiano che, anche se magari con non pochi imbarazzi, per garantirsi il supporto elettorale futuro, si mobilita per dare soddisfazione a questi gruppuscoli che così, di fatto, tengono lo Stato in pugno. Non è esagerato dire così: la senatrice Valente ha presentato i famosi e orripilanti emendamenti (ne abbiamo parlato qui e qui) al processo civile esattamente per rispondere a questo tipo di istanze. Ovvero senatori e senatrici della Repubblica sono disposti a sconvolgere totalmente l’ordinamento e a polverizzare lo Stato di Diritto, su richiesta o intimazione di qualche decina di fanciulle irrisolte e insoddisfatte delle decisioni argomentate dei magistrati. Chiaro, ora le priorità sono altre: covid, vaccini, Green Pass eccetera, ma non può e non deve passare in secondo piano questo fatto centrale: grazie alla referenza di alcune dissennate tra le elette in Parlamento, lo Stato è oggi ostaggio di un gruppetto di donne ritenute madri inadeguate da diversi magistrati.
Dal letto di morte dello Stato di Diritto è tutto.
Paradossale, insensato, aberrante, ma è così e bisogna prenderne atto, prima di trovare una soluzione a questo immondo sequestro istituzionale, che viaggia essenzialmente sui social media, dove ognuna delle “madri coraggio” e delle varie attiviste delle associazioni antiviolenza gestisce come minimo una ventina di profili fake, garantendo così a chi si informa l’idea di una folla sconfinata di situazioni ingiuste. Non a caso quando poi si tratta di andare a manifestare si materializza qualche sparuta decina di soggetti. Tutte convinte che il trucco non sia evidente e che non sia chiaro ai più chi e cosa ci sia dietro a mobilitazioni del genere. Spiace doverla nominare una volta di più, ma l’evidenza delle cose ci induce a farlo: Laura Massaro. È attorno a lei e alla sua vicenda, assurta a simbolo assoluto della “violenza istituzionale”, che si riunisce il manipolo che si vede nelle foto. Lei che è tutt’ora latitante, dopo aver sottratto (sequestrato? Cosa aspettano i magistrati a incriminarla?) il figlio, per evitarne l’ablazione e il trasferimento prima in casa famiglia e poi dal padre, Giuseppe Apadula, in conformità a quanto stabilito dalla magistratura. Lei che ora risiede, è noto a tutti, in qualche casa protetta del Lazio, sotto la copertura di un profilo Facebook fittizio (cosa aspetta la Polizia Postale a indagare?) e con la protezione della rete dei centri antiviolenza laziali, i cui tentacoli sono ormai abbastanza affondati nella magistratura e nelle forze dell’ordine da garantire che non ci siano blitz o perquisizioni. Si trattasse di un padre, nelle stesse condizioni, si stabilirebbe un secondo stato d’emergenza nazionale per beccarlo. Trattandosi di una donna-simbolo come Laura Massaro, tutti zitti e buoni, come dicono i Mäneskin.
Ma la vera domanda è: perché le sequestratrici dello Stato manifestano proprio ora, a inizio settembre, periodo sonnacchioso di rientro dalle ferie e di tensione per le disposizioni governative sul Green Pass? Non c’è senso nella strategia e nella tempistica scelte, apparentemente. In realtà la ragione c’è ed è molto fondata. Tra circa quindici giorni un po’ ovunque finiscono le vacanze estive, cominciano le scuole e il figlio di Massaro e Apadula è ancora soggetto all’obbligo scolastico. Se non va a scuola possono scattare ricerche più approfondite, ed è certo (oltre che sacrosanto) che il padre chieda conto di eventuali assenze. Se non che mandare il ragazzino a scuola significa esporlo alle ablazioni, ma soprattutto rendere palese dove la madre l’abbia sequestrato e con la copertura di chi. Ecco perché riparte la mobilitazione, pur con una tempistica molto inefficace. Il gruppetto che tiene in pugno e sotto ricatto diverse esponenti delle istituzioni è lì per ricordare che c’è un problema incombente da affrontare e risolvere. E se non lo si fa, il rischio è che crolli tutto, che il simbolo tanto illuso e tanto curato per anni si sveli per quello che è, e sarebbe un danno colossale per l’Antiviolenza Srl e per l’intera narrazione femminista relativa alle separazioni e agli affidi dei minori, oltre che alla violenza domestica e di genere. La manifestazioncina di qualche giorno fa non è un sit-in, dunque, ma un avvertimento: siamo ancora qua, il pericolo incombe, dunque intervenite. Nel frattempo Giuseppe Apadula, ex di Laura Massaro, incensurato, giudicato da vari magistrati e consulenti padre affettivo e idoneo alla genitorialità, non vede e non sente il figlio da aprile 2014. Italia, 2021: dal letto di morte dello Stato di Diritto è tutto, a voi la linea.