Marilù Oliva di mestiere fa la scrittrice. Ci viene segnalata da un nostro lettore in particolare per un’edizione scolastica e antologica dei “Promessi sposi” che ha curato per la casa editrice Zanichelli. Lei stessa ne parla nel suo profilo Facebook, raccontando con comprensibile orgoglio quale fatica e impegno è stato curare un testo didattico così difficile e importante, finalizzato a rendere fruibile per tutti gli studenti uno dei romanzi più importanti, e per certi versi difficili, della storia della letteratura italiana. Il libro, dice la Oliva, così è particolarmente fruibile, grazie a sintesi laterali, domande di comprensione, note, esercizi stimolanti e tante altre «sorprese», come le chiama, che renderanno finalmente il testo accessibile anche senza la continua intermediazione dell’insegnante. In particolare, ci informa la Oliva, alla fine di ogni capitolo ci sono delle schede di approfondimento particolarmente curate. Lei, dice, si è occupata di redigere quella seguente al primo capitolo, e specifica in particolare: «ci tenevo che raccontasse, sebbene in maniera per forza di cose sintetica, la storia delle violenze e delle angherie che dovevano subire in passato le donne in età da marito, quelle come Lucia. Perché la storia – e più che la storia, la letteratura – ci insegna che ne abbiamo passate tante, ma proprio tante».
Insomma quasi una dichiarazione di intenti: utilizzare strumentalmente un romanzo storico, passaggio chiave della letteratura italiana e caposaldo dell’insegnamento, per raccontare la versione unilaterale (e falsa) della storia secondo il paradigma femminista. Il tutto con la benedizione dell’autorevole casa editrice Zanichelli. Diciamo che si tratta di una lettura falsa perché, se è pur vero che capitavano casi in cui le donne da marito subivano svariate angherie, altrettanto vero, anzi di più, è che tutto il genere femminile, fin tanto che il contesto socio-politico non si è fatto più sicuro, ha goduto di una speciale protezione. In un mondo che ha smesso di essere sistematicamente brutale soltanto dopo il 1945, lo “stare in casa” tipicamente femminile significava “stare al sicuro”, mentre la parte maschile della famiglia si avventurava per strade buie, dense di malfattori, animali selvatici e malattie allora incurabili, cercando di garantire la sopravvivenza per tutti. Cosa ancor più vera quando l’uomo di casa era chiamato a portare le armi, e magari con quelle in mano morire, il che capitava con grande frequenza. «Ne abbiamo passate tante, ma proprio tante», dice la Oliva, declinando una volta di più un vergognoso vittimismo a senso unico, come se nel frattempo invece gli uomini se la fossero spassata tipo pascià persiano. La verità è che tutti, eccezion fatta per i ricchi e potenti (uomini e donne) ne hanno passate tante, ma proprio tante. Ma questo né la Oliva né la Zanichelli ritengono opportuno dirlo e pubblicarlo.
L’era delle fake-news.
C’è però di peggio: nel suo intervento a commento del primo capitolo dei “Promessi sposi”, dopo una breve introduzione, la Oliva dedica ampio spazio, come esempio delle tante angherie che subivano le donne in passato, allo ius primae noctis. Si tratta di quella legge che, nel Medioevo, stabiliva il diritto del feudatario (usualmente un nobile) di portarsi a letto per primo la novella sposa di un suo servo della gleba. Una disposizione doppiamente orribile, sia perché trattava la donna come un oggetto, sia perché marcava in modo feroce la differenza di classe tra aristocratici e poveracci. Con un piccolo dettaglio: lo ius primae noctis non è mai esistito. Si tratta di un mito, un’invenzione medievale di cui ancora gli storici non hanno compreso la fonte e di cui, soprattutto, non hanno mai trovato traccia in alcun documento in nessuna parte d’Europa. Si fosse trattato di una prassi informale, ce ne sarebbe sicuramente traccia in una delle tante cronache che venivano stese da letterati o ecclesiastici; si fosse trattato di una vera e propria legge scritta, a maggior ragione se ne troverebbe traccia in qualche codice. Invece no: pura fantasia. Però la Oliva ne parla come di una delle tante vere ingiustizie che subivano le donne, e anche se si trattasse di una leggenda, dice, va bene lo stesso per dimostrare il teorema. Cosa ancor più grave: nonostante tutto la Zanichelli la pubblica.
Periodicamente esplode qualche polemica sui contenuti presunti “sessisti” di taluni libri di testo scolastici. Addirittura esiste un comitato presso il Ministero dell’Istruzione, ben presidiato dalle lobby del politicamente corretto, che attua un monitoraggio sulla presenza o meno di tali contenuti impropri. A questo controllo probabilmente il comitato affianca un’attività di pressione affinché i libri su cui dovrebbero formarsi le nuove generazioni siano infarciti di sciocchezze discriminatorie come quelle della Oliva. Che, essendo discriminazioni “positive”, sono però ammesse, per quanto basate sulla falsità o su vere e proprie leggende. Ma d’altra parte l’operazione realizzata dalla coppia Oliva-Zanichelli è consueta. Viviamo, in tutta oggettività, nell’era delle fake news. Delle notizie che passano sui media di ogni livello, solo il 5% corrisponde alla verità dei fatti ormai. Un altro 5% è a malapena verosimile e il restante 90% è del tutto falso o distorto o mistificato. Le tematiche dove si applica questa disinformazione sono tante: quella della presunta passata e presente oppressione delle donne è solo una delle più ossessive. Tanto da arrivare a fare ipotesi bislacche e ridicolo vittimismo anche sul loro status durante l’età della pietra. Ed è così che qua la Oliva dipinge una storia caratterizzata da una sofferenza femminile costante, ma soprattutto unica e specifica, mentre altrove (in TV, sui giornali) si coglie l’occasione di uno dei pochi delitti passionali che avvengono nel nostro paese, quello recente ad Aci Trezza, per dire menzogne del tipo che ci sono stati 105 “femminicidi” da inizio anno, che esiste un’emergenza, e così via.
Non stupisce che la Oliva e la Zanichelli accettino e si adeguino a questa tendenza che potremmo chiamare della fake-news economy. Di qualcosa entrambi devono pur campare, e oggi si campa soltanto adeguandosi, ovvero raccontando bugie o versioni parzialissime e settarie della realtà, purché rientrino nel frame accettato. Per rendersene conto basta leggere la trama dell’ultimo romanzo scritto proprio dalla Oliva, intitolato “Biancaneve nel Novecento”. È la storia di due donne, madre e figlia, entrambe tormentate dalla storia (personale e in senso lato) e dagli eventi, fino a trovare una specie di sintesi unica. E di uomini nel romanzo ce ne sono, protagonisti o anche solo comprimari? Sì, uno, così descritto: «Giovanni è un uomo affascinante, generoso e fallito». Cioè pur avendo qualche pregio, non si è affermato nella vita, probabilmente è povero in canna e questo lo rende, nella vicenda romanzata, invisibile, inutile, superfluo. Così è il 90% dei romanzi odierni con autori donne. Di contro il 90% di autori uomini pubblicano romanzi-mea culpa, tanto più pubblicati e spinti dal marketing quanto più umiliano e criminalizzano la maschilità (nella nostra pagina “L’album di Goebbels” trovate parecchi esempi). Il cuore del problema, tuttavia, non sta nei romanzetti pubblicati stamattina e nel pomeriggio già dimenticati, da leggersi per scelta ponderata. Il problema vero sorge quando questo tipo di indottrinamento invade i testi scolastici studiati dai nostri figli e dalle nostre figlie. Marilù Oliva e la Zanichelli sono parte di quel problema.