«Secondo voi gli incidenti domestici gravi colpiscono più le donne o gli uomini?». «Ci stai suggerendo con ciò che i più colpiti sono gli uomini?». «Precisamente…». Fu durante l’incontro annuale dei “Maschiselvatici” del settembre 2009 che Cesare Brivio, dopo averci regalato questa primizia, propose a Eugenio Pelizzari (entrambi cofondatori di quel movimento) di svolgere delle ricerche sugli incidenti domestici, suggerimento che Eugenio raccolse e che si materializzò nel documento linkato da Desantis il 16 agosto scorso a commento dell’articolo apparso su queste pagine che parlava ironicamente di “Strage di donne” e da cui prendono avvio queste osservazioni. Cesare era venuto a conoscenza di questo dato imprevisto a un convegno sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Un fatto che non poteva passare inosservato per varie ragioni. In quei mesi infatti, ai temi classici e sempiterni della propaganda femminista, era andata ad aggiungersi la credibile, ma falsa, “verità” secondo cui le donne non solo svolgono in casa lavoro non remunerato, isolate dalla vita civile, manipolate dalla “feminine mystique” ma pagano – in quella prigione – anche il prezzo del superiore numero di incidenti e di decessi. Il tema era caldo e una ben documentata smentita era dunque opportuna, operazione egregiamente svolta da Pelizzari.
La propaganda femminista, si sa, opera noiosamente su molti argomenti fissi, di cui conosciamo l’elenco, ma in modo erratico ne adotta anche di provvisori, estemporanei, pescati da qualche angolo del presente o del passato, del qui o dell’altrove. Fatti e condizioni vere (vere sempre parzialmente e perciò manipolatorie, ossia sempre false), verosimili o inverosimili, credibili o assurde. Non fa differenza giacché il fine giustifica i mezzi. Di questi abbellimenti/arricchimenti periodici (le “emergenze” emergenti) si possono dare molti esempi. Ne ricorderò uno. Nei primi anni del secolo venne importato da alcune regioni dell’Africa un delitto maschile diverso e inaudito ai più, inflitto alle donne nelle forme della clitoridectomia e dell’infibulazione. Mutilazioni femminili di cui in Occidente non si è vista l’ombra dai tempi del big-bang, di cui nessuno (salvo etnologi, antropologi culturali ed altri addetti ai lavori) aveva mai sentito parlare. Lesioni che nessun misogino nostrano aveva mai pensato di infliggere alle figlie (sue o altrui). Il tema imperversò per qualche anno sui media, trattato con particolare accanimento nei talk-show a trazione femminista. Finché una sera la questione venne discussa ufficialmente, al fine di suggellarne i fondamenti, la natura e gli scopi, nel tribunale mediatico di Bruno Vespa (febbraio 2004). Senonché la psico-sessuologa Alessandra Graziottin, chiamata a confermare la verità femminista, spiazzava tutti smantellando la fiaba dell’origine islamica, degli effetti lesivi, delle conseguenze antierotiche, degli impedimenti alla vita sessuale e riproduttiva di quei trattamenti, esiti propagandati dalla vulgata femminista come certi, voluti e imposti dal patriarcato. Imbarazzo estremo e balbettii minimizzanti sulle poltrone di “Porta a porta”. Una legnata. Non se ne sentì più parlare per oltre un decennio. Solo di recente, qua e là, alcune attiviste, ignare della vergognosa figuraccia, hanno ripescato quelle mutilazioni per “ri-aggiungerle” alla somma dei misfatti maschili.
Dove ci sono pericoli, là ci sono gli uomini.
Il tema degli incidenti domestici – intesi ovviamente come esclusivamente femminili – non ebbe invece lo stesso successo mediatico né la stessa imbarazzante conclusione. Emerse, visse per una stagione e scomparve nel sottosuolo. Ma le “emergenze” si sa, possono riemergere, come risorgive del Timavo. Né si vede perché mai le stesse mutilazioni non possano ritornare a galla. Occupandoci oggi degli incidenti domestici siamo dunque in ritardo sul passato ma in buon anticipo sulla futura “emergenza”, giacché è difficile che un’arma di tale portata non venga di nuovo impugnata. Gli incidenti in casa si devono dividere tra quelli connessi alle attività della “economia domestica”, da una parte, e quelli occorrenti negli altri momenti della vita famigliare nei quali il concetto di “lavoro” non è applicabile, dall’altra. Mescolare i due versanti, moltiplicando così di varie volte i primi, è operazione altamente mistificatoria. Quella appunto attuata dalla propaganda femminista di quel periodo e smantellata nella citata ricerca.
Confondere la caduta della nonna con conseguente rottura del femore, successivo ricovero e decesso con la morte della casalinga fulminata al forno elettrico è mistificatorio. Sono eventi non comparabili il morire per trauma cranico scivolando mentre si fa la doccia o, invece, mentre si pulisce la doccia. Occuparsi poi solo degli incidenti e dei decessi femminili ignorando quelli maschili è mistificazione pura. Depurati da quegli elementi depistanti e occupandoci dei contesti e degli eventi relativi alle sole attività lavorative i dati (pur non essendo precisamente quantificabili) dicono che i decessi maschili sono quasi il doppio di quelli femminili (coorti 15-69 anni). Comunque si vogliano limare, rielaborare, rettificare e per quanto possa sembrare assurdo, gli incidenti domestici (connessi con le attività produttive in casa) colpiscono più gli uomini delle donne, con un divario tanto più grande quanto più grave ne è l’esito. Il paradosso però è solo apparente. Come sappiamo infatti, dove ci sono pericoli, di qualsiasi genere, in qualsivoglia luogo e contesto, là ci sono gli uomini e là ci devono essere giacché l’equazione dei sessi F=M+kF, di cui parleremo in un prossimo articolo, non è un sofisma. È natura.
Illuminare per illuminarci.
Perché dunque quel dato è spiazzante? Perché si parte dal pregiudizio donna=casa e perché non ci rendiamo conto di certi aspetti della nostra vita. La sorpresa che il dato suscita è la cartina al tornasole del fatto che non conosciamo la realtà nella quale viviamo. Non siamo coscienti di troppi elementi della relazione uomo/donna, non c’è chiarezza sui veri comportamenti reciproci, sulle dinamiche famigliari e di coppia, sulle modalità con le quali si esprimono le differenze naturali, né sui tempi, le forme, le frequenze, i presupposti e le conseguenze del nostro agire. Su tutto lo spettro relazionale.
Diamo per scontate tante cose che non devono più esserlo, prendendo atto che il racconto maschile è largamente incompleto. Lo è necessariamente, infatti, giacché gli uomini non hanno mai pensato di tesserne uno, di guardare al mondo, alla vita (civile, pubblica, professionale, privata, intellettuale, emotiva…) nel suo insieme e nei particolari, dal proprio esclusivo punto di vista. Solo da poco abbiamo iniziato a costruire la nostra narrazione. Se ci è sfuggito quel tratto specifico della nostra esperienza/esistenza, quanti altri ancora ci sono oscuri? Quanti insospettabili? Molti, questo è certo. Il nostro compito è scoprirli, estendere senza fine l’orizzonte della nostra coscienza. Decostruire, disarticolare, frantumare la Matrix. Illuminare per illuminarci.