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La vicenda di William Pezzulo è già abbastanza nota in Italia. È la storia di un uomo vittima della feroce violenza femminile, dunque una storia scomoda, perché da sola smentisce tutta intera una narrazione della realtà che vede sempre e soltanto gli uomini come carnefici e le donne come vittime. Invece i fatti in cui William è stato coinvolto sono di una gravità estrema, non solo per ciò che ha subito dalla sua ex fidanzata Elena Perotti, ma per tutto il percorso successivo, denotato dal totale oblio. Un oblio ancora più grave se confrontato con l’esposizione mediatica, i riconoscimenti e il supporto ricevuto da altre vittime simili ma di sesso femminile. Un piccolo ma emblematico dettaglio, a titolo d’esempio: fin dall’inizio i mass-media hanno storpiato il cognome di William, trasformandolo da Pezzulo in Pezzullo. Segno di scarsa attenzione, superficialità, noncuranza nel rendere conto di una vicenda che andava sottostimata, ridimensionata e, perché no, dimenticata il più rapidamente possibile. C’era il rischio concreto che William diventasse la dimostrazione vivente che la propaganda vittimistica a favore delle sole donne fosse ciò che effettivamente è: falsa. Ecco allora che, fatti salvi alcuni articoli poco dopo i fatti e un paio di “speciali” televisivi, William sparisce dai radar della comunicazione pubblica. A parlare di lui restano soltanto gli organi di informazione e opinione informali, i blog, i forum, le pagine social dedicate, con un’audience limitata. Un divario incolmabile rispetto al trattamento riservato ad altre vittime di sesso femminile.
Ci siamo consultati all’interno del gruppo di autori de “La Fionda” per capire come meglio gestire le pubblicazioni di quest’ultima settimana di agosto prima della ripresa vera e propria delle attività. A colpirci è stata soprattutto l’attività messa in atto da William Pezzulo sulla sua pagina Facebook nel corso dell’estate, con l’ausilio di altre pagine di supporto. Ha cercato, in alcuni video, di ripercorrere non tanto la sua vicenda, quanto i lineamenti del (mal)trattamento istituzionale ricevuto. Condividiamo la sua iniziativa, è giusto tentare di continuare a ricordare a questo Stato e a questa opinione pubblica quale gravissimo doppio standard si applichi a danno degli uomini e in barba al tanto denunciato “regime patriarcale”. Tuttavia l’attività social rischia di essere confusiva e dispersiva. Per questo abbiamo deciso di dedicare gli articoli del mattino di tutta questa settimana a una ricostruzione del percorso di William, dal momento della sua prima dimissione dall’ospedale fino al primo contatto con le più alte istituzioni del Paese. Un contatto terminato con risposte imbarazzanti, vergognose, scandalose. Qualcosa a cui, al termine di questa rassegna settimanale, cercheremo di ovviare, sperando in un supporto ampio da parte di tutte le persone con una coscienza, siano esse donne o uomini. La nostra ricostruzione prenderà le mosse dalle attività messe in atto in passato da alcune associazioni, a partire da Adiantum, e in particolare da parte di Fabio Nestola, insieme al quale ricostruiremo le tappe fondamentali con cui un’istanza sacrosanta è stata umiliata nel peggiore dei modi dalle più alte istituzioni del Paese.
Per William il nulla.
Prima di questo, però, serve raccontare a grandi linee l’antefatto, per coloro che eventualmente non conoscessero la vicenda (che nel dettaglio è ricostruita in molti vecchi articoli o video). Nel 2012 William ha 26 anni, frequenta Elena Perotti, nell’ambito di un rapporto denotato da non poche anomalie. Ai tempi William lavora nel bar di famiglia, è un bel giovane della provincia di Brescia, che a lungo andare ritiene troppo intossicato il rapporto con Elena, tanto da decidere di lasciarla. La ragazza non accetta la decisione e comincia a tormentarlo, prima con scenate e dispetti, poi con veri e propri atti persecutori. La sera del 19 settembre Elena, aiutata da un complice, gli tende un agguato. Lo fa immobilizzare e gli versa sulla testa un intero secchio di liquido ustionante, una mistura di acidi che divora la carne e diversi organi di William. Salvato per miracolo, esce dall’ospedale pressoché cieco, privo dei padiglioni auricolari, privato di in alcuni muscoli delle spalle, divenuto inabile oltre che ovviamente sfigurato. Vita finita per William: non potrà più lavorare. Elena Perotti viene arrestata e incriminata per stalking e, copione usuale, non per tentato omicidio bensì per lesioni aggravate. Un secchio di acido in testa, secondo gli inquirenti, non denota una volontà di uccidere. La ragazza viene condannata a otto anni di reclusione, di cui sconterà soltanto qualche mese, tra asseriti problemi di salute e gravidanze. Il giudice stabilisce anche un risarcimento economico, che William però non vedrà mai: Elena risulta nullatenente. Per sostenere le spese delle molte e complesse operazioni chirurgiche, la famiglia di William vende il bar, dà fondo ai risparmi, si indebita e chiede periodicamente aiuto sui social network. Dallo Stato non un centesimo, dai media nessuna attenzione, dall’opinione pubblica nessun supporto.
Questo scriveva Fabio Nestola quando scoprì la vicenda di William: «Raccolgo da anni la rassegna stampa su vari argomenti, tra i quali la cronaca nera con vittime ambosessi; la casistica è fondamentale per le materie delle quali si occupa il Centro Studi che dirigo. Nell’archiviare la tragedia di William era impossibile non notare le macroscopiche asimmetrie rispetto a una vicenda analoga, ma a ruoli invertiti: Lucia Annibali, anche lei vittima di attacco con l’acido, anche lei vittima dell’ex fidanzato. Le analogie si fermano qui. Per tutto il resto i percorsi di William e Lucia divergono: per le menomazioni fisiche, per la lunghezza delle cure, per il reato configurato a carico degli aggressori, per le pene erogate, per le provvisionali riconosciute, ma la differenza più macroscopica è nell’attenzione mediatica e istituzionale ricevuta. Per Lucia i ricevimenti al Quirinale e alla Camera, il Cavalierato della Repubblica, l’elezione a simbolo delle vittime femminili di violenza, cicli di presentazioni dell’immancabile libro, conferenze e convegni sulla violenza, consulenze… si era capito da subito che il tutto fosse propedeutico alla preparazione di una carriera politica. Serviva una testimonial, è stata costruita a tavolino. Per William il nulla. Non è spendibile politicamente, non deve esistere un simbolo della violenza subita dagli uomini per il semplice motivo che le vittime maschili non sono riconosciute, in primis a livello istituzionale.
Dimenticato e cancellato, in quanto uomo.
Non potevo non notare tali asimmetrie che gridano vendetta, e l’ho messo nero su bianco; un paio di articoli su un portale per il quale scrivevo anni addietro. Poi, il caso… la reazione ha sorpreso sia me che gli amministratori del portale, letture più che quadruplicate rispetto agli striminziti standard degli altri miei articoli e poi una mail in redazione. “Fabio, ha scritto la madre di William, voleva ringraziarti perché nel silenzio della stampa nazionale sei stato l’unico a dire le cose come stanno, a cogliere le discriminazioni subite dal figlio che vanno oltre il gesto della Perotti. Rispondile, le farà piacere”. Ero indeciso. Mi imbarazzano i ringraziamenti quindi ho temporeggiato decisamente troppo, poi mi hanno spiegato che sarebbe stato gravissimo snobbare la richiesta e ho scritto a Fiorella Grossi, la madre di William. La mail cominciava così: “non deve ringraziarmi, ho solo rilevato quelle che mi sembravano ingiustizie. Piuttosto io non sono nessuno, noi tutti dovremmo interrogarci sul perché non hanno scritto una riga Repubblica, il Corriere, La Stampa, il Messaggero e tutti i quotidiani nazionali”. Il contatto era stabilito, per caso ma era stabilito. Ci siamo scritti e telefonati più volte per gli aggiornamenti sulla vicenda, sulle indiscrezioni giudiziarie, sulle operazioni di William. Il passo mi sembrava obbligato: perché non chiedere a Giorgio Napolitano, all’epoca Presidente della Repubblica, un riconoscimento per William analogo a quello ricevuto da Lucia Annibali?». Sarà questo che Fabio Nestola, insieme ad altri e concordemente con William e la sua famiglia, tenterà di fare, e del percorso seguito dalla richiesta racconteremo nel corso di questa settimana.
Per il momento vale solo la pena di fare qualche precisazione, su cui non torneremo nei prossimi articoli, tranne forse l’ultimo di venerdì. Riteniamo ugualmente condannabile tutta la violenza, senza distinzione in base alle caratteristiche dell’autore o della vittima. Per questo abbiamo deciso di tornare sulla vicenda di William: tutte le istituzioni del Paese e tutta l’opinione pubblica non sembrano essere dello stesso avviso e questo appare aberrante. Conoscerete nei prossimi giorni che fine farà la richiesta di concedere il Cavalierato della Repubblica a William Pezzulo, ma nel frattempo è bene sapere che poco tempo dopo lo stesso Napolitano, dopo averlo riconosciuto a Lucia Annibali, lo concesse anche a Gessica Notaro, pure vittima di attacco con l’acido con gravissime conseguenze, seppure nuovamente meno gravi di quelle subite da William. Gessica Notaro divenne poi una star televisiva e della canzone, mentre Lucia Annibali è approdata in politica, al fianco di Maria Elena Boschi nella squadra di Matteo Renzi. Gli autori dell’attacco con l’acido contro Notaro e Annibali, nonché i loro complici, sono stati incriminati per tentato omicidio (non per lesioni aggravate), si sono presi ben più di dieci anni di reclusione e tutt’ora marciscono (giustamente) in carcere, dopo aver versato i risarcimenti dovuti alle loro vittime. Se si tratta di vittime, in questo caso di attacco con l’acido, in Italia a tutti gli effetti ne esistono di serie A, quelle femminili, e di serie B, quelle maschili. Un’esagerazione la nostra? Un piagnisteo? Niente affatto. Nella stessa condizione dimenticata e discriminata languono diversi altri uomini sfregiati con l’acido. I loro nomi: Giuseppe Morgante, Stefano Savi, Giovanni Arcangeli. Con una domanda disorientante per chiunque legga queste righe: di che sesso è l’unica persona morta in Italia per attacco con l’acido? Il passante, il consumatore medio di informazione mainstream risponderebbe senza indugio: «una donna». Sbagliato: l’unica persona morta in Italia per attacco con l’acido (settembre 2020) è Rosario Almiento, uomo. Come tale del tutto dimenticato. Non si trovano nemmeno sue foto su internet. Uno scenario scandaloso, di cui il trattamento di William da parte delle istituzioni è stata la premessa. Di quel trattamento parleremo nei prossimi articoli della settimana.