Che il “caso Massaro-Apadula” avesse assunto un altissimo valore simbolico lo andiamo dicendo da molto tempo. Laura Massaro è stata adottata già anni fa da un’ampia schiera di esponenti operativi della lobby femminista: centri antiviolenza, uffici stampa, associazioni e comitati, per finire con esponenti politici di primo piano quali Valeria Valente, Valeria Fedeli, Laura Boldrini, Veronica Giannone e altri. Un endorsement e una mediatizzazione talmente spinti da trasformare la vicenda in una specie di frontiera avanzata per le più folli e illegali aspirazioni di piccole accolite votate addirittura all’abolizione dell’attuale legge su separazioni e affidi (L. 54/2006) e del diritto dei figli alla bigenitorialità. Il meccanismo però è sfuggito di mano a tutte, forse nella convinzione che, trattandosi di una donna che aveva denunciato violenze, la vittoria fosse scontata. I fatti (e i giudici) le hanno smentite. Ecco allora che occorre fare i conti con l’insuccesso: grandi e importanti burattinaie hanno indotto per anni Laura Massaro (che si è lasciata indurre) a trincerarsi sulle proprie posizioni, e ora il simbolo del femminismo militante e politico risulta latitante, dopo aver sottratto (sequestrato?) il figlio al padre, in violazione di diversi decreti dei tribunali competenti e con buona pace della Convenzione di Istanbul.
Nella normalità delle cose, chi l’ha appoggiata e fomentata finora farebbe un passo indietro, ammetterebbe dignitosamente la sconfitta e chiederebbe scusa al figlio minorenne di Laura e Giuseppe. Invece no: la potenza simbolica della vicenda è tale da non ammettere passi indietro. Una sconfitta dal lato pratico, dopo quello giudiziario, nel caso Massaro avrebbe l’effetto di un masso gettato in uno stagno: le sue onde lunghe arriverebbero a lambire logiche e interessi molto ampi, generali e lontani. Così accade quando si creano dei totem e le burattinaie dell’operazione non sono disposte ad accettarne l’abbattimento. Per impedire la sconfitta, dunque, sono pronte a tutto, fino a partorire una nuova ondata femminista, quella del femminismo immorale. Si è trattato di un parto lungo e tormentato. Proviamo a isolare qualche “doglia”, prima di concentrarci sul parto vero e proprio, avvenuto l’altro ieri. Un primo segnale c’è stato quando l’On. Veronica Giannone ha cercato di introdursi, facendo leva sul proprio ruolo istituzionale, nella stanza del tribunale dove si discuteva la separazione tra Massaro e Apadula. Fu invitata gentilmente dal giudice a togliersi dai piedi e anche da quel fallito tentativo di ingerenza nascono non soltanto le imprecazioni dell’onorevolessa contro la bigenitorialità («maledetta, maledettissima»), ma soprattutto l’idea che per il singolo caso Massaro, e per i pochissimi che gli assomigliano, val bene ogni mezzo, anche quello più inopportuno. Il tentativo della Giannone, fatto quando ancora si sperava di togliere di mezzo l’ennesimo padre a botte di sit-in o interviste su D.I.Re., ha ispirato buona parte di ciò che si è fatto successivamente, quando si è constatato che la giustizia avrebbe fatto regolarmente il proprio corso. Nel frattempo ogni denuncia di violenze e abusi a carico di Giuseppe Apadula è stata archiviata. Non lo si ripete mai abbastanza: Giuseppe è un uomo e un padre pulito.
Da una disfatta su una madre nascerà una vendetta sulla pelle di tutti i futuri padri.
Le doglie per far nascere il nuovo femminismo immorale diventano più frequenti quando i giudici dispongono, data l’inadeguatezza materna, il prelievo del figlio della coppia, la sua collocazione temporanea in casa famiglia come momento ponte per un affido esclusivo al padre. Laura Massaro, accompagnata dalla solita fanfara femminista, prova lo sciopero della fame, ma dura poco. Il fronte di sostegno si spezza: diverse parlamentari che prima la invitavano in Senato o alla Camera a dare la sua versione dei fatti, si smarcano esplicitamente o tacendo. Altre mantengono la posizione. Tra queste, oltre agli immancabili centri antiviolenza, che sulla questione si giocano tutto, la Senatrice Valeria Valente, che sul tema Massaro e la fandonia della PAS ha scommesso gran parte della propria credibilità politica. È una sua iniziativa a far partire gli ultimi spasmi prima del parto fatale: prende la sua Commissione Femminicidio e, invece di farle formulare una definizione sensata di “femminicidio”, come dovrebbe, la incarica di dare i voti alla magistratura sulla base del manuale della buona discriminazione, la Convenzione di Istanbul. Conclusione: magistratura bocciata. Troppe volte, si dice, i figli vengono tolti alle madri e dati a padri violenti e abusanti sulla base di CTU incompetenti e senza tener conto delle denunce di violenza domestica. La magistratura risponde marameo, ma non è importante: lo show di Valeria Valente in diretta web dal Senato è mero esibizionismo che annuncia fatti concreti. L’operato avanguardistico di Veronica Giannone di qualche anno prima probabilmente la ispira, e così pochi giorni dopo deposita i famosi emendamenti di cui abbiamo parlato settimana scorsa. Una legge a misura di Laura Massaro, o per lo meno pensata per rispondere alla sconfitta sul suo caso con una vendetta generalizzata. Prende corpo così un ricatto politico: o ci fate vincere su Laura Massaro o distruggiamo la Legge 54/06 e tutti i padri da adesso in poi. Con quell’atto sovversivo, quella violenza istituzionale, le acque si rompono, ormai il femminismo immorale ha messo fuori la testolina deforme, il parto non si può più impedire.
Ogni parto però, anche quando produce una mostruosità, necessita di un’ostetrica. E chi meglio di Linda Laura Sabbadini può svolgere questo ruolo? Sacerdotessa delle indagini campionarie sulla violenza contro le donne tra le più ideologicamente orientate e scientificamente risibili della storia patria (compreso il Ventennio fascista), è lei a farsi auspice della nascita con un articolo su “La Repubblica” (e dove sennò?). Lì, come usuale, parla del caso Massaro senza mai citarlo. Potete leggerlo qua sotto con le parti evidenziate da noi. Ha di buono, la Sabbadini, che resta sempre fedele a se stessa: mente e manipola quando scrive come quando fa indagini campionarie. Sostiene che un processo di separazione può concludersi con l’affido dei minori al padre violento (perché per la Sabbadini solo il padre è violento, ovviamente…). È falso: la Legge 54/06 su separazioni e affidi vieta espressamente l’affido dei minori a un genitore che possa mettere in pericolo l’incolumità o la salute psicofisica del minore. Mente anche, la Sabbadini, quando dice che nei tribunali civili i consulenti hanno una professionalità generica. Una balla già sostenuta dalla Valente, subito sbugiardata dal Presidente dell’Ordine degli psicologi: per essere CTU si deve essere iscritti a un albo speciale e avere requisiti molto severi, stabiliti concordemente con il Consiglio Superiore della Magistratura. La Sabbadini se la prende allora con la PAS e, parlando del rifiuto del minore a vedere il padre, dice: «potrebbe nascondere una violenza contro la madre o contro il bimbo stesso». Indubbiamente potrebbe, su questo non ci piove. Invece diluvia sulla frase successiva: «confermata magari dalle dichiarazioni anche della madre». Come può una persona che svolge un ruolo così importante come “direttora” dell’ISTAT scrivere una cosa del genere? Secoli di dottrina giuridica gettati nella latrina, esibizione di un’ignoranza e una violenza ideologica da fare raccapriccio. Poi la Sabbadini dice una cosa sacrosanta: la bigenitorialità è un diritto del bambino e i genitori devono esercitare la propria genitorialità «fin quando non recano danno al proprio figlio […] E sta al giudice valutare». Già, è così: diversi giudici hanno valutato che Laura Massaro reca danno al figlio, che Apadula non è un violento e abusante e che farebbe del bene al figlio, dunque dove sta la sua condanna della latitanza della Massaro, cara Sabbadini, se crede davvero in ciò che scrive? Tutto si chiarisce in fondo all’articolo, dove dalla centrale di potere presieduta dalla “direttora” ISTAT parte un messaggio trasversale al Ministro Cartabia: si faccia protettrice degli emendamenti Valente, così da una disfatta su una madre nascerà una vendetta sulla pelle di tutti i futuri padri. A meno che non lascino in pace la Massaro con il figlio senza più seccarla, allora, sicuro, gli emendamenti verrebbero ritirati.
«Lasciami andare da mio padre».
Aberrante? Sì, ma è solo la fase preparatoria del parto della nuova ondata del “femminismo immorale”. Quell’articolo è il forcipe che aggancia il cranio deforme del nascituro, frutto di una gestazione mostruosa. Strappa il neonato dal ventre materno del femminismo da sempre immorale per sua profonda natura, per poterlo mostrare in tutto il suo aspetto raccapricciante, esibito senza remora né vergogna. Appena venuto al mondo, il femminismo immorale non emette i primi vagiti. No, non è nella sua natura piangere, se non ha la certezza di guadagnarci qualcosa. Dunque anzitutto concepisce qualcosa da par suo, una violenza tra le più immorali che si possano pensare. Ecco allora che sulla pagina Facebook “Comitato Madri Unite” due giorni fa esce questo video:
Riporta stralci strappacuore della lettera che il figlio di Laura Massaro e Giuseppe Apadula, dalla località protetta dove probabilmente la rete antiviolenza ha illegalmente nascosto madre e figlio, avrebbe scritto alle autorità per convincerle a non prelevarlo. Non ha senso dimostrare che quel povero ragazzo sia stato costretto a scriverla sotto dettatura, lo si capisce perfettamente dall’uso di termini che un ragazzino di 11 anni difficilmente conosce. In realtà non ha senso fare nulla. Come davanti a ogni mostruosità, si resta attoniti, senza parole, disarmati. Il nuovo femminismo di oggi, quello imperante, è questo: immorale, illegale, senza scrupoli nel forzare le leggi, nel manipolare i dati, nel mentire e nella sua capacità di strumentalizzare cinicamente tutto, bambini compresi, anche quando già stremati da profondissimi lavaggi del cervello, come probabilmente è il figlio di Massaro e Apadula. Una persona ragionevole capirebbe che non è più il caso di insistere sulla linea solita: azioni del genere, messe in atto così insistentemente, non possono che rafforzare i giudici nella loro decisione. Laura Massaro dev’essere sufficientemente intelligente per capirlo. Ma è anche sfinita, ormai bambola in mano a manovratrici che, pur di non veder cadere in pezzi il proprio totem, con il probabile rovinoso effetto domino, di lei fanno l’uso più spregiudicato, a tutto danno di un minore. E nel frattempo approntano una vendetta atroce dal lato giuridico e giudiziario per chiunque osasse riprovare in futuro a fare come ha fatto finora Apadula, ossia restare calmo, collaborativo, con un basso profilo, puntando a due cose soltanto: salvare il figlio da una perdurante violenza psicologica e dargli l’amore paterno di cui ha diritto. Questo è, dunque, cari lettori: un singolo caso, assurto indebitamente a simbolo, innesca da un lato un tentativo di eversione dei più importanti principi dello Stato di Diritto nei termini di un vero ricatto politico, dall’altro la nascita di una nuova corrente femminista, i cui caratteri speriamo di aver delineato bene e precisamente, come da mesi fa, alla domenica, per le “ondate” precedenti il nostro Santiago Gascó Altaba.
L’ultimo paragrafo di questo articolo vorremmo usarlo per rivolgerci proprio a lui, a L., il figlio undicenne di Laura Massaro e Giuseppe Apadula, ipotizzando per assurdo che davvero sia stato lui a scrivere quella lettera. Caro L., nessuno mette in dubbio che tu stia bene con la tua mamma, i tuoi nonni e con coloro che da tanto tempo ti circondano. E tutti sappiamo, anche i giudici che hanno parlato a lungo con mamma e papà, che non è un bel momento quando addirittura la polizia deve venirti a prendere per portarti in casa famiglia e poi da tuo papà. Ma è qualcosa che si può evitare molto facilmente. Basta che ti fermi un attimo e scavi nella tua memoria. Quella vera però, che sta sotto la montagna di parole e racconti che ti sono stati fatti. Laggiù, in quelle profondità, hai davvero ricordi di un papà cattivo e violento? Se la risposta è no, allora la lettera che devi scrivere è diversa da quella che hai scritto, dove dici che vuoi essere “libero”. Pensi davvero di esserlo? La libertà è una cosa meravigliosa, vitale per ogni persona, ma può anche essere un veleno se la si vive senza assumersi le proprie responsabilità. Non è libertà accusare una persona di essere violento, anche se non è vero, pensando di non pagare il prezzo della bugia. Non è libertà cercare di non rispettare le leggi grazie ad amicizie grandi e potenti. Non lo è nemmeno cercare scorciatoie e favoritismi usando i mass media o i social network. Tanto meno lo è rifiutarsi di rispettare leggi che valgono per tutti e sentenze fatte apposta per obbligare tutti a seguirle. Quella non è libertà, caro L.: quello che da anni hai davanti agli occhi è in realtà un esempio di capriccio irresponsabile, di tentativi di fughe, di ricerca di privilegi, di pretese senza fondamento. È un tipo di vita che non esiste né esisterà mai e che crolla in briciole a confronto con la realtà. E c’è soltanto una persona che può finalmente insegnarti questo aspetto dell’esistenza: tuo padre. Quello è il suo ruolo. Solo lui può mostrarti, tenendoti protetto, che il mondo è difficile e complesso, che l’esercizio della libertà comporta grandi responsabilità a cui non si può e non si deve sfuggire. E se ci si prova, le cose finiscono per ingarbugliarsi terribilmente. Tuo padre è lì per dimostrarti, amandoti, che vivere non significa soggiornare in eterno sotto la pesante ala della mamma, che comunque non ti impedirà mai di frequentare. Tuo padre ti insegnerà che il mondo non è come sotto quelle piume e che, se ci resti, ora che ti pare un posto così caldo e comodo, non sarai capace di vivere e il mondo ti schiaccerà. Tuo padre è lì per farti vedere che nel mondo si vola e per insegnarti come virare facendo slalom tra un pericolo e l’altro. I giudici, dopo tanto, hanno capito come stanno le cose. È tempo che anche tu capisca, caro L.: devi decidere se essere un nulla mischiato con niente, o se essere una Persona, nel tuo caso un Uomo. In quest’ultima ipotesi, scrivi un’altra lettera, indirizzala alla mamma e per conoscenza ai nonni. E falla semplice, senza suppliche, seria e breve: «Lasciami andare da mio padre».