Sarebbe facile, troppo facile, fare delle ironie feroci sulla bizzarra relazione tra il Partito Democratico americano, le isterie puritane sul sesso e il femminismo politico, per la parte della predicazione, e i fatti veri e propri, per la parte del razzolo. Sarebbe facile fare ironia sul fatto che Hillary Clinton sia (e sia stata) il capo dei capi del femminismo internazionale, tale da giocare da padrona alla Conferenza di Pechino del 1995, quella a cui dobbiamo gran parte dell’attuale delirio femminista (in particolare quello intersezionale) e queer, e abbia come marito un ex Presidente, Bill Clinton, democratico, sputtanato a livello globale a seguito di uno scandalo sessuale privo di senso. Qualcuno lo ricorderà: venne fuori il suo vizio di fare giochetti strani con i sigari (quelli da fumare e il suo personale) e una stagiaire della Casa Bianca, tale Monica Lewinski. La vicenda non fu letta come la classica storia di due adulti che fanno sesso consensuale, lui perché lei era giovane e piacente, lei perché lui era ricco e potente, bensì come qualcosa di immorale. Vero che Clinton rischiò l’impeachment perché fu sufficientemente pirla da mentire, giurando in TV di non aver mai fatto sesso con la ragazza, ma la vera ragione dello scandalo pubblico furono l’infedeltà del marito e la porcaggine dell’uomo. Sta di fatto che mentre lui si trastullava con gli Havana e la procace Monica, la moglie pontificava a Pechino su femminismo e women empowerment, rovinando la vita a noi tutti oggi. Come se, dopo aver prodotto un marito del genere, avesse l’autorevolezza di insegnare a qualcuno come devono stare assieme uomini e donne.
Sarebbe ugualmente facile fare ironia andando a ricostruire tutti i moltissimi legami che collegavano tutto il mondo politico liberal, cioè la “sinistra” americana, al cui interno alligna una grande fetta di democratici, con personaggi poi finiti in bufere di carattere sessuale. Ad esempio il produttore Harvey Weinstein, prima incoronato e poi impallinato dai suoi amici della schiera dei “progressisti buoni”. Oppure l’affarista Jeffrey Epstein, che con il suo “Lolita Express” pare abbia scarrozzato per tutto il mondo un esercito di baby-prostitute al servizio del progressismo maschile di mezzo mondo occidentale, a partire da quell’immancabile marpione Bill Clinton: una schiera di nomi interminabile, dicono alcune gole profonde, che non si conoscerà mai, se non forse tra sessant’anni, quando le carte verranno desecretate. L’unica cosa che si sa è che l’ex compagna (e complice) di Epstein, Ghislaine Maxwell, è attualmente tenuta sotto stretta sorveglianza, imbavagliata di forza anche solo quando chiede di andare ai servizi, tanta è la paura che cominci a fare nomi e a rendere il Partito Democratico americano ineleggibile per i prossimi cento anni. Sarebbe facile, troppo facile inoltre fare delle ironie, scavando a fondo su questi eventi e su tanti altri del passato, fino ad arrivare all’apice, ovvero all’attuale Presidente Joe Biden, noto con il soprannome “sleepy” (assonnato) per la vivacità di tutto il suo essere, ma anche “creepy” (raccapricciante) e soprattutto “the sniffer” (l’annusatore), per la strana e un po’ angosciante abitudine di avvicinarsi in modo viscido alle ragazzine per odorarle, palpeggiarle, sbaciucchiarle, come pare fare in diversi video che girano in rete.
Insomma sarebbe facile, troppo facile, mettere il dito nella piaga di un’incoerenza tra parole, slogan, esibizione di dirittura morale in salsa femminista, e i fatti concreti, volgendo lo sguardo al campo dei maggiori paladini internazionali del politicamente corretto, per l’appunto i democratici targati USA. Sarebbe quindi facilissimo adesso fare come fanno molte pagine social e alcuni media, ovvero godere come ricci di fronte alla montagna di merda sotto cui sta finendo seppellito Andrew Cuomo, governatore dello Stato di New York. Da buon democratico che si rispetti, ha passato la sua carriera facendo dichiarazioni e attuando politiche iperfemministe, con il chiodo fisso della lotta alle molestie e alle violenze sessuali. Un vero e proprio idolo per le fanatiche della repressione antimaschile, un rappresentante politico che aveva portato la retorica femminista e la conseguente azione amministrativa al rango dell’ossessione. E da buon democratico che si rispetti, oggi è accusato da ben undici fanciulle di molestie sessuali, i giornali gli danno addosso con una violenza inaudita e la sua testa è stata chiesta da Creepy Joe Biden “The sniffer” in persona. Alla voce del Presidente si è aggiunta anche quella dei maggiorenti del partito: «Non posso che elogiare le donne che hanno avuto il coraggio di parlare e di dire la verità», ha dichiarato Nancy Pelosi, mentre gli occhi le partivano a flipper e la dentiera andava di mambo al pensiero di ricevere ancora una molestia sessuale prima del cedimento definitivo dei lifting.
Ebbene no, noi non siamo per le soluzioni facili e non condividiamo gli orgasmi vendicativi di tante pagine social che ora strillano che Cuomo se l’è meritata. «Chi semina vento raccoglie tempesta», gli si rimprovera da ogni parte. Oppure: «questo succede a fare i servi delle femministe», il che è assolutamente vero. Il femminismo è un demone che ti asservisce promettendoti il massimo del successo, ma prima o poi passa a riscuotere l’anima data in pegno. Però non è un buon motivo per godere della caduta rovinosa del governatore Cuomo. Si tratta di un politico eletto democraticamente, al momento accusato da undici fanciulle per atti considerati di aggressione sessuale. I pochi dettagli che trapelano parlano di banali confidenzialità forse finite su signorine malate di ipersensibilità, o più probabilmente consce di non aver lo stomaco per concedere le proprie grazie in cambio di qualche vantaggio, come fanno molte altre. Ecco allora che si presenta l’opportunità di agganciarsi a qualche gesto galante, magari maldestro, per ottenere risarcimenti che ti sistemano per la vita. Ma questi sono retropensieri e ci spiace farli. Allora restiamo ai fatti: nel momento in cui scriviamo Cuomo non è nemmeno incriminato. La magistratura sta vagliando le accuse. E quand’anche venisse incriminato, ancora non è colpevole. Finito l’eventuale processo, per quanto le procedure giudiziarie americane siano il non plus ultra dell’aleatorietà, se risulterà colpevole e condannato, allora e solo allora si potranno esigere le sue dimissioni e sbertucciarlo a dovere. Farlo ora significa sposare il metodo totalitario del #MeToo, non quello maturato in secoli di studi filosofici o giuridici e poi scaturito in una cosina chiamata Stato di Diritto. Per noi quindi nessun “ben gli sta”, perché oggi tocca a Cuomo, domani potrebbe toccare uno qualunque tra di noi. Così, sulla parola e per un’ondata mediatico-politica. Cerchiamo di essere lineari e corretti: se Cuomo risulterà innocente, avrà diritto a mille scuse. Ben gli starà solo ed esclusivamente se verrà trovato colpevole dopo un regolare processo. E solo allora.