di Marcello Adriano Mazzola, Avvocato. Timeo danaos et dona ferentes. Parole che Virgilio (Eneide II, 49) fa pronunciare a Laocoonte, quando vuol dissuadere i Troiani dall’accogliere nella città il cavallo di legno lasciato dai Greci. Come noto, dopo ben dieci lunghi anni di assedio inconcludente, i Greci, attuando un piano escogitato da Ulisse, abbandonano la spiaggia di fronte a Troia, lasciandovi un enorme cavallo di legno e si nascondono presso la vicina isola di Tenedo, fingendo di ritornare in patria. Senonché dentro al cavallo si celano però alcuni tra i più valorosi guerrieri greci, guidati da Ulisse. I Troiani, avendo assistito all’apparente ritirata del nemico, si convincono che la guerra sia realmente conclusa e si dividono soltanto sulla sorte da riservare al cavallo. In merito a tale questione interviene appunto Laocoonte, guerriero troiano divenuto sacerdote di Apollo, dicendo la famosa frase: «Troiani, non credete al cavallo. Di qualunque cosa si tratti, ho timore dei Danai anche se portano doni.» Gli abitanti di Troia però non lo ascoltano e decidono di aprire una breccia nelle loro stesse mura al fine di consentire l’accesso dell’enorme cavallo di legno. Quella stessa notte, i soldati rimasti per tutto quel tempo all’interno del cavallo escono cautamente dal loro nascondiglio e, cogliendo di sorpresa i Troiani che stanno festeggiando l’improvvisa e inaspettata vittoria, riescono a uccidere le sentinelle e ad aprire le porte della rocca fortificata ai loro compagni, sbarcati nuovamente sulla costa, agevolando così la conquista della città. In questo modo i Greci riuscirono finalmente a entrare a Troia, incendiandola e sterminandone gli abitanti.
Orbene, questo passaggio inerente uno dei momenti più noti dell’Eneide e contenente un gran numero di archetipi, mi ricorda tanto l’assalto alla riforma della Giustizia, – tanto necessaria quanto impellente come ben sappiamo e ridondiamo giusto da qualche decennio – che vede in questi giorni un pressante dibattito parlamentare. In questo turbinio m’è caduto l’occhio sull’emendamento a prima firma della Sen. Valente sul DDL n. 1662 (“Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie”), di cui su queste pagine si è già parlato nei giorni scorsi (qui e qui). Occorre subito osservare come ci siano parti dell’emendamento anche condivisibili, ove si intenda prestare preminente attenzione all’interesse del minore e una reazione immediata ad ogni forma di violenza all’interno della dinamica della coppia prima, durante e dopo la separazione dei genitori.
Cristallizzare un illecito e imporre la monogenitorialità.
Quello che lascia invece atterriti, ma oserei dire inorriditi per chi mastica di diritto e di diritti, è, a parte l’uso di termini errati, desueti e comunque già ex se discriminatori, come diritti di affidamento e di visita, atteso che come diceva Nanni Moretti in un suo celebre film, “le parole sono importanti!”, è l’affermazione del principio che si pretende evolvere in una norma cogente secondo cui si erige l’assioma seguente che estrapolo letteralmente nei suoi passaggi: 1) l’accertamento incidentale della violenza non è delegabile da parte del giudice; 2) qualsiasi forma di violenza, anche assistita che il giudice civile o minorile accerta, con urgenza, incidentalmente e senza formalità; 3) luogo in cui si trova di fatto il centro della sua vita al momento della proposizione della domanda riguardante la responsabilità genitoriale nei confronti del minore, da accertare sulla base di elementi di fatto.
Di fatto si intende attribuire al Giudice la potestà di accertare incidentalmente cosa sia violenza e cosa no, in difetto di qualsiasi parametro che consenta una distinzione certa (ad es. una parola colorita è violenza? Le urla sono violenza si o no? E se sì fino a quanti decibel e per quante volte in un anno? Ma la casistica come ben capirete può essere infinita), anche alla luce dell’arbitrio che verrebbe consegnato al Giudice (“qualsiasi forma di violenza”). Al quale addirittura sarebbe consentito di cristallizzare situazioni palesemente illecite, prendendo atto che “il centro della sua vita al momento della proposizione della domanda” è quello monogenitoriale o superesclusivo proprio perché uno dei due genitori s’è preso e tenuto stretto il minore in barba a qualsiasi provvedimento o diritto alla bigenitorialità.
Un diritto di famiglia fondato sulla manifesta discriminazione di genere?
Una vera barbarie del diritto e dei diritti dei minori, e a seguire degli stessi genitori. La negazione stessa dei diritti ex artt. 2, 29 e 30 Cost., art. 8 CEDU e molteplici Convenzioni internazionali. Per spiegarvi meglio ciò che l’emendamento intende legiferare, vi citerò quello che già accade oggi e da anni nei Tribunali, soprattutto minorili ma non solo. Un caso scuola, vero, attuale. Il Genitore X va a prendere il figlio sotto casa del Genitore Y. Il Genitore Y non glielo consegna e per di più si reca alla polizia dove lamenta delle escoriazioni, indi denuncia il Genitore X indicando come testi la propria madre e la sorella, asserendo che il Genitore X l’ha aggredita. Il Genitore X in realtà non è mai sceso dall’auto. Da quel giorno il Genitore Y decide arbitrariamente che il Genitore X non deve più vedere il minore e non glielo fa più vedere, sentire, incontrare. Le forze dell’ordine trasmettono la denuncia alla Procura del Tribunale del Tribunale per i Minorenni. La Procura chiede la decadenza della responsabilità genitoriale del Genitore X. Inizia il procedimento minorile, viene nominato il Curatore del minore.
Il Genitore X si costituisce chiedendo la decadenza della responsabilità genitoriale del il Genitore Y perché oramai da circa un anno impedisce ogni frequentazione e rapporto col figlio. Il Tribunale dispone l’audizione del minore ancorché molto piccolo e non capace di discernimento, ossia di un minore totalmente manipolato e in conflitto di lealtà col genitore alienante. Il Tribunale dispone la valutazione solo delle capacità genitoriali del Genitore X. Il Tribunale ha deciso ancor prima di iniziare che il Genitore X è inidoneo perché è sufficiente “qualsiasi forma di violenza, anche assistita che il giudice civile o minorile accerta, con urgenza, incidentalmente e senza formalità” (riprendendo appunto l’emendamento Valente), dunque basta una semplice denuncia farlocca che, attenzione però, se proviene dal Genitore Y è certamente attendibile, probante e degna di fiducia. Se invece proviene dal Genitore X non è affidabile, perché sarà certamente archiviabile. È questo che vogliamo dunque? Un diritto di famiglia fondato sulla manifesta discriminazione di genere? Mi vengono i brividi nel pensare ai regimi autoritari che si fondavano su queste discriminazioni. Nel silenzio generale. Anzi, nell’ignavia.
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Oggetto: No agli emendamenti su separazioni e affidi
Testo: Gentile Onorevole, manifesto qui la mia protesta civile verso gli emendamenti sulla disciplina di separazioni e affidi. Essi obbligano il giudice a considerare la denuncia o segnalazione come un fatto accertato, sovvertendo la presunzione d’innocenza: una proposta gravissima in un paese dove dilaga il fenomeno delle false denunce a carico di uomini durante le separazioni. Gli emendamenti di fatto aboliscono quanto stabilito dalla Legge 54/2006, derubricando la bigenitorialità da diritto del minore a opzione accessoria, in riferimento a una convenzione (quella di Istanbul) priva di ogni autorevolezza, vista la defezione di Polonia e soprattutto Turchia. Gli emendamenti umiliano il ruolo delle CTU elaborate da specialisti selezionati, dando maggiore rilevanza alla testimonianza dei minori, le stesse da cui sono sorte umiliazioni nazionali come il Forteto, i fatti della Bassa Modenese e della Val D’Enza. Io e la mia cerchia consideriamo questa iniziativa una deriva inaccettabile. Le chiediamo impegno a opporsi. La nostra memoria terrà presente i nomi di chi ha appoggiato questi emendamenti al momento della prossima tornata elettorale. Le chiediamo di agire in piena coscienza e nella consapevolezza della realtà delle cose, confidenti che non vorrà deluderci. Con viva cordialità.
PEC:
A: protocollo.centrale@pec.quirinale.it; presidente@pec.governo.it; capo.gabinetto@giustiziacert.it; gabinetto.ministro@giustiziacert.it
Oggetto: No agli emendamenti su separazioni e affidi
Testo: Buon giorno. Manifesto qui la mia protesta civile verso gli emendamenti sulla disciplina di separazioni e affidi in discussione presso la Commissione Giustizia del Senato. Essi obbligano il giudice a considerare la denuncia o segnalazione come un fatto accertato, sovvertendo la presunzione d’innocenza: una proposta gravissima in un paese dove dilaga il fenomeno delle false denunce a carico di uomini durante le separazioni. Gli emendamenti aboliscono quanto stabilito dalla Legge 54/2006, derubricando la bigenitorialità da diritto del minore a opzione accessoria, in riferimento a una convenzione (quella di Istanbul) priva di ogni autorevolezza, vista la defezione di Polonia e soprattutto Turchia. Gli emendamenti umiliano il ruolo delle CTU elaborate da specialisti selezionati, dando rilevanza alla testimonianza dei minori, le stesse da cui sono sorte umiliazioni nazionali come il Forteto, i fatti della Bassa Modenese e della Val D’Enza. Io e la mia cerchia consideriamo questa iniziativa una deriva inaccettabile. Le chiediamo impegno a opporsi. Le chiediamo di agire in piena coscienza e nella consapevolezza della realtà delle cose, confidenti che non vorrà deluderci. Con viva cordialità.