Come abbiamo rilevato ieri, è in atto un maldestro tentativo di storpiare il testo della riforma del processo civile, inserendo emendamenti funzionali a rendere efficaci tutte le denunce di violenza, anche quelle fittizie. Gli emendamenti 15.0.8/2 sembrano scritti da chi, pur masticando poco di Diritto, tenta di forzare la mano al Parlamento per inserire quell’inquinamento ideologico che invece dovrebbe non avere spazio nell’impianto normativo. Il testo parte male già alla seconda riga, lettera a): «(…) garantire che i diritti di affidamento e di visita siano assicurati tenendo conto delle violenze, anche assistite (…)». L’affidamento non esiste come diritto, allo stesso modo non esiste il diritto di visita. La stortura di fondo è una visione adultocentrica del Diritto di Famiglia: l’affido è una misura di accudimento della quale il beneficiario è il minore, non si tratta di un privilegio assegnato all’adulto che lo “vince” (mi si passi il termine) in tribunale. Prova ne sia che, in caso di revoca della responsabilità ad entrambi i genitori, la prole viene data in affidamento ai Servizi Sociali come misura di protezione della prole stessa, non certo come “diritto” che il giudice riconosce alle assistenti sociali. Allo stesso modo l’affidamento non può essere un diritto del padre né della madre.
Stesso fondamento per il diritto di visita: oltre a non esistere nella legge 54/06 e successive modifiche, è proprio il principio a essere radicalmente sbagliato: un genitore non “visita” i figli. Per esercitare appieno i compiti di educazione e cura peculiari del proprio ruolo, ogni genitore ha bisogno di una frequentazione equilibrata e continuativa come stabilito dalla legge. Le parole hanno un senso: si può fare visita ad una zia lontana, a un conoscente ricoverato o a un parente detenuto, occuparsi del processo di crescita dei figli è cosa diversa. Pertanto utilizzare la definizione “diritto di visita” slatentizza i gravi pregiudizi di coloro che se ne servono. Ancora nel 2021 c’è chi non ha compreso la ratio della riforma del 2006, che stabilisce dei diritti in capo al minore e non ai genitori. Ma, pur non avendo capito il cardine della riforma – o fingendo di non averlo capito – si avventura nella proposta di articolati da discutere come emendamenti. Le premesse sono deprimenti: davvero chi ha la presunzione di legiferare parte da basi così infime? Gli emendamenti si traducono in una entrata a gamba tesa sulla legge 54/2006 e sulla bigenitorialità, una forzatura della Commissione Femminicidio che spazia «tra il distorto, l’inquietante e l’esilarante», come ha avuto modo di osservare il Prof. Giovanni Battista Camerini, uno dei massimi esperti italiani in materia.
Gli interessi della prole piegati al volere materno.
L’affidamento e il diritto di visita dovrebbero, dicono gli emendamenti, essere stabiliti «tenendo conto delle violenze (…) allegate, denunciate, segnalate o riferite». Quel segnalate o riferite fa tremare i polsi a chiunque abbia un minimo di esperienza di separazioni e affido minori. Stando agli emendamenti, non bisognerà più dimostrare di aver subito violenza, basterà dirlo. Senza prove, riscontri, referti medici, contraddittorio, escussione testi, niente… Basta dirlo e al massimo farlo avvalorare da un centro antiviolenza che, non avendo alcun elemento valutativo diverso dalle dichiarazioni della presunta vittima, si limita a ripeterle, validandole sotto la propria stessa egida. Non è solo la legittimazione delle false accuse in fase di separazione o divorzio, un fenomeno dilagante su cui i centri antiviolenza evitano da sempre di prendere posizione, preoccupandosi invece di aggredire chiunque lo riconosca, come dimostrato dal recentissimo caso Sergiacomi. C’è di più: gli estensori degli emendamenti non sanno di proporre, oltre alla legittimazione, addirittura un incentivo alle false accuse. O forse lo sanno e l’obiettivo è proprio questo. L’accusa all’ex marito di violenze comporta la certezza di ottenere un obiettivo minimo garantito: l’esclusione dell’accusato dall’affido condiviso e la negazione per i figli di quella bigenitorialità che deve essere abolita in quanto “maledetta”, (c’è chi da mesi sui social la definisce così). Se poi l’accusa si rivela infondata – come accade nell’80% dei casi – passano anni prima di avere un’assoluzione, ma nel frattempo l’affido esclusivo si è consolidato, le frequentazioni ridotte al minimo si sono consolidate, il genitore prevalente si è consolidato e non interviene nulla di automatico per ripristinare la legalità: le eventuali modifiche a un provvedimento emesso su basi false devono essere incardinate in un nuovo procedimento, ossia altri tempi e altri costi. Costi unidirezionali, ricordiamolo, poiché chi si dichiara vittima di violenza accede al gratuito patrocinio a prescindere dal reddito. Chi attacca, anche mentendo, lo fa gratis; chi si difende deve pagarsi le spese legali. Sarei curioso di conoscere, poi, la prassi retributiva che potrebbe svilupparsi nei casi di accuse dimostratesi infondate da parte di chi ha goduto del patrocinio gratuito: spese compensate o gravame sulla falsa accusatrice?
Ancora: alla lettera c), dopo le parole: «del minore» si propone di aggiungere le seguenti: «che corrisponde al luogo in cui si trova di fatto il centro della sua vita al momento della proposizione della domanda riguardante la responsabilità genitoriale nei confronti del minore, da accertare sulla base di elementi di fatto». È il tentativo di cancellare il principio di contesto abituale del minore, riconosciuto anche in ambito sovranazionale. Una coppia vive a Roma, in quella città il figlio nasce, cresce, frequenta scuola dell’infanzia e scuola primaria, ha il pediatra, eventuali attività extrascolastiche, la rete amicale, eccetera. A tutti gli effetti è Roma il contesto abituale del minore, ma l’emendamento pretende di cancellarlo con un colpo di spugna. Se la madre intende trasferirsi portando con sé il figlio (per lavoro, per una nuova relazione, per fare ritorno presso i propri genitori o per qualsiasi altro motivo), oggi deve chiedere l’autorizzazione dell’altro genitore o, in mancanza di accordo, la decisione è rimessa al giudice. Troppe lungaggini, meglio aggirare l’ostacolo e così, passassero gli emendamenti, se vuole farlo e lo fa, senza chiedere nulla né all’ex né al tribunale. Una bella denuncia all’ex per violenza domestica e si trasferisce a Firenze, che diventa immediatamente il centro della vita sua e del figlio, a prescindere dal fatto che la madre possa risiedere presso un nuovo compagno, presso la propria famiglia d’origine o da sola in un immobile preso in locazione. Ciò comporta che il Foro competente diventa quello di residenza del minore, quindi qualsiasi reclamo del padre deve essere incardinato a Firenze. E Firenze è solo un esempio: da Roma la destinazione potrebbe essere Siracusa o Latina, Gorizia o Civitavecchia; resta il fatto che cambia il Tribunale quando la madre decide unilateralmente di cambiare il “centro della vita” suo e dei figli. Si noti bene che lo stratagemma è nella definizione: “il centro della sua vita”, non “contesto abituale”, poiché il trasferimento di 10 giorni mai potrebbe essere definito abituale rispetto a consuetudini consolidate in 10 anni. Eppure è questo che vorrebbe introdurre l’emendamento. Una serie di proiezioni: sono “il centro della sua vita” una scuola che ancora non frequenta, degli amici che ancora non ha mai incontrato, un pediatra che non lo ha mai visto, una piscina che nemmeno sa dove si trovi. Si tratta di una forzatura palese: gli interessi della prole vengono piegati al volere materno secondo quello che oggi è a tutti gli effetti un reato sanzionato ai sensi dell’art. 574 bis cp.
Una sorta di quarto grado di giudizio preliminare al primo.
Di fatto è una sorta di sanatoria: oggi allontanare i figli da un genitore configura il reato di sottrazione. In un Paese normale il bivio istituzionale sarebbe tra evitare che tali reati si ripetano, o incentivarli legittimandoli. L’emendamento chiarisce la direzione nella quale la Commissione Femminicidio intende muoversi: «nei casi in cui sia allegata qualsiasi forma di violenza di genere e domestica il giudice provveda personalmente, con urgenza e senza formalità, all’espletamento dell’attività istruttoria, con esclusione delle consulenze tecniche sulle condizioni psicologiche delle parti non derivanti da cause patologiche». Le CTU devono essere evitate se non derivanti da cause patologiche, le quali però non possono essere riconosciute da un giudice – che non ne ha le competenze – e possono eventualmente essere rilevate solo da professionalità appositamente formate. Quindi il giudice non nomina un proprio ausiliario prima ancora di sapere se avrebbe potuto rilevare cause patologiche nella coppia. Molto ancora ci sarebbe da analizzare in merito alla formazione sulla violenza di genere richiesta più volte per gli operatori giudiziari di ogni ordine e grado, ai soggetti che dovrebbero eventualmente curare tali corsi di formazione, alle ossessive allusioni alla PAS ed altro ancora. Probabilmente lo faremo prossimamente, ora il tempo stringe.
In sostanza gli emendamenti tendono a cancellare il sistema di garanzie del giusto processo a beneficio sia della presunta vittima di violenza che del presunto reo, fondato su una inderogabile separazione tra il processo penale e la volontaria giurisdizione nel civile, in modo da garantire a tutti i soggetti coinvolti l’accertamento della verità e la tutela del diritto alla bigenitorialità anche in presenza di false denunce. Colpo di mano, entrata a gamba tesa, attentato alla bigenitorialità, molte sono le definizioni che circolano in merito al tentativo neanche tanto nascosto di stravolgere la legge 54/06 e restaurare l’affidamento esclusivo a monte della riforma. Si tratta comunque di una chiara forzatura ideologica, poggiata su basi giuridicamente insostenibili. Gli emendamenti targati Valente & C. avrebbero l’effetto, in sostanza, di elevare la menzogna al rango di verità. Qualsiasi denuncia, anche la più infondata, pretestuosa e temeraria, produrrebbe delle limitazioni concrete: l’introduzione di una sorta di quarto grado di giudizio preliminare al primo, grazie al quale nascono misure a tutti gli effetti sanzionatorie, che dal penale sconfinano nel procedimento di volontaria giurisdizione.
FAI SENTIRE LA TUA VOCE ALLE ISTITUZIONI, FERMIAMO GLI EMENDAMENTI VALENTE
Se usi un programma di posta, puoi inviare la tua protesta cliccando qui per la posta ordinaria, e qui per la PEC. Oppure puoi fare copia-incolla dei modelli sottostanti.
A: andrea.ostellari@senato.it; mattia.crucioli@senato.it; raffaele.stancanelli@senato.it; elvira.evangelista@senato.it; alberto.balboni@senato.it; alessandra.riccardi@senato.it; monica.cirinna@senato.it; valeria.valente@senato.it; mariomichele.giarrusso@senato.it
Oggetto: No agli emendamenti su separazioni e affidi
Testo: Gentile Onorevole, manifesto qui la mia protesta civile verso gli emendamenti sulla disciplina di separazioni e affidi. Essi obbligano il giudice a considerare la denuncia o segnalazione come un fatto accertato, sovvertendo la presunzione d’innocenza: una proposta gravissima in un paese dove dilaga il fenomeno delle false denunce a carico di uomini durante le separazioni. Gli emendamenti di fatto aboliscono quanto stabilito dalla Legge 54/2006, derubricando la bigenitorialità da diritto del minore a opzione accessoria, in riferimento a una convenzione (quella di Istanbul) priva di ogni autorevolezza, vista la defezione di Polonia e soprattutto Turchia. Gli emendamenti umiliano il ruolo delle CTU elaborate da specialisti selezionati, dando maggiore rilevanza alla testimonianza dei minori, le stesse da cui sono sorte umiliazioni nazionali come il Forteto, i fatti della Bassa Modenese e della Val D’Enza. Io e la mia cerchia consideriamo questa iniziativa una deriva inaccettabile. Le chiediamo impegno a opporsi. La nostra memoria terrà presente i nomi di chi ha appoggiato questi emendamenti al momento della prossima tornata elettorale. Le chiediamo di agire in piena coscienza e nella consapevolezza della realtà delle cose, confidenti che non vorrà deluderci. Con viva cordialità.
PEC:
A: protocollo.centrale@pec.quirinale.it; presidente@pec.governo.it; capo.gabinetto@giustiziacert.it; gabinetto.ministro@giustiziacert.it
Oggetto: No agli emendamenti su separazioni e affidi
Testo: Buon giorno. Manifesto qui la mia protesta civile verso gli emendamenti sulla disciplina di separazioni e affidi in discussione presso la Commissione Giustizia del Senato. Essi obbligano il giudice a considerare la denuncia o segnalazione come un fatto accertato, sovvertendo la presunzione d’innocenza: una proposta gravissima in un paese dove dilaga il fenomeno delle false denunce a carico di uomini durante le separazioni. Gli emendamenti aboliscono quanto stabilito dalla Legge 54/2006, derubricando la bigenitorialità da diritto del minore a opzione accessoria, in riferimento a una convenzione (quella di Istanbul) priva di ogni autorevolezza, vista la defezione di Polonia e soprattutto Turchia. Gli emendamenti umiliano il ruolo delle CTU elaborate da specialisti selezionati, dando rilevanza alla testimonianza dei minori, le stesse da cui sono sorte umiliazioni nazionali come il Forteto, i fatti della Bassa Modenese e della Val D’Enza. Io e la mia cerchia consideriamo questa iniziativa una deriva inaccettabile. Le chiediamo impegno a opporsi. Le chiediamo di agire in piena coscienza e nella consapevolezza della realtà delle cose, confidenti che non vorrà deluderci. Con viva cordialità.