La Fionda

Donne prive dell’uomo ideale: le non-rivoluzioni di Emanuela Griglié

Ce lo siamo rimpallati per giorni tra noi autori de La Fionda, l’articolo di Emanuela Griglié (per altro co-autrice del perdibile libro “Per soli uomini – Il maschilismo dei dati”) uscito su La Repubblica martedì scorso, intitolato “Donne che non trovano gli uomini. Almeno quelli giusti“. Nessuno voleva leggerlo o scriverci sopra perché già da titolo e sommario si capiva che era fatto della stessa sostanza del delirio. Alla fine abbiamo tirato a sorte ed è toccato a me (che culo!). Che dire? Lo si potrebbe archiviare già semplicemente invertendo i sessi della narrazione e immaginando che effetto farebbe. Probabilmente La Repubblica verrebbe chiusa d’autorità in tre giorni. Un condensato di odio antimaschile, propaganda femminista e (conseguenza inevitabile) di bugie. Sarebbe da analizzare frase per frase, ma non voglio farla lunga, quindi mi fermerò sulle asserzioni più manicomiali e discriminatorie. Intanto si parte con la solita legittimazione ex ante: «lo dice la scienza». Ah be’. E la scienza dice che oggi le donne faticano a «instaurare una relazione con un maschio alla loro altezza». Gnomi deformi appetto di perfezioni alate siamo noi uomini ormai: l’empowerment femminile ci ha lasciati al pleistocene mentre le donne sono all’incirca al nono cielo del paradiso dantesco. E come è accaduto? Be’, ci sono una serie di dati che lo dimostrano. A partire da quello della banca Morgan Stanley, secondo cui nel 2030 le donne single e lavoratrici tra 25 e 44 anni saranno di più delle donne sposate. In pratica in quell’anno il sogno di un parco consumatori senza freni sarà finalmente realizzato.

Le donne arriveranno a quel meraviglioso primato perché già da tempo superano gli uomini negli studi, tanto che si stima che nel 2027 rappresenteranno il 60% dei laureati. Anche per questo «le donne si sono evolute e tante fanno carriera». Non solo: «raggiungono più spesso traguardi professionali importanti e guadagnano di più». Ehi, wait a minute… e il divario salariale di genere dov’è finito adesso? «Anche se»,  aggiunge la Griglié, senza vergogna, «purtroppo, vengono ancora pagate di meno rispetto ai corrispettivi ruoli maschili». Pare giusto: fanno carriera, guadagnano di più, ma il gender pay gap c’è sempre, ci mancherebbe, senza più chiagni non c’è nemmeno più il fotti. Insomma che lo “scriver femminista” ha come requisito di base l’aver la faccia di legno. Già si sapeva, niente di nuovo. Dunque dal lato economico oggi le fanciulle hanno esigenze di un certo livello: per essere soddisfatte e concedere le proprie grazie serve un 730 molto sostanzioso. Maddai! Viene da dirlo alla simpatica Griglié: non è che ‘sta cosa rappresenti chissà quale evoluzione rispetto agli ultimi… hm… diecimila anni di umanità femminile, però vabbè, lasciamoglielo dire, fa tenerezza. Anche perché poi dice che c’è un altro elemento cruciale in questa nuova iper-selettività femminile: la bellezza e la prestanza del maschio. Altri studi scientifici hanno dimostrato che le donne ora vogliono un esemplare prestante e alto (meno di 21 cm di differenza e già storcono il nasino… altre misure necessarie non sono pervenute). Dice che è la natura femminile a esigerlo, «per assicurare la sopravvivenza della famiglia e della figliolanza». Quindi non solo portafogli: «Le caratteristiche fisiche giocano un ruolo importantissimo nella scelta di un compagno di vita». Maddaiiii!!!

women empowerment

Il femminismo è a scoppio estremamente ritardato.

Però, di nuovo: wait a minute!!!! Dov’è che ho già sentito questi concetti? Ah sì, la teoria LMN, “Look, Money, Status”, quella con cui gli Incel  spiegano le logiche selettive femminili attuali che spingono un numero crescente di uomini fuori dall’area delle relazioni affettive ed erotiche. Quindi o gli Incel sono decenni che hanno ragione e la criminalizzazione a cui sono stati sottoposti è ingiusta, o quello delle Griglié è in effetti uno sdoganamento delle teorie Incel, oltre che una forma di ammissione di colpa. In ogni caso, giusto per avvisare l’autrice: anche la scelta del partner maschile in base alla prestanza fisica è roba vecchiotta di… hm… più o meno 130 mila anni, minuto più, minuto meno. Lor signore ne prendono atto solo ora? Era così già quando portavamo la clava, altro che carriere e studi universitari. Dunque la rivoluzione in rosa di cui favoleggia la Griglié in realtà è una non-rivoluzione: al massimo le donne oggi esibiscono in modo più plateale di un tempo i loro criteri di selezione, per il resto non c’è nulla di nuovo. Quella della Griglié è solo l’attribuzione indebita allo stream femminista di meccanismi naturali attivi da millenni. Ma lasciamole l’illusione di aver colto chissà quale aspetto della realtà attuale, perché tutto diventa interessante quando si chiede a cosa porterà nel concreto questo enorme cambiamento (vien da ridere a scriverlo). Si lascia allora la parola a una psicanalista, la Professoressa Anna Maria Nicolò, che parte subito fortissimo parlando del covid e menzionando «da un lato l’aumento dei femminicidi, dall’altro il numero sempre maggiore di donne che perdono il lavoro». ‘Nché senzo? Il nesso con l’argomento centrale è oscuro, mentre le bugie sono chiarissime, due e molto tradizionali. Infatti da un lato, come si è visto giusto di recente, i “femminicidi” (qualunque cosa siano) non sono mai stati così pochi, dall’altro il numero di disoccupati causa covid è pressoché identico per uomini e donne. Ma forse la professoressa ha citato le due fanfaluche sempre di moda per accreditarsi, un po’ come lo sbirro che mostra il distintivo, come a dire: «oh, tranqui, sono delle vostre…».

Assodato che l’opinione conclusiva sulle due non-rivoluzioni che riguardano le donne viene affidata a una conclamata femminista, non resta da chiedersi se si tratta di una TERF o di una intersezionale. «Che la famiglia come struttura possa avere i giorni contati, è tutto da vedere», dice la Nicolò. Oddio, sta a vedere che ci siamo sbagliati ed è una da Family Day… Precisa allora: «Anche perché ne esistono di tipi molto differenti». Ok allora: femminista intersezionale, transfemminista o giù di lì. Quelle per cui è famiglia anche un single con i suoi pidocchi, un pesce rosso con le sue rocce finte nella boccia, un cesso con il suo spazzolone. A posto siamo… A riprova, cita una ricerca del Tavistock Center di Londra, quello (guarda caso) oggi specializzato nel business delle transizioni per adolescenti giovanissimi e molto confusi (do you remember Keira Bell?). Ci aspettiamo a questo punto che citi anche qualche ricerca elaborata negli anni ’40 dalla nota clinica presso il Castello di Hartheim, invece la professoressa ci prende di sorpresa: «la famiglia come struttura sociale è ineludibile, ma certo la configurazione cambierà. Già oggi sta avvenendo, con gli uomini che prendono parte più attivamente ai processi di caregiving». Ma wow! No, dico: ma wowSono stati citati gli uomini senza associarli alla violenza o al femminicidio! Certo, come la Griglié che la intervista, la professoressa è un pelo in ritardo, visto che in realtà gli uomini si sono riassestati verso una logica prevalente di caregiving già da una cinquantina d’anni, ma vabbè, era già evidente da inizio articolo che il femminismo è a scoppio estremamente ritardato rispetto alla realtà storica, quindi perdonata dai. Ma alla fine tutte queste parole al vento per cosa? Qual è la conclusione?

Anna Maria Nicolò
La Prof.ssa Anna Maria Nicolò

Un castello di carte destinato a essere spazzato via.

La più scontata di tutte: le donne si sono evolute e ora vogliono di più, gli uomini sono rimasti indietro, patiscono per la perdita di potere, tanto che ormai quasi a nessuno tira più l’uccello. E a questa incipiente impotenza si risponde con «femminicidio e crescente aggressività». Cioè tipo: non riesci a trombartela, allora menala o ammazzala. E tutto perché, dice la professoressa, stiamo passando da una famiglia patriarcale a una famiglia fraterna. Cioè a una forma incestuosa? «Un percorso strettamente legato alla scissione tra sesso e genere». Quindi sì, nel mondo fluido dove sesso e genere sono scissi, ci sta un po’ tutto no, compreso l’incesto. Alla luce di questo delirio, la conclusione della coppia vincente Griglié-Nicolò è tra le più scontate: «gli uomini devono cedere potere, accettare relazioni più paritarie. E non è semplice: il vero cambiamento culturale avverrà quando alle dinamiche di potere tipiche del patriarcato si sostituiranno quelle basate sul prendersi cura dell’altro». Avevo annunciato che saremmo andati incontro a uno scenario manicomiale, sapevo che sarebbe stato così prima ancora di leggere, ebbene eccovelo in tutto il suo splendore. Rileggete questa mia ricostruzione in questo paragrafo e poi l’originale, se non vi fidate, e provate a ragionarci sopra. Cercate di immaginare che futuro potrebbe essere quello dei nostri figli e delle nostre figlie lasciando in mano la sua impostazione a gente che scrive, dice, pensa e soprattutto insegna (visto che la Nicolò è professoressa) questa roba qui. Nelle sue parole, oltre a follie indimostrate e indimostrabili, dunque false, come la scissione tra sesso e genere, c’è un elemento chiave, di cui tutto l’articolo stesso è impregnato.

Si tratta della netta separazione e contrapposizione tra i due sessi. Il presupposto di tutto è sempre il solito: tra uomini e donne c’è sempre stata e c’è ancora una mera competizione per il possesso del potere. Per secoli ha vinto l’uomo, essenzialmente grazie alla violenza, all’oppressione e ai propri privilegi, ora invece sta vincendo la donna, grazie solo ai suoi meriti, a cui l’uomo risponde aumentando il tasso di violenza e oppressione. Il che non è soltanto una chiave di lettura falsa, è proprio maligna nel senso fisiologico con cui si parla di un cancro. Si sovverte il significato proprio della famiglia: da sempre il luogo della cura reciproca, dell’alleanza e della comunione tra uomo e donna, realizzate con diversi metodi e mezzi, diventa qualcosa di indistinto dove l’uomo deve imparare a “prendersi cura dell’altro”. Come se per secoli avesse fatto qualcosa di diverso, quando andava ad ammazzarsi di lavoro per mantenere tutti o a farsi ammazzare in guerra per difendere tutti, giusto per dirne due. La premessa, il narrato e l’impianto ideologico di articoli così è insomma una cosa sola: conflitto, competizione feroce e senza regole, dicotomia, distanza, divisione tra uomini e donne. C’è alla base l’ansia da prestazione di un’accolita di pazze ideologizzate secondo cui realizzarsi non è essere donne, ma fare le stesse cose che fanno gli uomini nell’ottica di soppiantarli, schiacciarli, umiliarli. Questo è il clima che si respira oggi, nel mondo degli adulti e in quello dei ragazzi che vanno a scuola e nelle università. Poi ci si stupisce dell’abbandono scolastico, dello scarso successo maschile negli studi o di emendamenti deliranti di senatrici a noi ben note. Quello rappresentato dall’articolo della Griglié non è nemmeno più, però, come potrebbe sembrare, un futuro progettato a misura di donna e in un’ottica di oppressione a danno degli uomini. È semplicemente il sogno di un pazzo votato alla distruzione generale dell’umanità e ormai provvisto del potere, dei giornalisti e dei professori necessari per provarci seriamente. Piccolo problema per loro: non ci riusciranno perché quel loro futuro è fondato su chiacchiere buone al massimo per costurire un castello di carte. E perché ci siamo noi e tantissimi altri pronti a spazzarlo via.



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