«Ci sono delle donne che a volte fanno delle denunce assolutamente infondate per delle cose che in realtà o non sono vere o non sono così gravi». No, non l’abbiamo detto noi, anche se un concetto simile lo esprimiamo da cinque anni e altri da almeno dieci. Noi non avremmo usato l’espressione “a volte”, bensì, “spessissimo”, e avremmo portato una gran quantità di dati a supporto dell’asserzione. Ad esempio che nel 2021, da inizio anno, si è registrata una media di più di una falsa accusa al giorno, soltanto tra quelle uscite sui media (figuriamoci tutte le altre…). In realtà a pronunciare questa frase pericolosissima, come ha già raccontato sabato il nostro Fabio Nestola, è l’avvocato padovano Luciana Sergiacomi, che incidentalmente è pure Presidente della Commissione Pari Opportunità del Comune di Padova. Se come legale probabilmente ha visto direttamente l’enormità di denunce strumentali che le donne fanno nel nostro Paese contro gli uomini, come Presidente delle Pari Opportunità non è autorizzata a farsi sfuggire dal seno voci così vere e disarmanti. Sì, perché dire una cosa del genere ha un effetto devastante per la narrazione femminista dominante: toglie alle donne la palma di uniche e principali vittime della violenza, che deve sempre essere maschile. Fare come ha fatto l’avvocato Sergiacomi è un po’ come se sotto il regime sovietico uno si fosse messo al centro della Piazza Rossa e avesse gridato: «compagni, il proletariato non esiste!». L’effetto è lo stesso: ai tempi sarebbe finito alla Lubjanka, oggi viene seppellita da una shistorm colossale.
Si solleva infatti, coltello tra i denti, il locale e immancabile centro antiviolenza, il “Centro Veneto Progetti Donna”: «Sono parole che pesano come macigni perché mettono in dubbio la credibilità delle donne che subiscono violenza, alimentando uno degli stereotipi più diffusi e uno dei principali ostacoli all’emersione del fenomeno: le donne vittime di violenza mentono». Dimenticano, le gentili signore, che nella quasi totalità dei casi gli stereotipi riflettono realtà fattuali. Ed è esattamente questo il caso: stando ai numeri e alle testimonianze, gran parte delle donne che si rappresenta come vittima e sporge denuncia, poi risulta che abbia mentito, per dolo o per colpa non importa. Una circostanza che si verifica con particolare frequenza quando è in atto una separazione coniugale di tipo giudiziale, cioè con discordia. E sono costoro, non di rado istigate proprio dai centri antiviolenza, a far perdere credibilità alle accuse femminili, per la logica sottesa alla famosa massima del «al lupo! Al lupo!», grazie alla quale a perderci davvero sono le fortunatamente poche donne veramente vittime di violenza. In realtà, come ha già sottolineato Nestola, se la lotta alla violenza contro le donne fosse sincera e non solo un mezzo per maneggiare soldi e potere, in prima linea ad ammettere e combattere contro le false denunce dovrebbero esserci proprio i centri antiviolenza. Ma il loro fine, per l’appunto, non è quello, ed ecco allora l’alzata di scudi e l’usuale fanfaluca: «molto spesso le donne non denunciano per paura di non essere credute». Sì, come no.
Una semplice repressione interna all’Antiviolenza Srl.
I retroscena di questa baruffa patavina però sono altri, ancora più interessanti. L’avvocato Sergiacomi avrebbe pronunciato la frase incriminata durante un webinar dall’originalissimo titolo: “La violenza sulle donne e gli strumenti giuridici di tutela”. Messa sotto accusa per la sua osservazione, così si difende: «il mio discorso era mirato a chiarire il reato di stalking. La denuncia di questo reato deve essere fatta in modo adeguato, circostanziato, deve essere supportata da ogni elemento utile in quanto si tratta spesso dell’avvio formale di un procedimento giudiziario serissimo». Mente e sa di mentire, l’avvocato Sergiacomi. È ben noto, oltre che essere nel testo dell’Art.612 bis del Codice Penale, che le circostanze integranti gli atti persecutori si riducono alla sussistenza nella presunta vittima di uno stato d’ansia e paura, accompagnato da un cambiamento delle abitudini di vita e da un timore per sé e per i propri cari. Tutta roba indimostrabile, per cui non servono prove né testimoni, e che quindi la presunta vittima dichiara sulla parola, in un certo senso “autocertifica”, con la certezza di essere creduta perché, si dice, “che ragione avrebbe di mentire”? In realtà sono più di mille le ragioni per cui potrebbe mentire, ma non sono contemplate dalla legge. Ed ecco che, dal 2009 (anno di approvazione della legge anti-stalking) ad oggi si è accumulata una casistica amplissima e in molti casi folle di ciò che può essere stalking. L’avvocato Sergiacomi non può non saperlo, ma allora perché nella sua replica mente? Essenzialmente per cercare di uscire dall’angolo, di cavarsi d’impaccio e trarsi pulita dalla shitstorm che nel frattempo lampeggia sul suo orizzonte.
Si capisce che il suo è un abile tentativo di “aggiustare il tiro” da come continua: «accade che le donne ravvisino o siano indotte a ravvisare la sussistenza del reato di stalking – perché male informate o mal consigliate – in episodi o situazioni che non lo configurano giuridicamente. Per tale ragione le loro denunce vengono valutate come giuridicamente infondate e quindi giudicate false e strumentali ad ottenere altri scopi, sortendo l’effetto opposto a quello desiderato». Capito? Lei voleva solo dire che quando capita, se capita, è perché le false accusatrici si sbagliano, sbadatone che non sono altro! Interpretano male le cose… oppure sono “indotte”, come bambole senza volontà. E in effetti su questo l’avvocato ha ragione: si sa bene che i maggiori soggetti induttivi delle false accuse sono proprio i centri antiviolenza. Insomma una bella marcia indietro dell’avvocato, una volta tanto che, dalla sua posizione istituzionale così importante, poteva vantarsi di aver detto una cosa finalmente vera. Ed è a quel punto che si capisce perché sia così zelante nel rimangiarsi la verità: «Non capisco questa alzata di scudi, tanto più dal Centro Donna con il quale collaboro da tempo». Ah ecco: l’avvocato è una collaboratrice di lunga data del centro antiviolenza che ora la sta contestando. Tutto così prende una prospettiva diversa: è una semplice repressione interna all’Antiviolenza Srl verso chi ha osato per un attimo “deviare dalla linea”. E il bersaglio della repressione abiura subito, hai visto mai che si perdano altre occasioni di collaborazione, cioè mandati con relativa parcella.
Ogni tanto qualcuna di loro cade nella loro stessa trappola.
Il capo cosparso di cenere alla fine vale il perdono da parte del soviet supremo del centro antiviolenza: «nessuna alzata di scudi, solo una presa di posizione doverosa». Immaginate le capette del CAV agitare il dito sotto il naso di un avvocato Sergiacomi imbronciata, sgridandola come un bimbo discolo: «non lo fare mai più!». Di certo starà ben attenta l’avvocato a dire la verità d’ora in poi. Anche perché sul liscebusso le pasionarie del centro antiviolenza mettono il carico della solita retorica relativa alle innumerevoli donne che subiscono in silenzio, non raccontano, non denunciano. Sì, ma innumerevoli quanto? Non palesandosi, non si sa, ma la frase, detta così, fa effetto… e se qualcuno chiede: oplà! Eccolo servito: «a dirlo non è solo l’esperienza dei Centri antiviolenza, che raccolgono le storie delle donne, ma anche le osservazioni e le analisi del Grevio-Consiglio d’Europa, che ha compiuto una ricognizione del sistema di contrasto della violenza alle donne in Italia basandosi sull’analisi dei dati e sullo studio delle normative e dei meccanismi di applicazione». Ah ecco. Dunque a garantire che sono tantissime le donne che non denunciano, sono soggetti che si pappano milioni di euro ogni anno affermando che le donne vittime di violenza (che denunciano e che non denunciano) sono tantissime. Tutto autocertificato anche qui, nell’ambito di un conflitto d’interessi grosso come l’universo e di una totale assenza di dati verificati, che invece sono ampiamente presenti se si tratta di smentire questa grossa trappola in cui finisce regolarmente tutta la società italiana e, di tanto in tanto, anche qualcuno che è partecipe del grande inganno e, per distrazione o sicumera, devia dall’ortodossia più rigida.