Lo scrittore e giornalista Marcello Veneziani pubblica sul n.30 di Panorama e sul suo sito una riflessione su cui vale la pena dire qualche parola. A stimolarlo è una docente di liceo classico ora in pensione che propone un progetto «per valorizzare il ruolo centrale della maternità non in famiglia o nella società ma soprattutto in politica». Appare bieca retorica femminista, a prima vista, ma non lo è. Il riferimento della docente è un preciso elenco di elementi: «la saggezza delle donne che regnarono o che consigliarono i potenti, la maggiore sensibilità femminile, l’attenzione all’economia domestica e il prendersi cura come attitudine naturale materna, la loro concretezza unita all’amore». Concetti tutt’altro che femministi, insomma, e in buona parte condivisibili, soprattutto laddove si ammette implicitamente che non è mai esistita una storia a misura d’uomo, il famoso e famigerato “patriarcato”, ma vicende dove uomini e donne partecipavano unitamente, ognuno dalla propria posizione, alla tessitura del progresso, semmai divisi trasversalmente tra altre dicotomie molto più reali, come quella ricchi/poveri, padroni/schiavi e così via. Vi furono insomma regine e re, affiancati da consiglieri e consigliere, mariti o mogli, che dominavano su contadini e contadine, operai e operaie, servi e serve e così via.
Per analizzare la proposta della docente, Veneziani si fa una domanda precisa: «La politica fu un tempo il regno dei Padri, potrà diventare il governo delle Madri?». Nonostante le premesse della professoressa, il giornalista sembra sposare lo schema mistificato del “patriarcato”, tuttavia da questo errore svolge un ragionamento pienamente condivisibile, in buona parte imperniato su una critica di principio alla filosofia distruttiva che fa da fondamento al DDL Zan. Non ci interessa questa parte del suo discorso, piuttosto è interessante il suo elenco dei fenomeni anomali e più noti che oggi fanno riferimento alla vita delle donne: il femminismo fanatico, il “MeToo”, la guerra tra i sessi, le quote rosa, la distruzione della maternità, con un accento di aspra condanna per la pratica dell’utero in affitto, «una mortificazione e una violenza inaudita per le donne, una prostituzione e un’espropriazione non solo del proprio corpo ma della maternità e dei suoi frutti naturali e affettivi, i figli», scrive Veneziani. Che sul punto della maternità impernia tutto il restante discorso, connettendovi immigrazione e degrado etico generale delle società e della politica che sarebbe chiamata a dare indirizzi razionali verso il bene comune. La sua è una posizione che è, o vuole suonare, come femminista: la sua preoccupazione è la difesa della dignità femminile, oltre che dei nascituri, e sui temi critici che ha sollevato chiama in appello proprio il mondo femminista, assente e silenzioso su quei temi.
«In questo clima», conclude Veneziani, recuperando la suggestione iniziale della professoressa in pensione, «proporre alla politica un ruolo materno, ritenere cioè che si debba rifondare la politica ripartendo dalle madri suona come un risveglio di ruolo e un’inversione di rotta. Tutt’altro che maschilista, perché si presuppone un ruolo non subalterno, non di supporto domestico, delle donne ma un ruolo centrale, di guida e fondamento della società. E sarebbe anche una risposta non “regressiva” alla mortificazione della maternità con la “surrogata” e l’utero in affitto». Difficile non condividere questo punto di vista, ma difficile condividere il tono con cui viene espresso. Quest’ultimo appare impregnato di senso di colpa verso una “subalternità” femminile che è più mito che realtà, più strumento di colpevolizzazione che fatto reale, e nel tranello anche un pensatore ben attrezzato come Veneziani purtroppo casca con calzini e tutto il resto. Il concetto centrale però è sacrosanto se visto nella prospettiva giusta, ovvero quella apertamente antifemminista: perché è il femminismo, oltre al movimento queer, ad aver creato le mostruosità che Veneziani ha elencato, dunque non ha molto senso appellarsi al boia per far resuscitare il condannato ormai decapitato. Ha senso invece appellarsi alla maternità per superare il conflitto permanente creato dal femminismo che umilia anzitutto le donne e la femminilità. Non c’è infatti peggior nemico né arma più letale contro la regressione femminista di una donna che torni ad essere al contempo femmina e madre, ancor più se questo processo trova una sua traduzione in una completezza individuale e poi anche, dal lato pubblico, in politica.
Tuttavia il quadro prospettato dalla professoressa che scrive a Veneziani e da Veneziani stesso di rimando rimane parziale, manca di un intero versante, quello maschile. Perché non si dà donna senza uomo, tanto meno si dà una madre senza un padre. Pensare a una nuova politica rifondata sul binomio donna-maternità, pur avendo un utile effetto repellente rispetto al femminismo, significa continuare a concepire una sorta di risarcimento verso un sesso, con il connesso presupposto dell’oppressione storica. Si tratterebbe di un progetto “positivamente” discriminante oggi in compensazione di una discriminazione passata in realtà mai avvenuta. Dalla padella alla brace, insomma. Serve capire che l’obiettivo femminista non è soltanto dare il potere alle donne (ma solo a quelle scelte dalle femministe stesse, mica a tutte), ma è soprattutto dividere in fronti contrapposti uomini e donne. Solo spezzando quel connubio e contrapponendone le componenti sono potute nascere le anomalie che Veneziani correttamente elenca. La vera risposta dunque non è una politica rifondata in un’ottica materna, bensì una politica rifondata su un concetto attuale e moderno di parità, dove uomini e donne si riconoscono reciprocamente come individualità, nelle loro differenze e nelle loro migliori possibilità di integrazione, in uno scenario di pieno riconoscimento di diritti e dignità. La vera risposta alle molte follie contemporanee, utero in affitto in primis, è il ritorno della donna all’orgoglio creativo di essere femmina e madre mentre l’uomo fa lo stesso percorso verso la maschilità e la paternità. Entrambi diversi, posizionati su versanti opposti, ma costantemente in cammino alla ricerca di un punto di convergenza ed equilibrio. Entrambi, e non solo uno dei due, con un’identità ritrovata e consolidata, declinata in una visione prospettica, umana e non parziale, sono il vero antidoto alle follie seminate oggi affinché possano infestare il domani.