Veniamo regolarmente sbeffeggiati quando, in diverse sedi, sosteniamo che esiste un collegamento diretto tra il dilagare del femminismo suprematista (e del movimento queer) e il regime economico attuale, questa forma di neo-iperliberismo globalista messo in atto all’interno di una nuova forma di capitalismo, quello efficacemente definito “della sorveglianza” dalla studiosa americana Shoshana Zuboff. Il collegamento sarebbe nel fatto che, alle condizioni attuali, il sistema ha bisogno di spingere al massimo possibile, e magari anche oltre, il livello dei consumi. Dal punto di vista della produzione, quasi tutto si è concentrato in paesi dove il costo del lavoro è bassissimo, quasi al livello della schiavitù. Ciò permette alle varie firme e marchi che legalmente risiedono nei paesi sviluppati di inondare il mondo con la loro offerta, attraverso una rete di servizi capillarissima ed estremamente invasiva, grazie soprattutto all’e-commerce e ai processi di monitoraggio e influenza delle scelte individuali attivati dai social media e dai motori di ricerca. Un apparato che ha senso solo se si ha una domanda diffusa capace di assorbire tutta quella offerta. Tuttavia una domanda di quelle proporzioni di fatto non c’è. Occorre quindi stimolarla, crearla, inventarla. Anche perché dal lato del consumatore c’è un elemento esecrato dalle grandi corporate della sorveglianza e dell’iperproduzione: il risparmio. Costoro vedono in ognuno di noi una cassaforte contenente un gruzzolo che, nella loro logica, non può e non deve restare sotto chiave. Deve finire nelle loro tasche. E hanno diversi modi per riuscire nell’intento.
La pubblicità in sé non basta più. Anzi ha raggiunto un tale livello di parossismo e invasività da ottenere nella maggior parte dei casi un effetto contrario. Di contro ci sono le enormi potenzialità della mappatura delle azioni, opinioni e desideri attuata dai social media e dai motori di ricerca. Se ben utilizzata, può servire a orientare le scelte di consumo degli individui. Ma non basta ancora. Il passaggio ulteriore per rivoltarci e far cadere ogni monetina che conserviamo in tasca è fare a pezzi ogni istituto che, per sua natura, propenda più verso il risparmio che verso il consumo. Primo imputato: la famiglia. Nella normalità delle cose, marito e moglie che riscontrino di essere riusciti a sparagnare miracolosamente 100 euro dai conti del mese, non si danno subito da fare su Amazon per capire come spenderli, ma li mettono via. Per eventuali spese mediche future, per gli studi dei figli, o per qualunque altra evenienza. La famiglia, per sua costituzione, presiede al sacrificio del piacere e della soddisfazione del desiderio attuali per un beneficio da godere nel futuro. Il problema è che il sistema vuole i nostri soldi e li vuole adesso, in cambio di oggetti o servizi in gran parte inutili. Ecco allora che una chiave di volta è la polverizzazione dell’istituto della famiglia, tramite l’istigazione sempre più spinta di un clima di conflitto tra le sue componenti, gli uomini e le donne, e il suo ampliamento a realtà che, pur avendo una loro piena e totale dignità, nulla hanno a che fare con il genuino istituto familiare. Così si definisce “famiglia” la coppia omosessuale, ma anche la donna sola con due gatti, talvolta addirittura il single. Di modo che se tutto è famiglia, niente più lo è, secondo un processo di liquefazione dei concetti che descrivono la realtà, con la conseguente liquefazione della realtà stessa. All’esito si ha una spinta verso un individualismo egotico ed egoistico, quand’anche vissuto in coppia, distruttivo.
Tanti Pinocchio liberati finalmente dal Grillo Parlante.
Non basta ancora il tentativo, al momento solo in parte riuscito, di trasformarci tutti in monadi, talvolta casualmente coinvolte in viaggi comuni o collettivi, con una connessione reciproca resistente come una bava di ragno, e comunque tutte galleggianti in un liquido amniotico di desideri che si rincorrono continuamente, la cui soddisfazione ha durata infinitesimale, subito sostituita da altri e nuovi desideri. Serve di più, molto di più per garantire uno sbocco all’iperproduzione e alla gigantesca rete di servizi connessa alla sua collocazione. Ecco allora che vengono in soccorso numeri e dati: la più spiccata propensione al consumo è propria, nell’ordine, di donne e bambini. Non a caso sono essi a determinare all’incirca il 90% delle scelte nei consumi a livello mondiale. Ecco allora che il sistema congegna un meccanismo molto astuto e sottile, che agisce su due versanti, uno generale e uno specifico. Quello generale si rivolge a tutte le singole componenti di quel pulviscolo disperso che sono diventate le comunità e le società. Obiettivo: infantilizzare tutti, ritardare i processi di maturazione e adultizzazione, quando non annullarli. Da esseri ragionanti e complessi è necessario che tutti si trasformino in esseri desideranti ipersemplificati. “Da cittadini a clienti”, come recitava un profetico libro scritto su questo tema nel 2007 dal pubblicitario Benjamin Barber. Sul piano bio-fisiologico e naturale c’è soltanto una figura da far fuori per ottenere quell’infantilizzazione di massa che consenta un aumento spropositato della domanda dei consumi: il padre. Ovvero proprio colui il cui ruolo è catapultare i figli dall’infanzia all’età adulta, togliendoli dolcemente dal comodo seno materno per collocarli sull’aspro terreno della vita, spingendoli con amorevole crudeltà fuori dal bordo del nido. Nasce da qui la gran massa di adulti e meno adulti mai cresciuti davvero, bamboccioni e bamboccione in fila per il nuovo modello di i-Phone o con l’unica ambizione nella vita di diventare influencer e soggetti votati alla soddisfazione dei propri desideri, nella totale assenza di responsabilità. Ecco allora la ben nota e graduale distruzione del ruolo liberante del padre in atto ormai da tempo.
Fatto questo, non resta che un ultimo passaggio specifico per garantirsi un mondo che consumi a tutta birra ciò che a tutta birra viene prodotto e proposto dall’apparato globalizzato iperliberista e sorvegliato: togliere di mezzo l’uomo, il maschio. Un passaggio necessario perché è lui, tra i due generi, quello più proclive alla sobrietà, al risparmio, al sacrificio in vista di un bene futuro. È lui, tra i due sessi, quello capace di vivere di poco e con poco e purtuttavia trovare modo di essere creativo, felice o santo. Diogene, Gesù Cristo, San Francesco d’Assisi, Wolfgang Amadeus Mozart, il Mahatma Gandhi, solo per citarne alcuni, erano tutti poveri, per circostanze o per scelta, talvolta anche fino alla fame, eppure hanno cambiato il mondo. Le donne che storicamente si sono cimentate nella stessa impresa, come ci ricorda spesso il nostro Santiago Gascó Altaba negli articoli domenicali, erano tutte di condizione agiata, comodamente alto-borghesi, e forse anche per questo hanno inciso molto meno sull’evoluzione umana. L’uomo, di fatto, opera e rivoluziona il reale anche (se non soprattutto) quando ridotto ai minimi termini della sopravvivenza, perché è capace di far sì che tali termini non gli pesino, votato com’è al sacrificio in vista di un bene futuro o ulteriore. È lui che, se gli avanzano 50 euro dallo stipendio, rinuncia a portare la compagna a cena fuori e apre un fruttifero in posta per il figlio o la figlia. È lui che assomma un miserrimo 2-5% delle decisioni sui consumi a livello mondiale. È lui che, per questo, va tolto di mezzo. E in questa direzione vanno l’azione e la narrazione collettiva, guarda caso proprio a partire dal momento in cui il corrente sistema economico si è consolidato (primo decennio degli anni 2000), con la criminalizzazione sistematica del maschile e ogni favore concesso calcolatamente a ciò che è giovane o infantile e soprattutto femminile. Chi, al di sopra di noi, delle comunità e delle società, ci inonda di prodotti e servizi da vendere e ci sorveglia tramite il web, ha bisogno che il mondo sia costituito da miliardi di bimbi e femmine, tanti Pinocchio liberati finalmente dal Grillo Parlante o, se si vuole, tante gaie cicale non più molestate da barbose e formiche votate all’etica. Ebbene, quando esprimiamo questi concetti in genere veniamo derisi. Eppure sono sempre più frequenti le conferme, incarnate in sistematici articoli come questo: