Da messaggio privato. Mi chiamo L., sono il babbo di un’adorabile bambina di 6 anni e mezzo, e per quasi 4 mesi, in piena pandemia del 2020, non ho saputo nulla di mia figlia perché la madre se l’è presa su con sé portandola via in una casa protetta. Non l’ho vista per 4 mesi interi. Non l’ho sentita. Non le ho potuto parlare. Non le ho potuto mandare messaggi. Non le ho potuto nemmeno mandare gli auguri di Pasqua o un regalo. Ho creduto di impazzire. Non l’ho vista io, non l’hanno potuta vedere né sentire i miei genitori, colpevoli di nulla. E la cosa più assurda sai qual è? Che nemmeno io ho nessuna colpa. Non sto scherzando: non ho assolutamente fatto nulla ed è stato sancito dal giudice. No, non sono un padre violento. No, non ho il vizio del gioco. No, non bevo. No, non mi drogo. Non sono nemmeno un gilet arancione, un terrapiattista, un novax, non credo nella pericolosità del 5G, nelle scie chimiche, nel grande complotto di Bill Gates o altre cazzate. Sono, purtroppo, semplicemente e assolutamente un padre normale, che ha un lavoro e una vita normali e che ha purtroppo la colpa di amare la propria bambina.
Verso marzo del 2020, quando eravamo proprio agli inizi dell’emergenza Covid, la sua mamma, mia ex compagna, semplicemente un giorno decide arbitrariamente che secondo lei sono un uomo violento. Chiama le forze dell’ordine, dice che non si sente al sicuro con me attorno e si fa portare in sicurezza in un luogo protetto con nostra figlia. Mi stai chiedendo se una donna può farlo anche senza che vi sia un reale pericolo? Si, può assolutamente farlo. E ti dirò di più: paradossalmente può farlo anche se il pericolo proviene da lei stessa. Se è lei ad essere violenta, squilibrata o pericolosa, come più volte è successo. Si, lo so, probabilmente stai rileggendo le ultime frasi perché ti sembra troppo assurdo. Allora lo ripeto in modo più chiaro: per la legge italiana, se una donna, anche instabile, isterica o violenta, decide un bel giorno che non si sente al sicuro, può chiamare le forze dell’ordine, prendere su i propri figli e sparire a tempo indeterminato in un luogo protetto (protetto da cosa poi? da lei stessa?) impedendo qualunque comunicazione tra lei, i bambini e tutto il parentado (padre, nonni e parenti o amici di qualunque grado da lei scelto).
Le donne sono molto, molto abili e crudeli in questo.
In Italia per fortuna (o purtroppo) esiste questa bella cosa chiamata “codice rosso”. Come ben sai, il codice rosso è una procedura di tutela che scatta in automatico nel momento in cui arrivano tre chiamate alle forze dell’ordine. E come meglio di me saprai, questa soluzione è stata adottata per tutelare le donne realmente vittime di ex compagni violenti, per le quali il fattore tempo di messa in protezione è determinante, spesso discriminante tra la vita e la morte. E questa è una bellissima cosa. Solo che c’è un grosso, grossissimo, “MA”. Il codice rosso scatta a prescindere che ci sia una reale pericolosità o meno. Ti dirò di più: il codice rosso scatta a prescindere da CHI SIA il soggetto pericoloso. Cosa significa questo? Che se una donna semplicemente comincia a nutrire un senso di rancore e desidera una rivalsa nei confronti del suo ex compagno (mmm… non mi è nuova questa storia…), semplicemente chiama tre volte le forze dell’ordine e viene portata via con i bambini. E nel momento in cui sai che usare i figli per ferire il tuo ex è la strategia più efficace, perché non usarla? E infatti così è successo.
La relazione con la mia ex compagna è iniziata poco più di 7 anni fa. Mia figlia è nata 1 anno dopo. Dopo che la bambina è nata, pian piano le cose hanno iniziato a non funzionare nella relazione con la mia ex compagna. Non era soddisfatta e, semplicisticamente, non essendo in grado di fare alcun tipo di autoanalisi, proiettava in me la causa di questa insoddisfazione. Voleva più soldi. Voleva più tempo da parte mia. Voleva sì che io lavorassi ma non troppo, così che mi prendessi anche cura poi della casa e della bambina (lei non lavorava, tranne brevissimi periodi per difficoltà caratteriali, facendo lavori che io stesso la aiutavo a trovare). Nel tempo aveva iniziato a diventare pian piano sempre più verbalmente violenta. Mi offendeva, mi prendeva in giro se non avevo i successi lavorativi sperati. Mi diceva che ero un uomo senza coglioni. Mi biasimava davanti alla bambina perché stavo via per lavoro. Mi augurava che i miei collaboratori mi lasciassero. Ogni giorno tornare a casa la sera era un incubo, conscio della violenza psicologica a cui sarei andato incontro e solo una cosa mi spingeva a tirare avanti: l’amore per mia figlia. Credimi: avrei preferito mille volte prendere dei ceffoni, rispetto a quella tortura. Le ferite sulla pelle si vedono ma non fanno così male come quelle di una persona che amavi e che ora ha come unico scopo quello di ferirti. E le donne sono molto, molto abili e crudeli in questo.
La notte quasi non riuscivo a dormire.
Spesso parlava con la bambina in lingua straniera per non farsi capire (lei è di origini polacche), a volte intuivo da mia figlia che le parlava male di me. Dagli insulti, è pian piano passata ai piccoli dispetti. Chiavi di casa o della macchina che sparivano quando ne avevo bisogno. Documenti che non si trovavano. Ammaccature sull’automobile. A volte prendeva la mia macchina (che le prestavo per evitare discussioni) e non la riportava all’orario stabilito, facendomi fare tardi. A volte chiudeva la porta del mio studio “accidentalmente” lasciando i pazienti a dovermi aspettare fuori per strada. Altre volte addirittura chiudeva alcune porte della casa e nascondeva le chiavi. Era un piccolo inferno quotidiano. Ma a cui potevo ancora resistere. Poi hanno cominciato le litigate selettive. Accuratamente studiate, pianificate. Sempre fatte, guarda caso, quando sapeva che potevano farmi più male: prima di una riunione di lavoro, prima di ricevere dei pazienti, prima di dover tenere un webinar. Oppure in presenza di mia figlia, quando sapeva che non potevo né volevo arrabbiarmi. E qui, attuava una strategia tanto perversa quanto geniale: se restavo a discutere davanti alla bambina diceva che ero un violento. Se me ne andavo via diceva che non avevo le palle per affrontare le discussioni. E davanti a mia figlia, aggiungeva che ero un padre degenere perché la stavo abbandonando.
Quando potevo, portavo via la bambina con me per evitare che vedesse la madre così, ma spesso le discussioni venivano iniziate proprio poco prima che io dovessi andare a lavorare, quando sapeva bene che non potevo portare mia figlia con me (e a volte, nella disperazione, l’ho fatto, trovandomi a trattare così alcuni pazienti con la presenza di mia figlia). Poi, pian piano, hanno cominciato anche i gesti violenti da parte sua. Sapeva di poterselo permettere, per un solo semplice motivo: era una donna, era fisicamente più debole di me e sapeva bene che, se le avessi fatto male, sarei finito nei guai. Non sai le volte in cui ha alzato le mani contro di me e, per fortuna, riuscivo a bloccarla. E pensa quale ingiustizia dovevo subire: anche in questo caso dovevo stare ben attento a bloccarla senza però farle male, perché se le stringevo i polsi troppo forte, avrei potuto lasciarle dei segni che lei sarebbe stata ben felice di far refertare. Non sai la paura che vivevo a volte quando aveva una siringa in mano o un coltello da cucina. Memore di quello che è successo ad altri uomini, la notte quasi non riuscivo a dormire. Quello che mi dava un minimo di sicurezza era la consapevolezza del fatto che, quantomeno, sapesse anche lei che non avrebbe potuto causarmi ferite visibili.
«La donna in questo momento storico è dalla parte della ragione a prescindere».
Infine, ho scoperto che mi registrava. Di nascosto, in modo ben calcolato. Tutte le volte che mi portava al limite della pazienza, nei momenti opportuni, in modo studiato, aspettava diligentemente che alzassi la voce, esasperato, disperato, impotente e accendeva il suo bel registratore nel telefono. Per poter dimostrare che ero un uomo violento. Forse ti stai chiedendo perché faceva tutto questo. Ebbene, non ha nemmeno mai avuto bisogno di nasconderlo: per soldi e per il semplice desiderio di rivalsa nei miei confronti. Me l’ha detto, chiaramente, nei momenti di rabbia, quelli in cui calava la maschera da vittima innocente che ogni giorno indossava e si dimostrava per quello che era. Il suo ideale di famiglia perfetta non era andata come se l’era programmato e, pertanto, era giusto che io dovessi pagare per la sua delusione. Nella sua testa, dovevo pagare per i suoi sogni infranti, pagare per non essere stato l’uomo perfetto, il partner perfetto, il padre perfetto, sempre presente, sempre accondiscendente, pronto a dare tutto il sostegno economico necessario alla famiglia senza che il lavoro mi togliesse tempo. Pronto a sopportare ogni suo capriccio con totale accondiscendenza. In pratica, dovevo essere già un giovane miliardario innamorato e nullafacente. Un Christian Grey come quello di 50 sfumature di grigio (sì, da lei più volte seriamente citato!), solo senza inclinazioni sadomaso.
Non essendo riuscita ad ottenere quello che voleva e come voleva, ha utilizzato l’ultima strategia consigliatole, purtroppo, dal centro ascolto donna e da tutte le sue amiche: cominciare a dire che ero un violento, chiamare la polizia e far scattare un codice rosso. Chiaramente ha sempre dovuto parlare di violenza psicologica, non avendola mai nemmeno sfiorata per sbaglio. Sai, ogni santo giorno mi chiedo perché esista un centro ascolto donna e non un centro ascolto uomo. Come mai? Perché si parte dal presupposto che nel momento in cui siamo maschi, adulti, bianchi, eterosessuali e normodotati siamo esseri indistruttibili? Che non abbiamo le nostre insicurezze, non soffriamo, non proviamo dolore, non siamo vittime di odio, discriminazione, soprusi? Non abbiamo bisogno di supporto emotivo, legale, affettivo, economico? La storia è andata come previsto: ha chiamato le forze dell’ordine tre volte. Dopo litigate da lei stesso causate. E in cui lei stessa era la parte violenta: pensa che una delle volte mi ha spinto contro la libreria, facendola crollare. E i carabinieri l’hanno pure messo a verbale e mi hanno amichevolmente detto: «Stai attento, lo sappiamo che non hai fatto nulla e sei una brava persona. Lo vediamo, non siamo ingenui. Ma lei è una donna e in questo momento storico è dalla parte della ragione a prescindere». Per la legge è indifferente: sei una donna violenta ma ti senti minacciata anche senza un reale pericolo? Ok, ti mettiamo in protezione. E così è successo.
Il solo gusto della vendetta.
Dopo l’ultima litigata, in cui mi ha registrato, innescata poco prima di un mio webinar (che brava eh? sapeva che poteva chiamare la polizia o i carabinieri senza che fossi presente perché dovevo andare online), ha chiamato le forze dell’ordine, preso mia figlia ed è sparita. E tu ti starai chiedendo “eh, ma perché continuavi a stare nella stessa casa con lei se sai che era così?”. Ed è qui la cosa fantastica: io non ci volevo affatto stare. Lei, come stabilito dal giudice tempo prima con una vertenza, avrebbe dovuto spostarsi da casa mia. Le avevo trovato una casa in affitto (dopo averne cercate a migliaia che sistematicamente scartava, come manco l’albero di Bertoldo) ma non si decideva ad andarsene. Le avevo offerto un mio appartamento in cui poteva vivere senza pagare affitto con mia figlia. Ma non andava bene lo stesso. Semplicemente perché non era ancora riuscita ad ottenere abbastanza. Capisci? Ero così violento che però si ostinava a stare in casa con me nonostante le trovassi io stesso alloggi alternativi! Ero arrivato io al punto di trasferirmi temporaneamente a casa di mia madre, proprio per evitare litigate, in attesa di un suo trasloco (che però non avveniva mai). Ma dovevo tornare sistematicamente a casa per lavoro (il mio studio era lì) e per vedere mia figlia, che è la persona più importante di tutta la mia vita e che mi chiedeva di stare con lei a giocare.
Ebbene, dopo l’ennesima litigata innescata ad hoc, l’ha presa semplicemente con lei ed è sparita per 4 mesi. E quando io e mio padre alla sera ce ne siamo accorti e abbiamo chiamato le forze dell’ordine per chiedere dove fosse mia figlia, ci è stato semplicemente risposto un laconico «la bambina e la madre sono in un luogo protetto. La contatteremo noi». Poi è arrivato il lockdown. E per mesi l’unica comunicazione che ho ricevuto è stata una chiamata dai servizi sociali e una loro e-mail (ma solo dopo che il mio avvocato li ha sollecitati, bada bene) dove mi hanno fatto sapere che «la bambina sta bene ed è in un luogo sicuro». Capisci che incredibile montagna di violenze ho dovuto subire? E sai qual è la cosa più paradossale di tutta la storia? Che io non ho subito imputazione di alcun reato né ho avuto alcuna indagine a mio carico. In realtà, la persona indagata è stata lei. Ma a quanto pare il giudice ha ritenuto che sottrarre una minore al padre per quattro mesi senza motivo, fosse comunque lecito. La verità è che nessuno pensava che una donna potesse portare via una bambina per mesi senza motivo. «Ci deve essere un motivo, che forse non è venuto fuori». Ma il motivo è ben chiaro: per il desiderio di rivalsa, si è disposti a far passare anche questo ai propri figli. E le madri, mi tocca dirlo, a differenza dei padri, si fanno molti meno problemi a fare questo tipo di strumentalizzazioni emotive per il solo gusto della vendetta.
Alla fine sono solo gradi di sconfitta.
Io ringrazio solo Dio di essere abbastanza stabile mentalmente e in salute da aver potuto sopportare questo. Abbastanza benestante da potermi pagare gli avvocati. E ringrazio iddio che, a quanto pare, mia figlia non ha risentito in modo traumatico dell’esperienza, e non pensa che io sia un “babbo che l’ha abbandonata”, ma mi ama come prima. Ma un’altra persona al posto mio, magari appena un po’ più fragile, come avrebbe fatto a resistere? Chiedilo pure alle persone che conosci sui social. Chiedi a qualunque genitore: «come ti sentiresti se adesso, senza che tu ne abbia alcuna colpa, ti portassi via tuo figlio senza fartelo vedere né sentire, in un luogo a te sconosciuto, e in compagnia di una persona che ti odia?». Forse ti risponderebbe, senza mezzi termini: «provaci e ti ammazzo». Ecco: capisci che è un sistema patologicamente strutturato per far impazzire le persone? E come se non bastasse, in tutto quel periodo ho dovuto azzerare tutte le mie relazioni sociali, salvo quelle con persone che della mia vita famigliare non sapevano nulla. Ho dovuto frequentare solo perfetti sconosciuti. Lo sai cosa vuol dire dover evitare tutti i conoscenti e gli amici per non incorrere in qualunque domanda sulla mia famiglia? Sorridere di circostanza, dire «si si, tutto bene a casa». Glissare alle domande sul perché era da un po’ che non mi vedevano con mia figlia dicendo «be’ sai adesso la piccola è via coi nonni…». Dover sempre fingere di aver fretta quando incontravo qualche amico per strada. Dover cambiare discorso ogni volta che un paziente mi chiedeva di mia figlia.
E poi i miei parenti. Che in fondo sanno che non ho fatto nulla ma anche loro stanno male a non vedere più la bambina. E anche loro sono esseri umani e per lenire l’angoscia hanno bisogno di qualcuno a cui dare la colpa. E allora mi condannavano a subire certe frasi tipo «Sì, ma anche tu dovevi stare calmo… non cedere alle provocazioni di lei… lo sai che poi finiva così…». Che è un po’ come quando una donna viene violentata però poi le dicono che però in fondo in fondo eh cara mia te la sei voluta che se non fossi uscita con la minigonna la sera magari lo stupro te lo saresti risparmiato… E per finire, la lotta con me stesso, i tormenti dei pensieri, l’insonnia la notte, la paura, le ossessioni. Forse non sai cosa voglia dire dover controllare la mente per evitare ogni pensiero che portava alla mia bambina, non guardare i suoi giochi, dimenticarmi volutamente di lei, per non perdere concentrazione sul lavoro, per non farmi assalire dall’angoscia e dallo sconforto più totali. Non so se sei una madre e se lo sei forse ami tuo figlio o tua figlia… e credo che tu mi capisca perché io davvero amo mia figlia con tutto me stesso. E la mia ex, questo, purtroppo lo sapeva benissimo. Mentre ti sto scrivendo ho le lacrime agli occhi. Ma spero che la mia storia possa far capire a tante persone, come stanno realmente le cose, e chi sono spesso le vere vittime e i veri carnefici. La storia, ancora, non è arrivata a un lieto fine, perché non ci sarà tregua finché probabilmente non avrà più soldi, o semplicemente non sarà riuscita a ferirmi abbastanza. Ma almeno ora ho giorni stabiliti di visita (pochi, ma almeno certi) e i servizi sociali che ci seguono e, per quanto mi riguarda, sono per me, che desidero solo il bene di mia figlia, una forma di sicurezza per prevenire ulteriori follie da parte della mamma. Ma la battaglia non è finita. E purtroppo in questa stupida guerra, dove ferire l’altro genitore significa ferire indirettamente anche i propri figli, alla fine sono solo gradi di sconfitta.