Uno degli innumerevoli motivi per opporsi al DDL Zan è la sostanziale mancanza di ogni ragione concreta che ne giustifichi l’approvazione. Viene detta “legge contro l’omobilesbotransfobia”, cioè contro atti che discriminino in ogni forma le persone gay, bisessuali, lesbiche e trans. Vero, ci hanno ficcato anche i disabili, ma solo per rendere più accettabile (meno criticabile) la legge: una mossa ipocrita ben evidenziata dal fatto che il DDL Zan istituisce la “giornata contro l’omobilesbotransfobia”, ma non quella contro la discriminazione dei disabili, di cui in realtà alla comunità arcobaleno non frega assolutamente nulla. Dunque, si diceva, l’obiettivo è combattere fenomeni di violenza, oppressione, discriminazione contro una categoria specifica di persone che, così si dice, sono vittime sistematiche di una persecuzione pressoché dilagante nel nostro paese. Durante l’attuale discussione in Senato, ad esempio, la Cirinnà ha esclamato, rivolgendosi ai contrari al DDL Zan: «la prossima volta che un trans verrà bastonato per strada, ne sarete voi responsabili». Detto come se si trattasse di eventi che si ripetono innumerevoli ogni giorno che il Signore manda sulla terra, quando in realtà si fa fatica, utilizzando l’attentissimo “Google News”, a trovare notizie del genere finite sui media negli ultimi anni. Ma poco importa: come per la violenza contro le donne, per far passare una legge liberticida è necessario affermare un’emergenza. Che però, almeno così pensiamo noi che siamo “antichi”, dovrebbe essere un minimo provata, visto che porterebbe all’approvazione nientemeno che dell’ennesima norma di carattere penale.
Così siamo andati a recuperare qualche statistica più o meno ufficiale. È difficilissimo trovarne: se si tratta di violenza e discriminazione, il monopolio dei dati ce l’hanno le donne. Però esiste in Italia una cosa chiamata OSCAD, che sta per “Osservatorio per la Sicurezza Contro gli Atti Discriminatori”. Si tratta di un dipartimento del Ministero dell’Interno che si dedica espressamente agli hate crime (i crimini d’odio), riceve segnalazioni, attiva interventi sul territorio e, appunto, elabora statistiche sulle varie discriminazioni “sensibili” che avvengono in Italia. Il suo report annuale viene interamente acquisito dal dossier che il Viminale pubblica ogni anno a Ferragosto relativo ai reati e all’ordine pubblico in Italia. Siamo andati così a vedere cosa dicevano le rilevazioni dell’agosto scorso, relative all’ultimo semestre del 2019 e al primo semestre del 2020. In quei primi 12 mesi gli hate crime in Italia segnalati all’OSCAD ammontavano a 498, con un calo dello 0,4% rispetto ai dodici mesi precedenti. Gran parte di questi reati avevano come bersaglio questioni legati alla razza o all’etnia (221), seguiti da questioni religiose (139), dalla disabilità (61) e, agli ultimi due posti, all’orientamento sessuale e all’identità di genere delle presunte vittime. Fatta la somma, dunque, i reati d’odio che il DDL Zan vorrebbe andare a intercettare e sanzionare ulteriormente rispetto a quanto già non siano, ammontano niente popò di meno che a 77 casi in un anno.
Nessuna segnalazione ha generato un processo.
Non c’è da stupirsi. Da tempo sosteniamo che il movimento queer gareggi con il femminismo nella falsificazione della narrazione, spacciando per dilagante un fenomeno che purtroppo c’è, ma su proporzioni pressoché risibili. Ben intesi: una sola persona vittima di discriminazione per motivi di razza, religione, disabilità, orientamento sessuale (identità di genere no, visto che ne neghiamo l’esistenza…), sarebbe comunque troppo, ma guardando la questione in modo pragmatico, pur esponendoci all’accusa di benaltrismo, decisamente ci sono questioni che richiederebbero maggiormente l’attenzione del legislatore. Senza contare che i dati OSCAD hanno come fonte la spontanea segnalazione dall’esterno, che non sempre innesca interventi o verifiche sul campo. Ed è noto come, specie nell’ambito di eventi d’interesse per il movimento politico LGBT, non di rado si segnalino casi di omofobia che poi tali non sono (anzi). Questo in risposta anche ai tanti che, sempre sulla falsariga della narrazione femminista, rispondono all’esiguità delle cifre sbandierando fantomatici casi “non segnalati” o “non denunciati”. Perché, si dice, «molti si vergognano a denunciare». E allora se la vergogna (di che?) supera il dolore del danno ricevuto, vuol dire che quest’ultimo non è stato così terribile, sempre che ci sia stato. Allora si risponde: «eh, ma il sommerso è immenso». Può darsi. Finché non emerge, però, non lo si può prendere in considerazione. Pragmaticamente, finché non emerge, non esiste e non è opportuno elaborare leggi, specie se penali, su qualcosa di assolutamente ipotetico. Senza contare la scarsa credibilità dell’argomentazione: con l’infinita rete d’aiuto e sostegno e il trend culturale che c’è in Italia, riesce difficile immaginare la ragione dell’esistenza di chissà quale sommerso.
Insomma più di una cosa non torna, già così si ha il netto sentore che il DDL Zan, oltre a tutto il resto che ha di mostruoso, non abbia alcuna ragione d’essere e serva soltanto a piantare una bandierina politica su un territorio ideologico e forse elettoralmente utile. Ma c’è una cosa che attira la nostra attenzione, ed è l’asterisco presente nella pagina OSCAD che abbiamo messo qua sopra. Rimanda al fatto che tali rilevazioni vengono fornite come contributo anche per il rapporto annuale OSCE sui crimini d’odio e discriminazione. Andiamo subito a vedere il sito segnalato e lì ci si apre un mondo. Appare infatti una pagina zeppa di dati, tutti molto interessanti, specie sotto il versante degli hate crime per ragioni etnico/razziali o religione. Ma anche la parte gender è piuttosto interessante. Si arriva al suo dettaglio scorrendo la pagina fino alla sezione “Official data” (dati ufficiali), dove si dà conto dei reati d’odio conteggiati nel 2019 (ultimo dato disponibile) dalla Polizia di Stato, per un totale di 1.119, che però non viene declinato secondo le tipologie, dunque non si sa quanti di essi siano legati alla discriminazione omobilesbotransfobica. L’unica cosa che è dato sapere è che nessuna di quelle 1.119 segnalazioni ha generato un processo (dunque nemmeno una condanna), segno che si è trattato probabilmente di bagatelle o di segnalazioni un po’ a vanvera, senza prove né testimoni. Un po’, lo ripetiamo, come gran parte delle segnalazioni dei centri di potere femministi quando si tratta di violenza contro le donne, a riprova della saldezza del parallelismo tra i due fenomeni. Il bello però ha da venire, e arriva se si scorre ancora la pagina raggiungendo la sezione intitolata “Incidents reported by other sources”, cioè “Incidenti riferiti da altre fonti”.
Come garantirsi i milioni del DDL Zan.
In quella sezione l’elenco dei casi di discriminazione è lunghissimo, stavolta fortunatamente suddiviso secondo la tipologia. Le due tabelle relative alla discriminazione per sesso o identità sessuale svelano molto di quello che sta dietro all’asserita emergenza omofobia in Italia. A cominciare dalle fonti: i casi segnalati provengono in gran parte dalle sedi italiane di due associazioni internazionali, il “LGBTI Resource Center” e il “Gay Center / Gay Helpline”, cui si aggiunge per alcune segnalazioni anche lo “European Roma Rights Center (ERRC)”, che per statuto si occupa di nomadi e rom. Dunque, prima osservazione, a segnalare all’OSCE, e probabilmente anche all’OSCAD-Ministero dell’Interno, i presunti casi di crimine d’odio contro gay, trans, lesbiche eccetera, sono organizzazioni che giustificano la propria esistenza sulla base del dilagare dei delitti contro le suddette categorie. Cioè se le violenze non ci fossero, o fossero pochissime e di gravità minima, quelle associazioni non esisterebbero. E non esistendo non potrebbero esercitare, oltre alle asserite attività di sostegno alle vittime, anche quelle azioni di pressione e potere che determinano politiche locali o nazionali, a partire proprio dal DDL Zan. In queste condizioni, che poi sono le stesse dei centri antiviolenza per donne disseminati in Italia, difficilmente si tenderà a dare un quadro veritiero della situazione, specie se esso è tranquillizzante, e il fatto di avere una helpline telefonica anonima (come il 1522 per le donne) aiuta moltissimo in questo senso. La parola d’ordine è: confermare anzi aggravare la rappresentazione della realtà che giustifica l’esistenza di queste organizzazioni. Si chiama conflitto d’interessi e noi in Italia ne siamo esperti assoluti sul piano mondiale.
Tuttavia i nostri potrebbero essere pregiudizi dettati dallo stretto apparentamento che riteniamo ci sia tra queer e femminismo. Potrebbe invece essere che è tutto molto più corretto e limpido di quanto noi, orridi misogini e omofobi, tendiamo a pensare. Fortuna vuole che, per smentirci, su ogni riga che rappresenta un caso segnalato, ognuno catalogato come “Threat” (minaccia) o “Violent attack against people” (attacco violento contro le persone), c’è il link “show info”, ossia mostra le informazioni. Cliccandoci c’è una breve descrizione del caso segnalato. Da ottimisti ci attendiamo qualche dettaglio credibile, magari il link a qualche articolo di cronaca che ne abbia parlato, insomma qualcosa di concreto e verificabile, ma restiamo delusi. Non c’è nulla di tutto questo, bensì tre-righe-tre di descrizione. Per di più catalogate in modo sbagliato: un gay a cui sono stati rubati gli abiti in palestra e poi insultato viene messo sotto la categoria dell’attacco violento, ad esempio, così come molti altri casi di insulti. Che di certo non fanno piacere, ma non sono sicuramente “attacchi violenti”. Molti di quelli che lo sembrano davvero, poi, non sono contestualizzati: gay picchiato per strada non dice se il fatto è accaduto per rapina, per vendetta di un ex o per qualsivoglia altra ragione diversa dall’omofobia. Insomma non c’è verso: come accade per la violenza sulle donne, scava scava non si trovano dati veri sulla violenza omofoba in Italia che delineino un fenomeno dilagante e giustifichino una mostruosità come il DDL Zan. E i pochi che si trovano o sono opachi, o sono falsi, oppure, evento che probabilmente raccoglie le prime due fattispecie, sono raccolti da soggetti interessati ad affermare che ci sia una persecuzione in atto, per garantirsi probabilmente parte dei milioni di euro stanziati proprio dal DDL Zan per le associazioni in difesa di gay, lesbiche, bisessuali e trans, e un comodo e influente posto al sole nelle dinamiche sotterranee del potere.