Ursula Von Der Leyen è intervenuta di recente, con un video messaggio, al W20 Rome Summit. Sì, perché, forse non lo sapevate, ma tra le altre cose le femministe hanno ottenuto anche di farsi una specie di G20 tutto per loro, dove cantarsela e suonarsela per poi presentare il conto al G20 vero. Ne abbiamo seguito in parte i lavori, anche per monitorare la presidenza, che è toccata alla massima iattura possibile per rigorismo ideologico, ovvero a Linda Laura Sabbadini, e si è trattato della solita sbobba di falsità (divario salariale e professionale di genere), esagerazioni parossistiche (violenza sulle donne, “femminicidi”), vittimismo e richieste di risarcimenti tramite l’accesso a posti di potere. Il summit di Roma rappresentava un po’ il culmine di questo circo, con l’intervento di diverse personalità, italiane e non. Tra queste il ministro Speranza che ha blaterato di “sanità di genere”, la Casellati che ha blaterato le solite tre cose che le hanno inculcato sulla violenza di genere, e la Bonetti che… vabbè, non vale nemmeno la pena parlarne. Interessante invece, sia per la caratura istituzionale, sia per ciò che ha detto, l’intervento della Von Der Leyen.
La Presidente della Commissione Europea l’ha messa soprattutto sulla parità, intesa come possibilità di carriera per le donne. «È triste sapere che al G20 io potrei essere l’unica donna», ha esordito, dicendo subito una sciocchezza. Perché sarà anche triste, ma al G20 partecipano capi di Stato più o meno eletti e non è colpa di nessuno se non c’è nessuna donna in nessun paese che sappia conquistare la fiducia della maggioranza dell’elettorato. Dannata democrazia… Non a caso l’unica donna è lei, non eletta da nessuno, ma nominata da una task force congiunta di politicanti nazionali e lobby. «Per raggiungere la parità entro il 2030», ha continuato, «abbiamo bisogno dei pagamenti dei congedi parentali, di consolidare l’assistenza per l’infanzia e per gli anziani». Al primo posto, dunque, soldi, tanto per cambiare. Al secondo la lamentela implicita per cui “solo le donne” si occupano in famiglia dell’infanzia o degli anziani, cosa che non permette alle donne stesse di lavorare e far carriera (sempre per guadagnare soldi, ovviamente). «Non è vero», ha poi concluso, «che dobbiamo scegliere tra la carriera e la famiglia. Conosco gli ostacoli, ma dobbiamo pretendere un accesso equo al mondo del lavoro e poter allo stesso tempo crescere i nostri bambini».
Per la prima parte ha tutte le ragioni del mondo: è sbagliato in buona misura che ci siano persone che debbano scegliere tra carriera e famiglia. Non importa di che sesso siano, sicuramente è una dicotomia che va risolta. E la soluzione giusta può derivare soltanto da un’osservazione oggettiva della realtà, senza pregiudizi, specie se ideologici. La Von Del Leyen sgombra il campo da questo punto di vista: «facciamo i conti quotidianamente con residui di una cultura di un tempo che vorremmo metterci alle spalle». Ma di che residui parla? Sì che viene dall’Olanda, che è un paese un po’ strano, ma davvero c’è da chiedersi in che contesto svolga le sue osservazioni sociali. In realtà nessuno in particolare: semplicemente acquisisce il posizionamento pregiudiziale ideologico del femminismo secondo cui gli uomini di oggi sono rimasti all’epoca in cui lavoravano e si disinteressavano alle questioni domestiche e familiari. Quand’anche quelle prassi siano davvero mai esistite in proporzioni estese, così accadeva probabilmente perché non c’erano alternative percorribili, che invece oggi ci sono e pure molto ampie. Non a caso è già da parecchio tempo che le società, per lo meno quelle occidentali, si sono ampiamente evolute da quel punto di vista. Dietro la velata accusa agli uomini di non volersi occupare di casa e figli, c’è dunque la negazione di un fatto incontrovertibile: oggi uomini e donne lottano paritariamente per uno straccio di lavoro e uno straccio di sicurezza economica. Pochissimi tra di loro possono ambire a una “carriera” di quelle che portano a trascurare l’ambiente domestico. E in questo scenario quei mostri orribili chiamati uomini in realtà hanno capito da tempo che il valore della vita sta proprio nel essere presente in casa e coi figli, molto più che in ufficio o in cantiere, e le loro donne sono in genere assai felici di questo.
Le uniche a non aver capito l’andazzo sembrano essere le femministe e i pupazzi che mettono nei posti di potere e manovrano allegramente, Von Del Leyen inclusa. Che dice ciò che dice essenzialmente riferendosi ai posti di potere, mica ai lavori normali. Il suo messaggio è: la famiglia rompe le scatole alla donna che vuole diventare supermegamanager o capo di Stato. Ed è così sia per colpa degli uomini che per la mancanza di assistenza. Ecco allora che scatta la deviazione del pensiero: più soldi per i servizi correlati, per esternalizzare l’assistenza a bambini e anziani. Facciamo carriera, sforniamo bambini da mettere in asilo e anziani da rinchiudere in RSA. Questo è il progetto? Sì, è questo, ed è di diretta derivazione femminista. Dunque è ovviamente una mostruosità. Perché esclude una parte del mondo che c’è ed è da tempo pronta a fare la sua parte: gli uomini e padri. Invece di delegare a estranei e spendere soldi in asili e similari, si finanzino quindi congedi genitoriali lunghi e obbligatori per entrambi, padre e madre. Il “danno” della nascita di un figlio verrà così smezzato, nel contempo la parte paterna potrà dimostrare quanto tiene oggi all’essere partecipe alla vita di casa e dei figli, la parte materna avrà molto più spazio per curare la sua scalata a qualche CdA o sindacato o partito politico, e nel contempo si otterrebbe una vera e tangibile parità. Sarebbe tutto molto più logico e, se si vuole, anche educativo rispetto alle responsabilizzazione alla genitorialità. Invece si preferisce il meccanismo solito: criminalizzazione (immeritata) per l’uomo e sua esclusione dal novero degli strumenti possibili per risolvere il problema. Bella la sua non-rivoluzione da qui al 2030, Mrs. Von Der Leyen.