Lunedì 28 giugno ho preso parte ad un meeting online organizzato dalla Bicocca di Milano. Negli anni precedenti, quando la pandemia non aveva bloccato i seminari di studio in presenza, avevo già preso parte al MIDIA (Master Interdisciplinare sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza), pertanto alla Bicocca hanno – forse immeritatamente – deciso di convocarmi alla tavola rotonda in preparazione dell’incontro a Ginevra i prossimi 16-17 settembre 2021, giornate di discussione internazionale sul tema “Children’s Rights and Alternative Care” indette dal Committee on the Rights of the Child.
Al termine del meeting era richiesto un documento di sintesi, una relazione da inviare a Ginevra per individuare le criticità nei diversi Paesi. La Commissione ONU inviava tre documenti con domande specifiche per chiarire lo scopo delle giornate di discussione e gli argomenti da trattare in merito alle precise indicazioni richieste.
L’invito rivoltomi non nasce dal nulla, ha una sua genesi. Nel 2014 la trasmissione di Italia Uno “Le iene” dedicò due servizi – con i giornalisti Matteo Viviani e Pablo Trincia – ai minori allontanati dalle famiglie d’origine, analizzando atti processuali e intervistando avvocati, assistenti sociali, genitori. Non ne uscì un quadro rassicurante in merito alla effettiva necessità di togliere i figli alle famiglie, né alla trasparenza delle modalità operative. Oltretutto il giornalista Pablo Trincia è colui il quale si è occupato dell’inchiesta Veleno dalla quale in seguito sono nate sia un libro-dossier che una serie televisiva. L’Ordine degli Assistenti Sociali, a firma dell’allora Presidente Dr.ssa Mordeglia, diffuse una lettera aperta per protestare contro l’impronta data alla trasmissione dalla quale sarebbe emersa un’immagine distorta degli assistenti sociali, informazione scorretta, messaggio sbagliato, troppo spazio alla tv del dolore, eccetera. La lettera aperta arrivò nelle sedi istituzionali tra le quali la Commissione Bicamerale Infanzia. Mi contattarono due parlamentari membri della Commissione (la ex Senatrice Enza Blundo, posso citarla in quanto non è più in Parlamento ma l’altra é ancora in carica, ha chiesto di non essere citata e rispetto la richiesta di riservatezza). Conoscevano gli archivi ultraventennali del centro studi che dirigo, trattiamo diversi argomenti che riguardano i diritti dell’infanzia, mi chiesero quindi se il problema dei minori allontanati dalle famiglie nascesse realmente nel 2014 con la trasmissione di Italia Uno o per caso avessimo della documentazione a testimonianza di radici ben più datate. La avevamo, minuziosa ed abbondante.
Chiesero allora una relazione in merito, da presentare al Senato alla presenza della Dr.ssa Mordeglia (Presidente OAS) e di Vincenzo Spadafora (allora Autorità Garante per i Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza). Oltre ai criteri di allontanamento fumosi, ai conflitti di interessi, alle relazioni faziose e a una generale mancanza di trasparenza e controlli (diversi anni prima di Bibbiano), la relazione documentava la mole immensa di proteste delle famiglie e dei rispettivi avvocati, le opinioni biasimevoli e corali che emergono da trasmissioni TV e inchieste giornalistiche, e poi libri, articoli, interrogazioni parlamentari, pareri di pedagogisti, pediatri, commissioni d’inchiesta, singoli avvocati ed associazioni forensi… era miope insomma pensare che il problema fossero Le Iene. Da ultimo la relazione documentava anche l’aspetto giudiziario, la collusione della filiera servizi/giudici/case famiglia, le inchieste di diverse procure, persino le violenze e gli abusi subiti dai minori nelle strutture ove venivano collocati proprio per essere protetti da violenze ed abusi. Il tutto sempre diversi anni prima di Bibbiano. Tuttavia il nodo da sciogliere più vistoso riguardava, e riguarda tuttora, l’assenza di un database ministeriale che registri dati sul numero dei minori presenti nelle strutture di accoglienza, il periodo di permanenza, un elenco delle strutture residenziali laiche e religiose, l’elenco e le caratteristiche degli operatori a contatto con i minori, i fondi erogati mensilmente dagli enti locali.
Bibbiano era solo un raffreddore.
La relazione, presentata il 13 giugno 2014, scatenò un vespaio di polemiche. Ci sono abituato, è difficile che il mio lavoro susciti applausi. Date per scontate le proteste di assistenti sociali e gestori di case famiglia, la reazione più scandalosa fu quella del Garante Spadafora il quale, nonostante la carica istituzionale che ricopriva, provò a minimizzare la gravità del problema dicendo testualmente «non è il caso di fare allarmismo, il Sistema tutto sommato regge». Incontro istituzionale, quindi videoregistrato. I giudici onorari in conflitto di interesse erano pochi, le bambine abusate in casa famiglia erano poche, i minori allontanati senza un reale motivo erano pochi… la maggioranza non era coinvolta in tali criticità quindi “il sistema regge”, non era il caso di preoccuparsi. Qualcuno avrebbe dovuto spiegargli che non era il Garante del Sistema, ma dell’Infanzia. Ho polemizzato per diverso tempo col Garante, pubblicamente e privatamente anche presso la sua segreteria, coordinata dalla Dr.ssa Baldassarre, accusandolo di aver volutamente ignorato il problema mentre il suo ruolo istituzionale lo avrebbe obbligato a prendere atto anche dei diritti violati di un singolo bambino. Ha sempre mantenuto uno sdegnoso silenzio, non ha saputo né voluto replicare o spiegare la sua posizione sugli allontanamenti facili, né motivare la frase «non è il caso di fare allarmismo, il Sistema tutto sommato regge». La vicenda mi ispirò diversi articoli (ad esempio questo e questo). Ecco l’incipit di uno di essi: «Bambine e bambini allontanati dalle famiglie con motivazioni discutibili e poi, in casa-famiglia, esposti a rischi peggiori di quelli dai quali dovrebbero essere protetti? Minori maltrattati dagli operatori, in alcuni casi persino abusati sessualmente? Non c’è da preoccuparsi, tranquilli, è sbagliato creare un falso allarmismo, per il Garante il sistema, tutto sommato, regge».
Tuttavia la stessa relazione, nonostante l’indifferenza del Garante sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, è stata depositata in Commissione Bicamerale Infanzia. Inoltre nell’autunno 2019 è stata nuovamente presentata alle audizioni della Commissione Giustizia, quando le parlamentari Ascari e Palmisano dopo i fatti della Val d’Enza intendevano portare in Aula la riforma dell’art. 403 del Codice Civile. Poi c’è stato il rimpasto di Governo, è cambiata la maggioranza e la riforma del 403 è curiosamente sparita dall’agenda politica. Queste, in sostanza, le motivazioni dalle quali prende vita l’esigenza di rendere note anche al Committee on the Rights of the Child le criticità legate all’allontanamento dei minori dalle famiglie d’origine. Ma alla Bicocca fanno l’errore di chiamare me, e ne pagano le conseguenze: solite proteste, solite indignazioni, solite stroncature. Quello che dico e dimostro, documentandolo, viene ignorato in Italia, adesso vogliamo addirittura portarlo all’ONU? Mai sia! La dr.ssa Borsato mi riferisce che la segreteria ha ricevuto telefonate ininterrottamente per due giorni, tutti offesi per non essere stati invitati perché avrebbero sostenuto ben altro, tutti a protestare per i contenuti della mia relazione, per l’allarme immotivato in quanto la maggior parte dei servizi sociali lavora bene, la maggior parte dei giudici onorari lavora bene, la maggior parte delle case famiglia lavora bene. Aspetto curioso: si tratta delle stesse minimizzazioni del Garante: perché allarmarsi, in fondo le situazioni critiche sono poche rispetto ad oltre 30.000 minori fuori famiglia. Non solo, sono anche le stesse teorie emerse dal fronte minimalista sull’inchiesta Angeli & Demoni: il Sistema funziona perfettamente, Bibbiano era solo un raffreddore.
Questo ho fatto, con buona pace chi avrebbe voluto dire altro.
Peccato che la Commissione chiedesse proprio di «identificare e discutere particolari aree di preoccupazione che nascono quando la separazione dei bambini dalle loro famiglie non è necessaria». Un fenomeno sicuramente minoritario rispetto al totale degli allontanamenti, ma esattamente di questo si parlerà a Ginevra a settembre, quindi era da relazionare cosa funziona male o non funziona affatto. Dire “tutto va bene madama la Marchesa” al Comitato non serve. Conosco le persone e le strutture che hanno chiamato per protestare, ma mi è stato chiesto di non fare nomi per non prestare il fianco a ulteriori polemiche e rispetto la richiesta, anche perché la condivido pienamente. La polemica non mi interessa. «A volte gli allontanamenti sono necessari», sostengono gli esperti non invitati al meeting. Cosa della quale sono il primo ad essere convinto, infatti mi occupo di rilevare e documentare il fenomeno di nicchia dei bug presenti nel sistema. So bene che non tutti gli allontanamenti sono illeciti, so bene che non tutti i minori subiscono abusi nelle strutture che li ospitano, ma so anche che chi studia l’argomento ha il dovere morale di prendere atto che la filiera di allontanamento dei minori dalle famiglie si è dimostrata permeabile a troppe storture. Abbiamo una legge ottima solo sulla carta, ma poi disattesa nella prassi: viene aggirata la ricerca di un parente entro il quarto grado nella famiglia, in grado di occuparsi dei minori in caso di temporanea impossibilità dei genitori. Viene ignorato il limite dei 24 mesi di istituzionalizzazione dei minori, tanto che in alcuni casi raggiungono la maggiore età in Casa Famiglia. Viene aggirato il criterio secondo il quale la mera indigenza della famiglia, in assenza di altri fattori di rischio, non può costituire motivo di allontanamento dei figli. La Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza è valida sempre, quindi la violazione dei diritti dei minori è grave sempre, non solo quando riguarda vittime a decine di migliaia. Solo per i diritti dei minori sembra valere il fattore numerico, per cui se quelli violati non sono la maggioranza è vietato parlare del problema.
In Italia per le donne uccise dal partner possessivo e violento nasce l’emergenza femminicidio: campagne mediatiche continue, una apposita commissione parlamentare, iniziative ministeriali e delle forze dell’ordine. Non c’ bisogno che le vittime siano 500.000, l’emergenza sociale ha il riconoscimento istituzionale anche se si tratta di una manciata di vittime a fronte di una popolazione residente di circa 60 milioni di persone con oltre 30 milioni di donne. Stendiamo un pietoso velo sulla Commissione d’inchiesta sul femminicidio, che sembra occuparsi più del diritto di famiglia che dei fatti di sangue. Dal momento della sua nascita non ha saputo né voluto dare una definizione certa di quali siano i criteri ai quali un episodio debba rispondere per essere classificato come femminicidio, né ha mai pubblicato un elenco dei casi che tali criteri presenterebbero. Il femminicidio continua ad essere un argomento fumoso e totalmente privo di trasparenza, orientato più dal condizionamento ideologico che da oggettive ed imparziali certezze. Però nessun ente istituzionale o associazione privata ha mai osato sostenere che non bisogna fare allarmismo poiché in fondo le donne uccise sono poche rispetto al totale, quindi il sistema di protezione tutto sommato regge. Ho delle difficoltà ad accettare che i numeri vengano gonfiati artificialmente infilando negli elenchi ufficiosi dei femminicidi una miriade di casi che con l’oppressione di genere non hanno nulla a che fare, tuttavia sono il primo a sostenere che anche una sola vita persa a causa della gelosia morbosa e criminale è sempre troppo e l’intera collettività, donne e uomini, deve condannare con forza ogni singolo episodio. Per l’infanzia il discorso cambia, e cambia parecchio, ma a dirlo è proprio il Garante per l’Infanzia: se i minori coinvolti in una problematica sono pochi non deve esserci alcun allarme, alcuna emergenza. Devo ricordare ancora una volta che la richiesta esplicita del Committee on the Rights of the Child era quella di segnalare eventuali dinamiche disfunzionali. Questo ho fatto, con buona pace chi avrebbe voluto dire altro. E ne vado fiero.
P.S.: la dr.ssa Borsato si rende disponibile ad esaminare i casi in cui la famiglia abbia subito un allontanamento della prole con modalità e motivazioni irrituali. All’esito dell’esame si rende altresì disponibile ad inoltrare un ricorso presso la Commissione, ovviamente dietro esplicita richiesta dei genitori. Chiunque avesse segnalazioni da fare può inoltrarle in redazione, provvederemo a farle avere alla Dr.ssa Alessandra Borsato ed al suo staff.