Dicevamo ieri di quanto il nostro Parlamento sia prolifico di stupidaggini, ma soprattutto di come gran parte di esse siano costruite per conformarsi, per amore o per forza, al dettato unico ideologico: gli uomini sono tutti brutti e cattivi, le donne sono tutte povere vittime. È il presupposto del DDL 1423, l’orrore costituzionale sul divario professionale e salariale di genere, ma anche del DDL 1490, giacente (per fortuna) in Senato dal 2019, unica firmataria la senatrice Julia Unterberger, del partito Südtiroler Volkspartei, e intitolato: «Modifiche al codice civile in materia di tutela del coniuge economicamente svantaggiato». E chi sarà mai il coniuge economicamente svantaggiato? La donna, ça va sans dire. E se proprio lo si vuole dire, basta andare a vedere i presupposti della citata norma sulla “parità salariale”: le donne studiano di più e meglio degli uomini eppure, mannaggia, vengono pagate meno e sono meno occupate. Dunque, quando si sposano, risultano sempre loro dal lato del “coniuge economicamente svantaggiato”. Un po’ è destino, un po’ sono gli stereotipi di genere imposti dal patriarcato e nulla c’entrano le scelte di studio e di vita delle donne. Ovvio no?
Anche in questo caso la lettura della proposta di legge è davvero istruttiva su quale sia l’impostazione mentale di base di chiunque legiferi oggi. Secondo la proposta Unterberger, nella coppia che decide di impostare il rapporto in un equilibrio dove uno porta il denaro e l’altro si occupa della cura e della casa, quest’ultima rappresenta la persona che «per la famiglia rinuncia al proprio reddito». Sottinteso: che schifo la famiglia, che bello dedicare tutta la propria esistenza al lavoro. E a chi accade di fare questa scelta? La senatrice Unterberger non ha dubbi: è la donna che «si autoimpone delle pesanti limitazioni». Che si tratti di una scelta ponderata e non di un’accettazione di limitazioni, ma anzi dell’acquisizione di una ricchezza interiore e affettiva, non sfiora nemmeno lontanamente la mente dell’autrice della norma. La donna è per lei sacrificata sempre e a prescindere, e c’è sempre qualcuno che la costringe a tale sacrificio. Chi? Ma che domande! La Unterberger non ha remore a scrivere della «scarsa adesione maschile alle esigenze della famiglia». Non solo: «L’uomo spesso non collabora alla gestione dei carichi di lavoro familiare e domestico». Insomma è colpa di questi Fantozzi tutti birra, frittata di cipolle e rutto libero, le libere scelte individuali femminili non c’entrano nulla.
La somministrazione periodica di un assegno.
Poteva mancare un riferimento alla violenza? Ma certo che no. Gli equilibri sopra descritti, secondo la Unterberger, generano «una dipendenza economica nei confronti del coniuge che, in alcuni casi, è suscettibile di trasformarsi in situazioni di vero e proprio disagio familiare, fino ai casi estremi di subordinazione e di violenza». Cioè questi orribili omacci italiani non solo obbligano le donne a sfornare figli a nastro e a non guadagnare lavorando, ma le caricano pure di botte. In un paese normale una senatrice che scrivesse cose del genere, per altro senza alcun dato a supporto, verrebbe immediatamente deposta d’autorità dal proprio ruolo. Invece in Italia una proposta di legge che nelle premesse dice queste corbellerie viene presa sul serio. Anche quando, poco dopo, dice con percepibile rammarico che in Italia «la percentuale di casalinghe è tra le più alte d’Europa». Eh sì, cara Unterberger, e allora? Noi ne abbiamo pure intervistate alcune e, orrore e vituperio, si sono pure dichiarate strafelici del loro ruolo, in perfetta armonia con i loro mariti e pure parecchio stufe di essere trattate come delle sfigate o delle minus habens. Ci ha mai pensato, senatrice? Probabilmente sì: se riveste la carica che ha, sicuramente è capace di leggere le statistiche correttamente e di ascoltare le voci reali che vengono dalla società.
Un conto però è ascoltare, altro conto è assecondare. Sarebbe estremamente sciocco dal lato elettorale proporre leggi coerenti con la realtà, renderebbe pochissimo. Vuoi mettere attaccare il carro della carriera parlamentare all’intramontabile mito della violenza contro le donne e al vittimismo femminista? Lo vedremo alle prossime elezioni, cara Unterberger, anche perché è nostro compito ora dare conto di ciò che, dette le castronerie esposte nella sua introduzione, lei propone come misure per ovviare a tutti questi enormi e cruciali problemi che attanagliano un genere solo nel nostro paese (e tanti saluti all’art.3 della Costituzione). La prima disposizione già dice tutto: «laddove un coniuge, nell’interesse della famiglia, rinunci all’attività lavorativa retribuita, ha diritto alla somministrazione periodica di un assegno da parte dell’altro coniuge, il cui ammontare è determinato in relazione alle circostanze e ai redditi dell’obbligato».
Leggi prive di senso dettate dall’ansia da rielezione.
Chiaro no? La moglie che decide di lasciar perdere il lavoro per seguire casa e figli, diventa una dipendente del marito. Salta la logica della cooperativa solidale (questo è una famiglia), dove l’uomo mette in comune le risorse, a cui la donna, che mette nella cooperativa il proprio lavoro, può accedere liberamente per l’amministrazione ordinaria e anche quella straordinaria, concordando il tutto grazie a quelle cose meravigliose che sono la condivisione e il dialogo. Con la proposta Unterberger non c’è più una coppia: c’è un contesto dove il valore centrale e di riferimento è dato dal il reddito. Chi ne è detentore deve pagare una gabella a una che così da moglie diventa mantenuta. Cara Unterberger, se il suo scopo era devastare il concetto di famiglia e contestualmente umiliare quello di donna, così c’è riuscita meravigliosamente, tanto da non farci stupire se scoprissimo che lei è una versione ladina della tipica femminista intersezionale (come se non ci bastasse già la versione mediterranea). Ed è forse proprio l’aria di alta montagna ad averla spinta anche oltre questa prima previsione tragicomica.
Gli altri articoli della proposta Unterberger infatti prevedono che un coniuge non possa «disporre del suo patrimonio per una quota superiore al settanta per cento senza il consenso dell’altro coniuge». Che vuol dire questo? Abolizione della separazione dei beni, niente di più, niente di meno. Con quella disciplina, pur da sposati, “ciò che è mio, è mio; ciò che è tuo, è tuo”. Se la proposta Unterberger passasse, l’adagio diventerebbe: “ciò che è mio (dell’uomo) è mio solo al 70%, tutto il resto è tuo (della donna)”. E questo indipendentemente che la donna abbia o meno rinunciato al lavoro per occuparsi della famiglia, ben intesi. Non solo, altro articolo della legge: «i coniugi sono tenuti a condividere tra loro le informazioni relative al reddito e al patrimonio di entrambi». E se per caso uno dei due non vuole condividerlo, l’altro può rivolgersi a un giudice che può con decreto ordinare un controllo fiscale e renderlo disponibile al richiedente. Anzi, diciamolo pure: alla richiedente. Hai visto mai che il marito si imboschi qualche centone da conservare per eventuali tempi cupi o più semplicemente per qualche suo interesse… giammai: dev’essere tutto in chiaro. Salvo che molte donne affiancano sovente all’attività casalinga altre attività lavorative in nero, che per loro definizione sfuggono ai controlli. La casistica in ambito separativo è in questo senso infinita. Come infinita sembra essere l’inventiva di questi parlamentari per iniziative di legge pensate esplicitamente per punire il lato maschile, svilire quello femminile, distruggere ogni forma possibile di cooperazione tra i due generi, specie se prende la forma della famiglia. E non c’è niente meglio dello standard fasullo donna-vittima-penalizzata e uomo-carnefice-privilegiato per legittimare proposte così folli e distruttive.