Nella tempesta scatenata attorno al morente DDL Zan si staglia ora Barbara Floridia, Sottosegretario all’Istruzione facente capo all’altrettanto morente Movimento 5 Stelle. Ha rilasciato ieri una dichiarazione sulla celebrazione della “Giornata Internazionale contro l’Omobilesbotransfobia”, che il DDL Zan vorrebbe rendere obbligatoria nelle scuole. Niente di male, dice la Floridia, visto che esistono già celebrazioni simili, ad esempio quella in ricordo delle vittime delle mafie o in ricordo delle vittime della Shoah. Che problema c’è dunque a istituire un’altra giornata simile? Il problema è fattuale e concettuale. Dal lato fattuale mafia e nazismo hanno fatto un numero di vittime spaventoso. Il secondo in particolare ha operato i suoi genocidi sulla spinta di un’ideologia codificata con precisione. La comunità omosessuale ampiamente intesa, sebbene abbia sicuramente patito persecuzioni nella storia, non può “vantare” gli stessi numeri, né di essere oggetto di un impianto ideologico codificato mirante al suo sterminio, e avrebbe solo di che gioire per questo. Però non lo fa, anzi. E qui si inserisce il problema concettuale.
Avvicinare i fenomeni di omobilesbostransfobia del passato e del presente a stermini di massa (come quello nazista) o a stragi atroci (come quelli di mafia) significa tentare di dare ad essi una dignità vittimologica che in realtà non hanno. L’obiettivo è psicologico e utilizza cinicamente i più banali meccanismi dell’indottrinamento. Il ragazzino che a scuola viene istruito su ciò che è accaduto durante il Terzo Reich o quando la mafia compiva i suoi misfatti, trovandosi a celebrare anche la lotta all’omobilesbotransfobia e alle sue vittime sarà portato a pensare che gli appartenenti a quella comunità siano stati sistematicamente, scientificamente e ferocemente perseguitati, al pari del popolo ebraico o di ogni altra persona per bene trucidata da Cosa Nostra. Nella sua testa gli omosessuali, come già le donne in genere (grazie alle truci celebrazioni del 25 novembre e dell’8 marzo) verranno associati a un “popolo oppresso” da sempre e anche oggi, sviluppando un nascosto senso di colpa e di conseguenza un’implicita accettazione di ogni iniziativa “risarcitoria” pensata a favore di quelle categorie, quand’anche lui stesso ne venisse danneggiato, come accade già ampiamente con le famose “discriminazioni positive”.
La ricerca affannosa di un consenso politico-elettorale.
In realtà i fatti e le statistiche smentiscono in modo radicale che il mondo omosessuale (così come quello femminile) possano “fregiarsi” della titolarità di vittime storiche e attuali in termini di massa e sistematici: la celebrazione resa obbligatoria dal DDL Zan sarebbe quindi un’usurpazione, un millantato credito vittimista, una furbata che non può e non deve essere assecondata. Gli argomenti del Sottosegretario dunque sono validissimi, però contro, non a favore della celebrazione contro l’omobilesbotransfobia. Essendo del Movimento 5 Stelle, tuttavia, ella o non lo comprende, oppure lo comprende e fa finta di niente. Lo stesso approccio che ha su un’altra questione, quando afferma: «i fenomeni di omofobia e transfobia vedono protagonisti ancora troppi studenti». Evidentemente la Floridia, nonostante il suo ruolo istituzionale, non ha la minima conoscenza del contesto studentesco né dei processi di evoluzione delle persone, specie nella difficile età adolescenziale. Basterebbe una conoscenza anche minima della popolazione studentesca italiana per riscontrare come l’omosessualità abbia un grado di accettazione e integrazione semplicemente straordinario tra i giovani, maschi e femmine. Le generazioni di oggi, ossia il futuro, come spesso accade sono anni luce più avanti dei politici, che di loro accettano di buon grado lo scollamento dalla realtà se si tratta di perseguire i propri piccoli interessi di bottega.
È probabile che la Floridia con il suo accenno si riferisca ai fenomeni di intolleranza e violenza, che in determinati contesti giovanili e scolastici, quasi sempre collegati a situazioni di degrado familiare o personale, si manifestano di tanto in tanto. Un numero davvero risibile rispetto all’opportunità di farci sopra una legge repressiva. O forse si riferisce al linguaggio giovanile, dove “finocchio”, “culattone”, “rottinculo”, “frocia” e similari sono intercalari comuni, insulti bonari che ragazzi e ragazze si lanciano spesso con toni goliardici, senza l’obiettivo di ferire davvero. Un utilizzo di una terminologia offensiva che ha evidenti scopi esorcizzanti: l’uso frequente e disimpegnato di quegli insulti, spoglia gli stessi di ogni valore offensivo, ma soprattutto ottiene un avvicinamento alla realtà che sottendono privandola di particolari motivi di timore. Con orribile gergo politico-giornalistico, si potrebbe dire che il loro uso smodato serva per “sdoganare” tra i giovani una realtà che, nella sua eccentricità, può in alcuni casi risultare d’ostacolo a una normale relazione. Non sono fantasie, sono meccanismi basilari insegnati nei corsi elementari di psicologia evolutiva. Un tipo di istruzione che manca alla Floridia, o che più probabilmente ha ma non esercita, essendo suo interesse muoversi alla ricerca affannosa di un consenso politico-elettorale.
«Un esercito di maestri e maestre elementari».
Si dirà: d’accordo, ma che ne è di chi è davvero omosessuale e si sente rivolgere termini del genere? Potrebbe rimanerne turbato e offeso, dunque i giovani, specie in ambito scolastico, dovrebbero essere educati alla prudenza nell’uso delle parole. È un punto di vista ragionevole, che andrebbe discusso tenendo presente la funzione esorcizzante ed educativa dell’uso di tali terminologie, che in ogni caso non sottendono praticamente mai impulsi omobilesbotransfobici. Il punto d’incontro potrebbe esserci e potrebbe avere due facce. Da un lato chi usa certa terminologia dovrebbe comprendere che possono esistere soggetti che la accolgono con dolore, e ciò dovrebbe indurre a un utilizzo più moderato, magari affiancato da azioni concrete di amicizia e vicinanza verso chi è omosessuale, in modo da dare carne al fatto che “sono solo parole”. Dall’altro lato è ugualmente importante che la comunità omosessuale rifiuti di farsi intruppare là dove il movimento queer vuole rinchiuderla, ossia nella riserva protetta degli snowflake, esserini fragili più del cristallo, da proteggere con l’arma delle leggi.
Ogni persona sa quali siano, nella società in cui vive, i suoi punti attaccabili. Il soggetto sovrappeso sa che può essere chiamato ciccione, quello con gli occhiali quattrocchi, quello brutto sa di essere penalizzato a prescindere, quello povero che non si può permettere vestiti firmati anche, e così via in una lista interminabile. Tra questi, l’omosessuale sa che può essere attaccato per il suo orientamento sessuale. Tutti costoro, mentre si educano gli altri a un’attenzione particolare a parole e gesti, dovrebbero contemporaneamente cogliere l’occasione per imparare ad affrontare quelle che sono piccole brutture di un mondo per sua natura difficile. Quei frangenti possono essere tante piccole sessioni d’allenamento utili per quando la vita destinerà loro qualche bruttura di grandi dimensioni. Da un lato e dall’altro se ne uscirebbe tutti migliori. Ma per innescare un processo del genere non serve una “Giornata contro l’omobilesbotransfobia” o una legge iper-repressiva. Servono, come non a caso Gesualdo Bufalino diceva relativamente alla lotta contro la mafia, «un esercito di maestri e maestre elementari» (e, aggiungeremmo noi, anche di famiglie solide e consapevoli), capaci di trasmettere l’unica verità indiscutibile: siamo tutti, nessuno escluso, uguali nel meritare il rispetto dell’altro. E nessuno, per nessuna ragione, può o deve pretendere di essere “più uguale” degli altri.