Ci ha incuriosito, venti giorni fa, questo annuncio di un webinar relativo alla violenza contro le donne, organizzato dall’associazione “Senza veli sulla lingua”. Lo ammettiamo, ci ha stimolato per intenti polemici. Ci siamo detti: perché non ci iscriviamo e poi le stuzzichiamo in chat contestando le corbellerie che sicuramente diranno? Non lo facciamo di frequente, non ci piace imbucarci nelle feste altrui, ma la presenza di un personaggio noto come Roberta Bruzzone è stato un appeal irresistibile. E così ci siamo iscritti al webinar e ce lo siamo sciroppati tutto. Che dire? Non vale la pena di farne il resoconto (ve lo potete riguardare interamente qui) se non per alcuni aspetti che danno davvero la misura di ciò di cui si è trattato. Con la moderazione della giornalista Patrizia Scotto di Santolo, ad aprire le danze è stata l’avvocato Adalgisa Ranucci, che ha fatto un excursus definitorio di cosa siano la violenza psicologica, fisica, sessuale, economica. Non ha detto nulla di nuovo, anche perché ha basato la sua spiegazione sul ben noto questionario utilizzato nelle indagini campionarie ISTAT del 2006 e del 2014, quelle da cui poi risultarono milioni di donne vittime di violenza che in realtà, come si sa, non esistono. Basterebbe già questo a (de)qualificare l’intervento dell’avvocato Ranucci, che poi dà qualche consiglio sollecitando tutte le donne a denunciare, denunciare, denunciare, appoggiandosi alla rete dei centri antiviolenza (ovvio) e cercando, ove possibile, di agganciarsi alle norme che consentono di prendere iniziative inaudita altera parte, cioè escludendo dal dibattimento la parte denunciata.
Ancora nulla di sconvolgente insomma, se non fosse che la moderatrice a un certo punto, accorgendosi che l’avvocato declinava ogni ipotesi di vittima al femminile e ogni ipotesi di carnefice al maschile, ritiene di far presente che certe cose possono capitare anche a parti invertite. Bontà sua. L’avvocato ammette che sì, capita, ma su proporzioni non paragonabili: «le statistiche parlano chiaro», risponde, «su dieci casi di violenza, nove colpiscono donne e uno solo l’uomo». Ci si drizzano le antenne, azzardiamo una domanda in chat con la richiesta della fonte di tali proporzioni, ma non ci viene risposto. D’altra parte la chat fin dall’inizio è diventata dominio assoluto di una ventina di signore (chissà quante vere e quante invece simulate dall’organizzazione del webinar) che si sfogano su vicende personali e chiacchierano tra di loro su quanto sono cattivi gli uomini, i giudici, i poliziotti e tutto il mondo che le circonda. Di fatto il messaggio che l’avvocato Ranucci fa arbitrariamente passare è che la violenza subita dagli uomini è minoritaria (bugia) e poco grave (super-bugia), ergo l’unica che conta è quella contro le donne. Per avvalorare l’allarmismo su cui spinge a manetta, si riferisce ossessivamente a proprie esperienze dirette come avvocato: un meccanismo fondamentale per dare credibilità alle cose che dice. Essendo le vicende che menziona del tutto non verificabili, si mette al sicuro da qualunque smentita (d’altra parte… believe women, no?). Dopo quaranta minuti così, il mood generale si fa emozionato: tutti aspettano la star, Roberta Bruzzone, che non si è ancora collegata. Quando il suo volto appare, tra i conferenzieri passa un brivido, l’avvocato taglia subito il suo intervento e ci si affretta a dare la parola al notissimo personaggio televisivo.
L’orologio «che ti salva dalla violenza».
Roberta Bruzzone fa un intervento poco originale, in realtà. Tra una difficoltà tecnica e l’altra, si concentra sulla violenza psicologica, ripetendo una decina di volte la parola “subdola”, a significare che la si può anche subire senza accorgersene (il metamessaggio ben calcolato è: «siete tutte vittime ma non lo sapete»). Fa una serie di esempi di violenza psicologica che sarebbero validissimi (e lo sono nella realtà) anche a sessi invertiti, ma di fatto anche per lei il fenomeno ha solo un tipo di vittime e solo un tipo di carnefici, dallo schema non si esce. Dopo ciò, si perde un po’ parlando di una vicenda che dice di aver seguito personalmente, recuperando lo stesso meccanismo di auto-legittimazione usato dall’avvocato precedente. Si dilunga allora a raccontare la storia di una coppia benestante dove lui, oltre a essere sessualmente impotente, aveva anche devianze sessuali voyeuristiche legate al BDSM. Un caso più estremo ed eccezionale di così difficilmente lo si poteva pensare. Su questa vicenda si diffonde molto, raccontando dettagli orribili, quelli che ci si può facilmente attendere in un contesto di squilibrio di quel genere. Si tratta di un caso eccezionale, insomma, che però viene implicitamente suggerito come fosse uno standard per tutti gli uomini che, si sa, per natura sono manipolatori, narcisisti, eccetera eccetera. Insomma una delusione, tanto da farci anche perdere il piacere di stuzzicare in una chat che nel frattempo ha preso la deriva di un confessionale intra-femmine, con avvocati e psicologi che ogni tanto provano a farsi un po’ di pubblicità. Niente di serio questo webinar, insomma: la solita sbobba senza contraddittorio, senza pezze d’appoggio, piena di forzature e orientata a dare una versione allarmistica e terroristica a senso unico: le donne, tutte, sono vittime; gli uomini, tutti, sono carnefici. Più in là di questa usuale tiritera non si è andati.
Dietro questa banalità però c’è un retroscena molto più significativo del webinar in sé. Nel momento in cui ci siamo iscritti, sono iniziati a piovere nella nostra casella email messaggi al ritmo di uno a volte due al giorno. Il mittente appariva con il nome “WinLet”. Abbiamo salvato su un file unico tutte le loro 36 pagine di comunicazioni e vi invitiamo a leggerle nel dettaglio, in questo file ordinato cronologicamente. Limitandoci a riassumerle, gran parte di esse stimolano il destinatario a riflettere sulla violenza, ovviamente solo quella contro le donne. «Violenza: una parola, tanti volti», titola la prima email; «Violenza: combatterla partendo dalla formazione», la seguente; «Come porre fine alla violenza contro le donne?», quella successiva. E così via in una descrizione del mondo che è un crescendo di ansia, emergenza, terrore e allarme. Poi arriva un’email che aiuta a far luce: dopo il solito pippone ansiogeno, veniamo invitati a fare una sorta di questionario, dove ci si chiede come considereremmo un oggetto capace di proteggerci, se fossimo donne, dalla brutale violenza maschile. Qualcosa che a premere un pulsante emetta una sirena assordante, che ci faccia localizzare facilmente, che chiami subito la Polizia e un team di sostegno psicologico. Noi ovviamente diamo tutte risposte negative, perché ormai il gioco è chiaro: qua l’impegno contro la violenza sulle donne non c’entra nulla. Qua è una roba commerciale. Infatti: scorriamo l’email e nel footer vediamo che lo sponsor del webinar è la “Security Watch S.R.L.” di Milano. Suo unico prodotto (nonché suo unico scopo, come dichiarato dalla visura camerale) un orologio che fa proprio tutte le cose su cui siamo stati interrogati: sirena, geolocalizzazione, connessione con la polizia e con un team di psicologi. Il tutto, come dice il loro sito, in comodato d’uso e con abbonamento di 5 euro o 8 euro al mese, a seconda dei servizi. Mano a mano che ci si avvicina al giorno del webinar, le mail prendono la frequenza dello spam, e insistono, insistono, insistono su questo magico orologio. Addirittura c’è uno sconto per chi si è iscritto al webinar. E alla fine della diretta, la pubblicità del dispositivo appare immediatamente davanti alla chat.
Marketing e femminismo si sono sposati da tempo.
Dunque cosa abbiamo, in sostanza? Un incontro online preceduto da una pioggia di email allarmistiche sul fenomeno della violenza contro le donne, senza un dato ufficiale a supporto, ma con tanta retorica terrorista. Il webinar stesso è una buridda di luoghi comuni sullo stesso tema, con toni sempre più terrorizzanti, fino alla storiaccia estrema raccontata dalla Bruzzone. Insomma, siore e siori, la violenza contro le donne in Italia è un fenomeno gravissimo, amplissimo, rischiosissimo quindi… quindi accattatevi l’orologino magico che fa la sirena, e vedrete che tutto si sistema. Vi ricorda qualcosa? Di questo meccanismo abbiamo parlato qualche giorno fa, relativamente all’iniziativa del big della cosmesi Schwarzkopf. Lì l’aggancio era al gender pay gap, qui è alla violenza contro le donne. Una bugia la prima e un fenomeno iper-ingigantito la seconda, entrambi asserviti a biechi scopi commerciali. Hanno avuto di che sperticarsi col-core-in-mano l’avvocatessa e la Bruzzone parlando dei casi umani che gli sono passati davanti. Quand’anche fosse tutto vero, tutta la partecipazione emotiva viene spazzata via da ciò che sta dietro: qualcuno che cerca di lucrare sul sovradimensionamento di un fenomeno che, dati alla mano, ha proporzioni meno che fisiologiche nel nostro paese. Quello a cui abbiamo assistito, insomma, è stato lo stesso spettacolo che uno-due secoli fa finti dottori mettevano in scena nelle piazze dei paesi per proporre i loro elisir di lunga vita, dopo aver accuratamente elencato una serie di possibili malattie, molte delle quali inventate, ma tutte terrorizzanti per gli ascoltatori. Questo webinar, come tante altre iniziative simili, sono un Dottor Dulcamara 2.0, niente di più, niente di meno.
Resta solo da chiedersi se le invitate fossero al corrente o meno di questo sfruttamento commerciale del loro impegno espositivo, perché per il resto tutto è chiaro, anche troppo. Ogni imprenditore vuole guadagnare vendendo il proprio prodotto. Per riuscirci, quel prodotto dev’essere desiderato o considerato utile, quando non necessario. I produttori d’acqua minerale o i servizi di pompe funebri sono in una botte di ferro da questo punto di vista, perché tutti abbiamo necessità di bere e tutti moriamo. Chi produce altri beni, invece, deve trovare il modo di collocarli sul mercato, anche se perfettamente inutili. Nella normalità delle cose è la domanda che fa l’offerta, ma nell’anomalo mondo attuale si è invertito tutto, ed è l’offerta che determina la domanda, se questa non c’è. Se produco un oggetto del tutto inutile, mi basta indurre il bisogno di tale oggetto, ed ecco che mi faccio ricco. È il caso dell’orologio salva-pulzelle della Security Watch. Di norma non lo comprerebbe nessuno (e siamo certi che non lo comprerà nessuno, se non qualche nipote di qualche ex cliente di Wanna Marchi), dunque per stimolare la domanda occorre agganciarsi all’allarmismo già ampiamente alimentato dai media relativo alla violenza contro le donne. Si organizza una serie di webinar online, si coinvolge un volto noto della TV, avvocatesse, attiviste eccetera, tutte riunite in un unico coro: «c’è violenza, c’è violenza, c’è violenza», oppure «donne vittime, donne vittime, donne vittime», et voilà il gioco è fatto. Da un versante ci sono politici con le loro clientele che sguazzano sul falso allarme, dall’altro c’è chi ci innesta sopra un business, e tutt’attorno i media foraggiati per alimentare l’emergenzialismo generale necessario a far viaggiare bene questo comparto politico-economico-commerciale. Lo si è detto: marketing e femminismo (più queer) si sono sposati da tempo, ed è un matrimonio felice: il primo usa il vittimismo del secondo come strumento per stimolare il mercato, e il secondo prospera dal lato del potere. Un bluff commerciale (così definiremmo l’immissione sul mercato di un oggetto sostanzialmente inutile) basato su una truffa ideologica. Il tutto a spese della pace relazionale tra uomini e donne di oggi e di domani, oltre che della verità dei fatti.