C’è una notizia molto significativa, su cui torneremo ancora ripetutamente in futuro: una persona da molto tempo attiva nell’ambito della “questione maschile” verrà candidata alle prossime elezioni comunali di Roma. Si tratta dell’amico Fabrizio Marchi, un nome noto a chi si occupa da tempo delle tematiche cardine di questo sito e di tanti altri. Docente, autore di diversi libri importanti di critica al femminismo, declina l’analisi delle problematiche da un’ottica apertamente marxista. Marchi denuncia da tempo come la sfera femminile abbia in buona parte fallito il suo processo di evoluzione accettando, attraverso il femminismo, di farsi strumento delle peggiori logiche capitaliste, contribuendo con ciò alla perpetuazione dell’oppressione delle classi più deboli, di cui per altro fanno parte paritariamente uomini e donne. È un punto di vista interessante e stimolante, una prospettiva sicuramente ampliabile ma dalla cui struttura è già possibile trarre molti spunti non solo di riflessione ma anche di azione concreta. Marco Rizzo, Segretario Generale del Partito Comunista, deve aver colto questi aspetti, ed è lui ad aver offerto a Fabrizio Marchi la candidatura alle comunali della capitale, che si terranno in autunno.
Stiamo parlando di un partito di estrema sinistra a cui Fabrizio Marchi si associa sicuramente per affinità ideale ma anche, per sua stessa ammissione, per portare le tematiche della questione maschile all’interno delle istituzioni. Avremo modo di chiedergli conto nel dettaglio di cosa vorrebbe fare, se eletto. Quello che impressiona già ora è che critiche e attacchi all’ipotesi della sua presenza nelle liste elettorali siano venute non dalla controparte politica, dalla Lega o da Fratelli d’Italia ad esempio, bensì da “fuoco amico”. Si sa che il marciume femminista ha profondamente permeato quell’ologramma di “sinistra” che è il PD, quindi è facile attendersi che gli attacchi arrivino da lì. Invece no: Marchi viene subito preso di mira da un’area molto più genuinamente di sinistra, almeno sulla carta: “Il Manifesto”. Sulle sue pagine (virtuali) fa capolino tale Alberto Leiss che con il consueto birignao da suprematista culturale racconta di essersi imbattuto “per caso” (perché di suo lui certe porcherie non le legge, ovviamente) nel post Facebook con cui Marchi annuncia la sua candidatura. Partendo da uno dei libri di Marchi, si comporta come il classico redattore contemporaneo, ovvero annuncia: «non giudico un testo da un riassunto editoriale», ma poi lo fa.
Idee fondate sul vero del racconto maschile.
Leiss ha qualche parola concessiva nei confronti dell’impianto concettuale di Marchi, laddove denuncia come “la sinistra”, specie quella moderata, abbia da tempo gettato alle ortiche il suo impegno sui diritti sociali, ma oltre non si va. Che questo aspetto possa aver colpito in gran parte la sfera maschile, con quella femminile resa strumento d’attacco da un’ideologia pericolosa e conflittuale come il femminismo, no, quello non è accettabile. Leiss quasi irride l’immagine dell’uomo-vittima sotto il profilo sociale e umano evocata dal percorso analitico di Marchi: è qualcosa di inconcepibile per lui inquadrare la politica attuale come un sistema che avvantaggia i ricchi ma con una particolare attenzione alle “ricche”, che sono tali perché decidono il 90% dei consumi disponendo di una ricchezza che però contribuiscono a creare solo in minima parte. Si tratta di una verità troppo scomoda per essere sopportata e allora, per uscirne in qualche modo, Leiss usa una domanda retorica per attribuire a Marchi qualcosa che Marchi non si sognerebbe mai di dire: «il rimedio sarebbe abbandonare quel tanto che si fa per una giustizia che sarebbe meno “sociale”?». Non è certo questo ciò che auspica chi si occupa della questione maschile, ovviamente: il punto è distribuire più equamente quel tanto che si fa per la giustizia sociale. E per riuscirci, oggi, occorre sottrarre la cultura in generale e in particolare l’iniziativa politica progressista dall’artiglio dei radicalismi collettivisti tribali e post-modernisti, femminismo in primis.
Dovrebbe suonare stonato a Leiss per primo, in quanto autore de “Il Manifesto”, che il focus generale sia su un fenomeno come il “femminicidio” che fa 40 vittime all’anno, e non le morti sul lavoro che ne fa 1200, praticamente tutti uomini, giusto per fare un esempio a caso. Ma no, è tutto normale, e allora Marchi è non solo un tizio un po’ strambo, un visionario con problemi relazionali e sessuali (questo viene suggerito tra le righe), ma soprattutto, rullo di tamburi, è un misogino. «Gratta il rivoluzionario anticapitalista e spesso ritrovi, comunque, il misogino», conclude Leiss, a cui si potrebbe tranquillamente rispondere: «Gratta il redattore di un giornale sedicente antisistema e spesso ritrovi, comunque, il conformista borghese». Così, con termini marxisti, un bel po’ obsoleti ma efficaci, si può archiviare la critica di un articolista che non manca di giustificare la propria posizione riconfermando la grande bugia fondativa del femminismo, ovvero che la sfera femminile sia «condizionata da millenni di patriarcato». Basta questo per riporre l’intervento di Leiss nella cartella delle riflessioni arroccate e cieche, dunque del tutto inutili. Il fatto che si sia manifestata su un giornale di “sinistra-sinistra” la dice lunga sulla battaglia che Fabrizio Marchi dovrà affrontare: sarà soprattutto dal suo lato dell’arco politico che gli arriveranno gli attacchi più biechi, i più forti colpi bassi e un tentativo costante di delegittimazione. È forse anche per questo che Marco Rizzo ha deciso di candidarlo, nel suo desiderio (in buona misura comprensibile) di segnare una netta linea di demarcazione tra chi è “di sinistra” e chi è “comunista”. Da questo punto di vista ha scelto molto bene: niente più di un critico del femminismo può infilare un potente cuneo nella frattura delle contraddizioni della finta sinistra targata PD e non solo. A fronte di prodromi come quello del Manifesto, ci sentiamo di consigliare a Marchi di proporre all’elettorato idee fondate su tutto il vero che c’è nel racconto maschile che facciamo ogni giorno, traendo da esso tutta la concretezza necessaria per avanzare proposte rapidamente cantierabili. La sofferenza sociale dovuta agli effetti (anche) del femminismo, oltre a essere trasversale tra uomini e donne, è a un punto di saturazione tale che, ce lo auguriamo, ma ne siamo quasi certi, potrebbe trovare in lui un rappresentante atteso e benvenuto.