La vicenda Massaro continua a tenere banco. Non poteva essere diversamente visto l’accanimento messo in mostra dalla mole di follower sui social, persone comuni, amministratori locali, enti, agenzie di stampa, blog, associazioni e personaggi politici che negli anni si sono accalcati a sostenere Laura Massaro nella crociata intrapresa, con corredo di interviste, foto, articoli, filmati, conferenze stampa, scioperi della fame, manifestazioni e proclami nelle piazze reali e virtuali. Crociata multiforme, in quanto è partita contro l’ex ma poi si è evoluta. Giuseppe Apadula è stato fatto passare per violento contro ogni evidenza giudiziaria anche con l’ausilio di penne e tastiere compiacenti, cosa che oggi fa la differenza. Il mantra ricorrente: «a Laura (la chiamano tutti per nome) tolgono il figlio nonostante abbia denunciato l’ex». Quindi se Laura ha denunciato Giuseppe questi dovrebbe togliersi di mezzo e marcire in galera senza quella noiosa incombenza in uso nei paesi democratici, cioè lasciare che la magistratura faccia il suo corso verificando la fondatezza delle denunce. Laura ha denunciato quindi ha ragione, le pasionarie dentro e fuori dal web non hanno dubbi: se il tribunale non le riconosce la ragione, la colpa non è della oggettiva infondatezza delle sue accuse ma è da cercare nel patriarcato che strangola l’intero sistema giudiziario italiano. Poco importa che siano di genere femminile la maggior parte di professionisti e operatori che a vario titolo hanno avuto un ruolo nell’annosa vicenda: sono tutte e tutti intrisi di patriarcato tossico. È un bug inevitabile: l’Italia è un Paese cronicamente pervaso da cultura patriarcale quindi pm, gip, giudici, curatori, consulenti e assistenti sociali non ne sono immuni.
Strategia utile a chi si nutre di vittimismo. Laura va sostenuta: è “madre coraggio”, «siamo tutte Laura». La crociata è divenuta multiforme, dicevamo: ha assunto nel tempo i contorni di crociata anti PAS perché è scienza-spazzatura e non è una sindrome, crociata anti alienazione anche se è appurato che non è una sindrome, crociata anti professionisti che riscontrano comportamenti dannosi per i figli, crociata anti violenza istituzionale, anti discriminazione di madri e figli, anti legge 54, anti bigenitorialità. «Maledetta legge 54, maledetta bigenitorialità», hanno tuonato perfino alcune delle Massaro-fans che siedono in Parlamento. Forse l’avevano illusa, chissà, un tale schieramento di forze potrebbe far sentire invincibile chiunque. Ora che il Tribunale per i Minorenni ha scritto l’epilogo stabilendo che la madre è dannosa per il bambino, il quale per essere protetto da un ambiente tossico deve esserne allontanato, alcune truppe pro-Massaro si defilano ma altre non demordono. Il fronte «siamo tutte Laura» è sempre nutrito, anche se meno prestigioso: ogni giorno saltano fuori nuovi endorsement. È impossibile seguirli tutti per contestarne i contenuti, anche perché sembrano uno la replica dell’altro, più o meno tutti ripetono gli stessi slogan.
Tutte ancelle del patriarcato.
Tra i tanti, ci segnalano Differenza Donna che in un comunicato spedito a oltre 200 indirizzi (mancano i Caschi Blu dell’ONU, la Protezione Civile, le Giovani Marmotte e Palamara, poi ci sono tutti) chiede non meglio identificati “interventi urgenti”. Lo scopo della lettera compare solo alla fine, quando viene espressamente citata Laura Massaro, la sua decadenza dalla responsabilità genitoriale e l’interruzione dei contatti madre-figlio. Il contenuto è la replica di mille altre lettere diffuse in mille altre occasioni: cita il GREVIO e il comitato CEDAW – enti notoriamente obiettivi ed imparziali… – poi la Convenzione di Istanbul e la direttiva UE 29/2012. Non corrisponde al vero però che quest’ultimo documento tratti «i diritti delle vittime di reati di violenza maschile nelle relazioni di intimità». La dicitura “violenza maschile” non compare in nessuna delle 30 pagine e in nessuno dei 32 articoli. Si tratta di una interpretazione faziosa di Differenza Donna come se la direttiva UE escludesse dalla tutela vittime ambosessi ma fosse concepita esclusivamente per la tutela del femminile. È falso, niente di più e niente di meno. I nodi centrali della lettera, come sempre, sono la difesa ad oltranza della figura materna a prescindere da qualsiasi comportamento possa agire, nonché la violenza data per certa e incontestabile per il solo fatto di essere stata denunciata.
Le donne, tutte, sono vittime di «costrutti ascientifici riconducibili alla cornice ideologica della cosiddetta alienazione genitoriale ma anche alienazione parentale, sindrome di alienazione genitoriale, ecc.». Le donne, tutte, sono vittime di «gravi compressioni dei diritti e delle libertà fondamentali che le donne e i/le minorenni hanno subito e subiscono in Italia a causa dell’ingresso della giurisprudenza di valutazioni di psicologia forense che censurano l’idoneità genitoriale materna in assenza di fatti o comportamenti concretamente pregiudizievoli nei confronti dei figli». È falso, falsissimo sotto tutti gli aspetti. Primo: non se ne può più di sentir parlare dei costrutti ascientifici, è un disco rotto. Non è scienza, non è patologia, non è un disturbo sintomatico, non è sindrome, lo hanno capito tutti tranne chi si accanisce a parlare di sindrome solo per poter urlare che la sindrome non esiste. Secondo: i provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale materna non vengono affatto presi in assenza di fatti o comportamenti concretamente pregiudizievoli nei confronti dei figli. Sono proprio i comportamenti dannosi ad essere rilevati dai giuresperiti, non da psicologhe e psicologi. Lo dimostriamo meglio in seguito. La lettera di Differenza Donna prosegue sostenendo che «formalmente il modello familiare è strutturato intorno al principio della bigenitorialità quale unica e sola dimensione che garantirebbe il sano sviluppo dei figli minori. Questa cornice ideologica, di per sé priva di fondamento giuridico, ma anche sociologico è un pretesto per danneggiare esclusivamente le donne, poiché mai viene invocato per censurare le inadeguatezze genitoriali paterne, ma solo per screditare le madri che hanno osato ribellarsi al controllo e alla violenza dell’ex partner».
La madre manifestava la volontà di limitare la relazione padre-figlio.
Ma come si fa? La bigenitorialità non è una cornice ideologica ma un diritto indisponibile della prole, non è vero che sia priva di fondamento giuridico poiché è riconosciuta nelle legge 54/06 e successive modifiche. Non è vero nemmeno che sia priva di fondamento sociologico poiché 75 studi internazionali – richiamati dalla raccomandazione UE 2079/2015 – confermano che la joint custody è la migliore forma di affido nell’interesse dei minori. Il diritto dei minori alla bigenitorialità non viene tutelato per danneggiare esclusivamente le donne: forse le amiche di Differenza Donna non conoscono casi in cui anche il padre può esercitare pressioni sui figli per allontanarli dalla madre. Comunque un dato è innegabile: in generale le dinamiche più frequenti riscontrate nelle conflittualità per i figli contesi riguardano una madre che combatte perché vuole esserci solo lei e un padre che si oppone perché vorrebbe esserci anche lui. Nel caso Massaro, appunto, la decisione drastica del Tribunale dei Minori non arriva perché una psicologa si alza e strilla «c’è la PAS», ma perché viene riscontrata una mole continua di comportamenti oggettivamente penalizzanti per il minore e in aperta violazione dei suoi diritti. Diritti del minore, non del padre. Tali comportamenti reiterati accanitamente per anni, vengono riscontrati dal curatore Avv. Bianca Dama, dal Giudice Anna Maria Contillo, dal Presidente Relatore Lidia Salerno, dalla CTU Irene Petruccelli, dalla CTU Marisa Malagoli Togliatti, dalla CTP dr.ssa Maugeri, dalle molteplici assistenti sociali intervenute. Tutti soggetti di genere femminile ma, secondo la chiave di lettura funzionale al vittimismo, tutte ancelle del patriarcato.
Già dal 2014 il tribunale aveva incaricato il Servizio Sociale di segnalare alla Procura presso il Tribunale dei Minori eventuali comportamenti pregiudizievoli per il minore, in particolare eventuali ostacoli frapposti dalla madre alla frequentazione del minore con il padre. Quindi nessuno psicologo ad introdurre junk-science, è il giudice che chiede una supervisione ai Servizi Territoriali. Altri comportamenti oggettivamente ostativi della sig.ra Massaro vengono rilevati quando la stessa dichiara apertamente di non concordare sull’importanza per il bambino dell’accesso a entrambi i genitori. Quando veniva ammonita ad agevolare la ripresa dei rapporti padre-figlio. Quando la Corte d’Appello (2014) evidenziava che la madre non aveva in alcun modo favorito tale rapporto ma lo aveva ostacolato in modo cosciente e volontario contravvenendo alle disposizioni del Tribunale. Quando il Tribunale evidenziava il grave disagio del minore rilevando che I’allontanamento dalla madre con collocamento presso il padre appariva I’unica soluzione per porre fine alla situazione creatasi. Quando la Corte d’Appello ammoniva nuovamente la Massaro (2015) a favorire le frequentazioni padre-figlio. Quando la Corte d’Appello ha riscontrato la condotta oppositiva e ostacolante della madre e pertanto chiedeva dichiararsi la decadenza della Massaro dall’esercizio della responsabilità genitoriale e I’allontanamento del piccolo dalla madre e dalla sua famiglia. Quando il Servizio Sociale di Roma Municipio X segnalava le difficoltà incontrate per ogni intervento volto a espletare il mandato non avendo trovato il consenso della madre. Quando anche nel corso degli incontri protetti la madre manifestava la volontà di limitare la relazione padre-figlio ritenendo il suo ex compagno pericoloso per il minore.
E adesso diamo la colpa a Gardner?
Massaro motivava le proprie opposizioni con una pericolosità del padre non supportata da alcun reale elemento. Quando il Tribunale aveva rilevato il comportamento disfunzionale della madre, di fatto ostativo all’accesso del minore al padre adducendo I’incapacità di occuparsi del figlio e il suo aspetto violento, elementi che non avevano trovato alcun riscontro. Quando la Massaro mette in atto condotte a più livelli di ostacolo all’accesso del minore alla figura patema che viene proposta al figlio con messaggi svalutanti e denigratori. Quando Tribunale e Corte d’Appello scrivono che la condotta della madre appare gravemente pregiudizievole per la sana crescita psicologica del minore e il provvedimento di limitazione della responsabilità più volte era stato evidenziato quale possibile conseguenza del comportamento non collaborativo della madre, ripetutamente ammonita in tal senso. Quando emergeva dagli atti la grave condizione di pregiudizio psicologico del minore, incastrato in un rapporto di lealtà con la madre che non gli permette di autodeterminarsi ed esprimere la sua volontà senza coercizioni, attesa la condotta della madre che volontariamente e involontariamente non gli permette l’accesso alla figura paterna dalla stessa e dal suo contesto familiare svalutata e denigrata, e tanto altro ancora, ma veramente tanto.
Sarebbe lungo e noioso citare tutti gli aspetti del comportamento ostativo tenuto incessantemente da Laura Massaro per anni, questi estratti sono relativi alle prime 5 pagine di una sentenza che ne conta 30. E questo, secondo Differenza Donna, sarebbe censurare l’idoneità genitoriale materna in assenza di fatti o comportamenti concretamente pregiudizievoli nei confronti dei figli. L’accesso al padre ostacolato con ogni mezzo e il mancato rispetto delle misure stabilite da diversi tribunali sono fatti oggettivi riscontrati dalle Autorità Giudiziarie, non opinioni soggettive di psicologhe incompetenti. È una mistificazione sostenere che Laura Massaro sia vittima di pregiudizi patriarcali e di valutazioni psicologiche derivate da teorie ascientifiche. Sembra purtroppo essere vittima dei suoi stessi comportamenti, convinta (anche grazie agli influenti appoggi dei quali ha potuto godere) che sia possibile adottare all’infinito una tattica oppositiva senza che succeda mai nulla, senza subirne le conseguenze poiché coperta da una sorta di impunità che inquantomadre le spetta di diritto. Ha provato ad autoassegnarsi lo status di vittima: prima delle violenze dell’ex, poi della junk-science, poi del patriarcato, poi delle istituzioni… comunquevittima. Eppure era stata avvertita, ciò che è accaduto le era stato ampiamente anticipato da anni. Fin troppe opportunità le sono state concesse per considerare il figlio non come proprietà esclusiva ma come soggetto di diritti, uno dei quali è l’accesso a entrambi i genitori. Le ha ignorate, restando arroccata sulle proprie posizioni accanitamente egemoniche. Dal 2014 è stata ventilata da diversi tribunali la possibilità di perdere la responsabilità genitoriale qualora avesse perseverato a danneggiare il figlio con le sue condotte in aperta violazione dei dispositivi giuridici. Non ha ascoltato gli allarmi dei tribunali ed è andata dritta per la sua strada, l’unica che ha dimostrato di considerare infallibile e giusta con incrollabile certezza, sostenuta dalle tante persone che con lei oggi condividono la responsabilità del fallimento. E adesso diamo la colpa a Gardner? Al patriarcato? Alla violenza istituzionale?