Il Premier Mario Draghi è preoccupato dell’inverno demografico che vive il Paese, per questo è intenzionato a varare una riforma in grado rendere nuovamente l’Italia un paese fecondo. Il provvedimento, da svariati miliardi, sostituirà le mezze misure che fino ad ora tutti i Governi, soprattutto avvicinandosi alle votazioni, hanno predisposto in passato, per renderlo omogeneo e duraturo fino al compimento del 21 esimo anno di ogni figlio. Può una riforma far nascere il desiderio di fare bambini? Guardando cosa succede in altre nazioni, più organizzate e certamente più attente alla famiglia e alle future coppie, si constata che il tasso di fertilità non è esplosivo nemmeno là dove congedi, incentivi, aiuti e servizi sono garantiti, strutturati ed efficienti. In Europa il tasso di fertilità totale si è attestato, nel 2019 a 1,53 nascite per donna, dato lontano quindi dal valore di 2,1 necessario a mantenere la popolazione. Le nazioni più prolifiche, che salgono sul podio di questa classifica, sono Repubblica Ceca, Danimarca e Irlanda mentre l’Italia è in coda con Grecia, Spagna e Cipro, tutti paesi con significativi problemi economici. Infatti “Chi non lavora non fa l’amore” e nemmeno figli. Perché è ovvio che se non ci sono i lilleri, passa la poesia (la denatalità si registra maggiormente dove il lavoro scarseggia o dove le condizioni sono orientate verso il precariato che impedisce di progettare il futuro).
Il welfare familiare del piano prevederebbe misure per giovani, donne e famiglie, realizzazione di asili nido e scuole per l’infanzia, più lavoro a tempo pieno (chi ha un part time farà i figli per essere messi al nido?), assegni e specifici interventi sulla questione della parità di genere «non un farisaico rispetto di quote rosa ma pari condizioni di competitività che permetta alle donne di dedicare, alla loro carriera, le stesse energie dei loro colleghi uomini, superando la scelta tra famiglia o lavoro». Mi pare, nulla di nuovo sotto questo cielo: i bambini, in questo Decreto, non fanno parte del piano. Un grosso ostacolo (al momento insuperabile) alla possibilità di incentivare le nascite è rappresentato dal fatto che uomini e donne non sono affatto interessati al tema. Nemmeno nel Nord Europa i tappeti rossi stesi per convincere i giovani a metter su casa hanno sfondato. Come conciliare la dedizione necessaria allo scopo se da 50 anni le nuove generazioni sono educate al mito della propria individualità, del proprio benessere personale, nella totale irresponsabilità?
La famiglia fa risparmiare lo Stato.
Sposarsi poi implica un legame preso davanti alla società, davanti alla legge, con dei diritti e dei doveri. È un progetto che richiede impegno “per tutta la vita” mentre la società insegue le mode, l’attimo, il cambiamento, il nuovo. Purtroppo non c’è sufficiente educazione su quanto sia fondamentale costruire una relazione stabile, che metter su famiglia può essere l’occasione per stare meglio. Una profonda ignoranza che sta portando sempre più donne a rinunciare al progetto di un futuro a fianco di un uomo e a spostare sempre più in là il termine, entro il quale, diventare adulte. Secondo il calcolo degli statistici, i tre quarti della diminuzione delle nascite in Italia dipende dalla riduzione numerica della popolazione femminile in età feconda: il 45,4% delle donne di età compresa tra 18 e 49 anni è senza figli. Di queste, il 17,4% sono childfree (la maternità non rientra nel loro progetto di vita). Sono soprattutto laureate, occupate e residenti al Nord. Con la scolarizzazione di massa ha infatti preso piede la mentalità anti-famiglia e antinatalista che ha dipinto la Famiglia come un luogo potenzialmente oppressivo da colpire e smantellare.
Più le donne salgono con gli studi più credono che libertà ed autonomia vengano prima di una relazione stabile e feconda, a totale disposizione del mercato che le ricatta col precariato, e che le spinge a cambiare continuamente lavoro e residenza rendendo impossibile stabilizzarsi. Meglio laureate o più etica (della cura), quella cantata da Franco Battiato (terra sis levis)? Da rivalutare poi la cultura che riconosce al maschio la sua dignità, la sua naturale vocazione all’eroismo; riscoperta della paternità naturale e biologica come fonte d’identità per tutti i nascituri, il valore dell’onore della parola data e dell’agire, dello spirito di sacrificio estremo con l’uomo pronto a donare sé stesso per una causa. Che si prenda spunto dalle misure messe in campo dall’inglese David Cameron, primo ministro, il quale durante il suo mandato organizzò una serie di servizi a difesa delle coppie allo scopo di favorire il loro benessere, insegnando a superare le difficoltà che posso far fallire il matrimonio, diffondendo una cultura basata sulla fedeltà e la stabilità matrimoniale. Secondo l’ufficio di statistica nazionale, nel Regno Unito in quegli anni si registrò la più bassa percentuale di divorzi scendendo dal 13,1% ogni 1000 uomini e donne al il 12,2%. Misure che consentirono allo Stato inglese di ricavare un certo guadagno derivante dal risparmio sui costi per la gestione di minori nelle comunità e delle conseguenze che portano, a donne e uomini, separazioni e divorzi.
La famiglia è meglio dei sussidi.
Per far sì che il Pnrr si concretizzi in un Piano Marshall della fertilità non servono assegni: è da rispedire al mittente la cultura del sussidio, misura che nasconde anche il pericolo di essere erogata a determinate condizioni. È il lavoro che consente alle persone di programmare e pianificare un progetto familiare mentre le ricerche hanno dimostrato che l’incertezza e la precarietà fanno aumentare le convivenze rispetto ai matrimoni e calare le nascite. I bonus bebè e i nidi gratuiti non sono la soluzione: occorre che tutto il Governo consideri la Famiglia la più eccellente struttura del Pese e occupi nella politica una priorità vitale. La tutela di questa Istituzione è una questione di “giustizia sociale” che ha un impatto enorme sulla società. Se marito e moglie sono messi nella condizione di vivere e lavorare ne beneficiano tutti: dai figli all’intera società e questo si riflette sulle casse dello Stato, che non dovrà pensare ad un welfare assistenziale fatto di sussidi e altre stampelle.