Chiunque vinca una battaglia, prevalga in uno scontro, se ne fa vanto e lo proclama ad ogni occasione nei termini più netti possibili. Sventola la bandiera del trionfo e della conquista. Ma non sempre. Ci sono delle conquiste dai risvolti tali per cui si è indotti ad occultarne i presupposti, a nasconderne le implicazioni, come se la vittoria portasse con sé conseguenze letteralmente impresentabili. Una di queste è l’irresponsabilità femminile nell’ambito delle relazioni sessuali, versante nel quale, grazie al femminismo, le occidentali hanno conquistato un favoloso 6×3 ma sono costrette a negare che valga 18. Ecco come e perché.
È una vera infamia pensare che le donne siano meno responsabili degli uomini, che possano e debbano rispondere degli impegni assunti (esplicitamente o meno) in misura parziale o che non ne debbano rispondere per nulla. Che non si sentano vincolate alla parola data nello stesso grado degli uomini e che, di conseguenza, la società debba mostrare condiscendenza verso queste semicoscienti, e ciò nelle leggi, nelle sentenze, nei costumi. Un metro diverso, un po’ (… molto) elastico, da usare con creature semisonnambule, come si fa con gli adolescenti o da non usare per nulla, come per i bambini. Un insulto, un oltraggio. L’idea che siano meno responsabili degli uomini ha serpeggiato per secoli ed è affiorata qua e là anche su testi dei grandi del pensiero, opinioni (e talvolta leggi e sentenze) che giustamente abbiamo considerato aberranti. Mia madre meno responsabile di mio padre, mia moglie meno di me… ma siamo matti? E poi, perché mai? Piena umanità, piena maturità, piena coscienza, piena responsabilità sempre e comunque. Al pari degli uomini. Sacrosanto.
Neanche inquantodonna può cavarsela.
Senonché la rivendicazione orgogliosa di questa responsabilità integrale e paritaria si è arenata fin da subito di fronte alla questione della maternità non voluta, con la conquista del diritto all’aborto da praticarsi a discrezione senza che nemmeno venisse ipotizzata analoga possibilità per i padri in fieri che non vogliono diventare tali. In tutto l’Occidente le donne hanno conquistato il diritto di sottrarsi alle conseguenze del proprio comportamento sessuale imponendo al tempo stesso le loro scelte agli uomini (parità davvero singolare, questa). Rivendicata dunque e ottenuta una responsabilità integrale e completa, ma non su questo aspetto pur fondamentale della vita. Piena e totale, certo, ma senza esagerare. A partire da quella conquista si è proceduto progressivamente ad espugnare un altro bunker, avvenimento maturato insensibilmente, sottotraccia, ma oggi finalmente in corso di emersione persino nel discorso pubblico: l’irresponsabilità radicale nei rapporti sessuali. È acquisito finalmente che non vi è più alcun comportamento, gesto o parola che diano garanzia del consenso, nulla che dia certezza al partner della volontà positiva femminile. Se poi anche vi fosse, questa andrebbe accertata reiteratamente con una continuità non specificata, come se la donna non fosse vincolata alla parola data neanche per cinque o tre o due minuti. Non lo è infatti e ne abbiamo ragionato qui e qui.
Ora, tra le motivazioni addotte e gli scenari evocati (un depistaggio perfetto rispetto al focus della questione) vi è quello dell’ubriaca che in quanto tale non può rispondere di ciò che fa o dice (come pure di ciò che non fa e che non dice). Ma ancora una volta questo non vale per gli uomini, i quali rispondono del loro comportamento anche se fatti, sfatti e disfatti. Lei invece no, lei in quanto alterata è irresponsabile. Tuttavia se in quelle condizioni esce di casa, sale in auto e investe qualcuno, ridiventa subito responsabile e finisce in tribunale al pari di un uomo. Sembra incredibile ma ci finisce anche se è stata costretta ad ubriacarsi e a drogarsi. Neanche inquantodonna può cavarsela dicendo: «Vostro onore, ero sbronza sì, ma perché mi hanno imposto di bere. Io non volevo!». «Ah è così? E cosa aspettava a dircelo! Se l’hanno costretta archiviamo tutto, la chiudiamo qui e scusi per il disturbo…».
Meglio non fargli sapere che 6×3 dà 18.
Irresponsabile sui divani della festa, come per incanto torna a rispondere dei propri atti non appena si mette al volante, appena esce dalla sfera sessuale. Non è vero dunque che il femminismo abbia conquistato il privilegio dell’irresponsabilità universale per le donne, giacché ciò vale in modo perfetto solo nelle relazioni sessuali. Qui la donna è davvero come un bambino: non risponde di ciò che fa, ne risponde qualcun altro. Non ne risponde da alterata e ciò è ovvio visto che non lo deve fare da sobria. E come potrebbe, se, ancor più a fondo, non è tenuta essa stessa a sapere cosa vuole? Non ci si può credere ma è così: quel che vale per i bambini. Rivendicando orgogliose la piena adultità, di meridiano in meridiano hanno completato il grande periplo e infine gettato gli ormeggi nello stesso porto da cui erano salpate. Sulle banchine le accoglie beffarda la stessa innocenza, la medesima irresponsabilità infantile di cui, con sdegno, giuravano e credevano di liberarsi per sempre. Un approdo imbarazzante, un risultato da occultare, una conquista da nascondere. Lo si farà col paravento del diritto di “cambiare idea”, del diritto “all’autodeterminazione”. Il diritto a… il diritto di… il diritto…
Una strepitosa conquista dunque che rende spensierate, libere e felici nell’alcova, ma che non può venir proclamata a chiare lettere né strombazzata ai quattro venti perché con ciò si confesserebbe la propria minorità coscienziale, il privilegio dell’infantilismo a scacchiera, il rifiuto beffardo della piena maturità vissuta e agita invece a geometria variabile. Si sdoganerebbero poi impresentabili misogini come O. Weininger per il quale le donne vanno trattate con indulgenza in quanto creature semioniriche e infine si metterebbe in allarme …il nemico. Meglio non fargli sapere che 6×3 dà 18. Se poi lo ignorassero anche le donne, sarebbe perfetto. Era tutto perfetto.