L’argumentum ad judicium (o del giudizio) o argumentum ad populum (ricorso al popolo), caso particolare di argumentum ab auctoritate (appello all’autorità), è un tipo di fallacia nella quale si afferma che una tesi sia corretta perché è sostenuta da un gran numero di persone (o documenti). È il gran numero di persone (o documenti) a costituire l’autorità. Questo argomento è adoperato spesso dai femministi. Ad esempio, questa è stata una delle obiezioni sollevate che ha motivato l’esclusione del nostro elaborato – spedito a seguito della Call di AG About Gender. Le nostre posizioni, secondo i reviewers di AG About Gender, sarebbero state contraddette da «…l’enorme mole di studi e dati di tipo sociologico, statistico, politologico sulla permanenza di disparità e discriminazioni di genere riguardanti l’accesso al lavoro, alle carriere, la retribuzione, i fenomeni di violenza etc. Studi che, comunque la si pensi, attestano il permanere di disparità di genere e di rappresentazioni stereotipate delle attitudini dei due sessi…». E ancora «…decenni di studi, analisi e rapporti di carattere storico, antropologico, economico e politologico, riguardanti una “oppressione degli uomini sulle donne”…». È evidente che «l’enorme mole di studi e dati» smentivano la nostra tesi. Sulla stessa linea si sono espressi i membri dell’associazione “Bon’t Worry”, durante il dibattito “Movimenti maschili e gli Incel in Italia – Facciamo il punto”. Avv. Sedu: «dire che le donne sono tutelate di più degli uomini quando poi abbiamo letteratura a iosa di come il mondo è stato creato e di come le società si sono evolute concentrandosi esclusivamente sull’uomo mi sembra un po’ azzardato» (min. 1:45:53).
I nostri interlocutori hanno ragione a vantarsene. Il femminismo è riuscito a produrre una smisurata mole di materiale e documentazione, a livello tanto accademico quanto istituzionale. Sul fronte critico invece si può contare un numero irrisorio di opere, per lo più di scarsa diffusione. È una realtà oggettiva che non può essere negata, basta recarsi a qualsiasi biblioteca del mondo occidentale per averne conferma. Ciò nonostante, ho già accennato come anche la filosofia scolastica durante il Medioevo avesse prodotto una mole di studi e riflessioni accademiche, così come la teologia, il geocentrismo, l’alchimia, il creazionismo o il flogisto, solo per citarne alcune. O le teorie razziali, durante il XIX e la prima metà del XX secolo. A dimostrazione che nella Storia non sono mancate idee e tesi false, o come minimo molto discutibili, supportate da un’enorme mole di studi, analisi, rapporti e letteratura a iosa che hanno sovvertito la realtà. Come è riuscito il femminismo a fare la stessa cosa? In queste poche righe, con un semplice esempio, voglio far nascere l’idea, in maniera accademica, che la popolazione nera (con speciale riguardo agli Stati Uniti) sia privilegiata rispetto alla popolazione bianca, discriminata.
Ci vorranno circa 100 anni per raggiungere la parità.
Immaginiamo di creare un ente autorevole che, per una coincidenza del caso, denominiamo World Economic Forum. Immaginiamo che questo ente realizzi periodicamente degli studi globali che, per una coincidenza del caso, denominiamo Global Race Gap Index. Prima di iniziare qualsiasi indagine, i ricercatori selezionano previamente i campi di studio che verranno approfonditi, allo scopo di provare la tesi che vogliano analizzare, cioè il privilegio dei neri e la discriminazione dei bianchi. Dunque da subito vengono esclusi tutti i campi di ricerca che possono mettere a repentaglio la tesi, al di là della loro possibile rilevanza: suicidi, popolazione carceraria, senzatetto, problemi di dipendenza, vittime di omicidio e violenza, ecc. Gli studiosi scelgono tre/quattro campi di ricerca, al di là della loro futilità, che confermino la tesi, ad esempio, il tasso di furti subiti nelle proprietà, abitazioni e ville, la frequenza della vita notturna per le strade dei neri e dei bianchi, la tassazione fiscale complessiva versata, il possesso di scarpe di basket Jordan o l’esercizio e la pratica della musica rap. Tutti questi campi monitorati rilevano un’asimmetria a danno dei bianchi, valutata da un minimo di 0 (discriminazione massima) fino a 1 (parità). Nell’eventualità che qualche dato in qualche luogo specifico possa ribaltare quest’asimmetria, viene stabilita la regola che quando il dato non mostra un’asimmetria a sfavore dei bianchi, lo studio riporta l’indice a 1, che sta a indicare la parità. Ad esempio, se in un certo paese o città i bianchi si sentono più sicuri e si spostano di più per la strada di notte rispetto ai neri, che rimangono di più a casa per paura, vuol dire che bisogna riportare l’indice a 1.
Se si vuole proprio esagerare, si può includere qualche indicatore che non preveda più un esito paritario, ma un esito prestabilito a favore dei bianchi, in quei campi dove i bianchi si trovano evidentemente in vantaggio. Ad esempio, viene deciso di includere, per una coincidenza del caso, la speranza di vita. È un dato incontrovertibile il fatto che i bianchi vivono più a lungo dei neri, dunque gli studiosi, sempre per una coincidenza del caso, decidono che l’indice non è più 1 ma 1,06, cioè i bianchi devono vivere di più. Là dove i bianchi vivono troppo di più (al di là di 1,06) rispetto ai neri, l’indice si riporta a 1,06. Parità. Una volta realizzato lo studio, viene stilata una classifica mondiale che, per una coincidenza del caso, denominiamo Global Race Gap Report, dove ogni paese trova una sua collocazione nella classifica per la parità della razza bianca. La conclusione del Report: ci vorranno circa 100 anni per raggiungere la parità dei bianchi a livello globale. Il Report viene pubblicato e pubblicizzato presso ogni istituzione e da ogni mezzo stampa (ONU, UE, governi, ONG, Rai, Corriere della Sera…) fino alla scuola, in modo da rendere le fonti autorevoli.
Siamo noi l’anti-establishment.
I dati riportati da queste indagini, studi, analisi e rapporti sono veri, ma raccontano soltanto una parte della verità. Una verità parziale è sempre una grande bugia, una rappresentazione sbagliata della realtà. La sofferenza dei neri (degli uomini) nel mondo è oscurata, eliminata. Come può essere più importante il dato delle poche centinaia di donne che siedono in un Parlamento nazionale rispetto alle migliaia di uomini che muoiono suicidi, sono senzatetto o ai quali vengono sottratti o nascosti i figli? Eppure per il World Economic Forum, per l’ONU, l’UE e tutti i governi il dato delle donne in Parlamento è molto più importante. Ma si può fare di meglio, «ci sono tre tipi di bugie: le bugie, le bugie sfacciate e le statistiche». Il movimento femminista ha saputo mettere in pratica molto bene quest’aforisma. Vogliamo colpevolizzare i tesdeschi e vittimizzare gli italiani? Facile. L’ISTAT realizza una macro inchiesta sulla maleducazione e sulla violenza culturale ma, per una coincidenza del caso, soltanto a danno degli italiani per mano dei tedeschi. Ai tedeschi non vengono rivolte domande. Successivamente viene deciso di chiedere anche ai tedeschi ma, per una coincidenza del caso, soltanto sulle aggressioni e sui gesti di maleducazione che hanno esercitato sugli italiani. In pratica, non viene mai chiesto ai tedeschi se hanno subito violenza dagli italiani né agli italiani se l’hanno mai esercitata. Dall’indagine, la popolazione italiana interrogata conferma il sospetto che i tedeschi sono un popolo violento e maleducato, l’esito è inequivocabile. È compito dell’ISTAT renderlo pubblico e diffonderlo con ogni mezzo, e s’impegna a rifare le stesse inchieste, con la stessa modalità, periodicamente. Ma si può fare ancora di meglio, si possono creare statistiche dal nulla, completamente false. Sono statistiche zombi, non importa quante volte vengano smentite e uccise, ritornano sempre in vita (il gender pay gap, la violenza maschile come prima causa di morte delle donne, un femminicidio ogni tre giorni, la femminilizzazione della povertà, non esistono le false denunce, nelle università americane una studentessa ogni cinque è vittima di stupro…).
A febbraio 2012 Rashida Manjoo, la relatrice speciale delle Nazione Unite sulla violenza contro le donne, dichiarò: «il femminicidio è la prima causa di morte in Italia per le donne tra i 16 e i 44 anni». Non fu l’unica. Dichiarazioni simili furono esternate dal Consiglio di Europa, dalla ministro delle Pari Opportunità Barbara Pollastrini, dal Senato italiano, dal Consiglio Comunale e Provinciale di Ferrara, dal Comune di Genova, dal PD, da Rifondazione Comunista, da Rai 1, dal Corriere della Sera, da La Repubblica, da La Stampa, e così via fino a una ventina di fonti autorevoli e citazioni simili, tutte raccolte da me in un CD in screenshot e in video e allegate in un esposto che feci a marzo 2012 presso la Procura della Repubblica (c.p. artt. 291, 656, 658, 661) nei confronti dell’ONU (Rashida Manjoo, la relatrice speciale delle Nazione Unite), assieme alle fonti ufficiali che smentivano tale fandonia. Non si tratta di una piccola bugia, si tratta di una bugia grande quanto la piramide di Cheope che può essere smentita in meno di cinque minuti di ricerca. Ecco «l’enorme mole di studi e dati di tipo sociologico, statistico, politologico» e le loro fonti autorevoli, l’ONU, il Consiglio di Europa, il Senato, il governo, la Rai, i mezzi stampa. L’informazione istituzionale e accademica si proclama imparziale, ma non lo è: bisogna filtrare ogni informazione “ufficiale” in maniera critica. Uno dei grandi miti della narrativa femminista è quello di aver scisso in due gruppi antagonisti la stessa realtà: l’establishment (l’ONU, i governi, i media, le università, le multinazionali,…) e l’anti-establishment (il femminismo, Black lives matters, i gay, i trans, la sinistra, Femen,…). Si tratta di un’unica realtà ideologica (l’ONU, il femminismo, i governi, Black lives matters, i media, i gay, le università, la sinistra, le multinazionali, Femen,…), che produce un’enorme mole di studi, analisi e rapporti a conferma della propria narrazione. E noi, disprezzati dall’establishment e dall’anti-establishment, chi siamo? Nel mondo odierno siamo noi la parte antagonista, siamo noi l’anti-establishment, quelli che diffidiamo e vagliamo la loro «letteratura a iosa», sia questa reale, tendenziosa o zombi.