Aspettiamo da anni una comunicazione della Senatrice Valente che stabilisca ufficialmente a quale criterio dovrebbe rispondere un fatto di sangue per essere catalogato come femminicidio. Sarebbe utile anche a comprendere una volta per tutte cosa debba essere pubblicato negli elenchi degli episodi che rispondono a tale criterio. È singolare che proprio la Commissione d’inchiesta sul Femminicidio non sappia o non voglia definire cosa sarebbe un femminicidio. Ad oggi abbiamo contato oltre 15 definizioni diverse, a volte anche in contrasto fra loro, sempre provenienti da fonti ufficiose quali giornali, osservatori, siti, blog e poi dichiarazioni estemporanee di parlamentari, giornalisti, opinionisti vari, presenzialisti tv ed intellettuali o aspiranti tali. Talvolta divergono per la classificazione del movente: uccisa in quanto donna, per oppressione patriarcale, per maschilismo, per gelosia, perché non accettava la separazione o la libertà della donna o la sua autodeterminazione e così via. Ma il movente non è l’unica variabile fuori controllo.
Altro elemento mai chiarito è il ruolo che dovrebbero avere nella classificazione di un femminicidio l’autore, la vittima e il contesto nel quale l’evento delittuoso matura. Non c’è accordo su nulla tra i curatori dei vari osservatori fai-da-te e i sostenitori del femminicidio a tutti i costi, neanche nel riportare la notizia; ad esempio per alcuni sono importanti da sottolineare la gelosia e il possesso nel caso in cui l’evento accada in una famiglia separata, per altri invece qualsiasi contesto deve essere escluso (stato civile, età avanzata, eventuali patologie psichiatriche) e bisogna solo scrivere l’ha uccisa, l’ha uccisa, l’ha uccisa, l’ha uccisa. Un elemento comune è la colpevolizzazione del maschio: per qualche decina di criminali che ammazzano moglie e fidanzate, sotto accusa viene messo l’intero genere maschile che deve scusarsi, pentirsi, prendere coscienza della propria aggressività ed essere rieducato. Altro elemento comune è la mistificazione basata su cifre sparate a caso, la cui “prova” sarebbe costituita dagli slogan “un femminicidio ogni due giorni, ogni tre giorni, ogni 72 ore”. Nemmeno le cifre dei femminicidi sono esenti dalle bizzarrie della fantasia individuale: il totale oscilla da 120 all’anno a 230 in quattro mesi, a seconda dell’estro di chi scrive.
Appare sempre più urgente un criterio di classificazione unico e certo, di fonte istituzionale, in grado di sgombrare il campo da letture approssimative del fenomeno, contaminazioni ideologiche e strumentalizzazioni. Nell’attesa che la Commissione d’Inchiesta sul Femminicidio faccia la Commissione d’Inchiesta sul Femminicidio, vediamo quanto possa essere fuorviante l’incrocio di tante definizioni diverse. Circola in rete un generatore automatico di bufale, creato anni addietro per mescolare le frasi celebri di Silvio da Arcore: da lo giuro sui miei figli a culona inchiavabile, da presidente operaio a più grande statista degli ultimi 50 anni, da credevo fosse la nipotina di Mubarak a con quel sorriso può sposare un milionario, Berlusca ha consegnato alla storia una serie di frasi memorabili. Qualcuno ebbe l’idea di scherzarci sopra inserendole in un elaboratore che le mescolasse per creare tutte le combinazioni possibili. Usando lo stesso elaboratore per incrociare le definizioni di femminicidio, con le sue varianti negli autori e nei moventi, saltano fuori oltre 197 combinazioni diverse. Eccolo qui di seguito: ad ogni refresh della pagina vi restituirà una definizione di “femminicidio” sempre diversa e sempre “valida”. L’argomento del femminicidio è serio, però, e non può essere lasciato ad un elaboratore casuale. Senatrice Valente, a quando dunque questo benedetto criterio e questi benedetti elenchi ufficiali?