È circolato molto di recente un articolo che riporta i dati sulle violenze subite dagli uomini di due regioni tedesche durante il lockdown. Si tratta di un intervento importante, che suggerisce alcune riflessioni. E tutte, ma proprio tutte, sono da tempo ampiamente approfondite in questo portale. La prima – le vittime maschili di violenza esistono; contrariamente a quanto ci vogliono inculcare la politica e i media mainstream, il modello-Toscani è una menzogna. La seconda – la violenza è un costrutto ampio e complesso che prescinde dal genere di autori e vittime. Pertanto la violenza non è “di genere”; l’unica ad essere realmente “di genere”, in Italia, è la risposta istituzionale. La terza – da noi l’approccio ideologico al fenomeno della violenza domestica ha convogliato e continua a convogliare i fondi pubblici esclusivamente sulle vittime femminili: non è stato speso un solo euro per formare un singolo operatore di genere maschile che risponda al 1522, non esiste un 1533 dedicato agli uomini, non vengono finanziati centri antiviolenza che accolgano vittime maschili, non esistono case di fuga per le vittime maschili, non esiste il gratuito patrocinio per le vittime maschili, non esistono campagne istituzionali che invitino gli uomini a denunciare, non esistono protocolli con farmacie, poste o aziende di trasporto pubblico per esortare gli uomini a denunciare.
La quarta – dove esiste un numero verde per accogliere le richieste d’aiuto delle vittime maschili, come nelle due regioni tedesche, gli uomini vi fanno ricorso. Quindi i dati appaiono sui media, i parlamentari devono esprimersi, le figure istituzionali devono prendere atto del problema, conoscerlo, affrontarlo, il fenomeno delle vittime maschili entra nel dibattito pubblico e nell’agenda politica. È proprio questo che non deve accadere in Italia, altrimenti crollerebbe il postulato della violenza unidirezionale: uomini esclusivamente aguzzini, donne esclusivamente vittime; un intero genere oppresso, l’altro oppressore. Per sostenere tale postulato serve un mix di mistificazioni ed omissioni: le mistificazioni si susseguono ininterrottamente sul fronte dei femminicidi, che la narrazione ideologica vorrebbe incessantemente collocare in una forbice tra 120 e 180 ogni anno con gli slogan “una vittima ogni due/tre giorni”. Le omissioni sistematiche sono l’aspetto più subdolo ma anche il più diffuso del problema: non esistono studi, monitoraggi o ricerche istituzionali sulla violenza subita dagli uomini fuori e dentro le mura domestiche.
Ed ecco la precisazione non virgolettata…
Il disagio maschile non deve essere rilevato né tantomeno studiato. Per gli uomini non esistono indagini mirate che ne evidenzino il disagio: CEDAW, GREVIO, ISTAT, Ministero del Lavoro, Ministero dell’Interno, Ministero della Sanità, MIUR e Ministero Pari Opportunità divulgano dati esclusivamente sull’universo femminile: violenza fisica, sessuale, psicologica ed economica subita dalle donne, occupazione femminile, gender pay gap, violenza contro le donne sul posto di lavoro, indagini periodiche sulle violenze subite dalle donne, poi violenza domestica subita dalle donne nel lockdown, conseguenze della pandemia sulle donne, perdita dei posti di lavoro per le donne, influenza negativa della DAD sulle donne. Come se gli uomini non avessero mai patito una sofferenza, né prima né durante l’emergenza sanitaria. Mai perso un posto di lavoro, mai ricevuto percosse, coltellate, stalking, mai ricevute violenze psicologiche o economiche, mai un uomo sfruttato o umiliato, mai uno finito a dormire in macchina, ma uno trascinato in tribunale vittima di false accuse, mai un padre privato dei figli. Tutto questo non è mai successo, e se è successo non deve essere rilevato, tantomeno studiato, approfondito, misurato statisticamente. Ne deriva che, se nessuno ha mai sentito l’esigenza di rilevare il disagio maschile, tale fantomatico disagio maschile non esiste.
Non solo: l’assenza di dati sulle vittime maschili risulta ancora più macroscopica se confrontata con l’abbondanza di dati sulle vittime femminili. Ne scaturisce un duplice effetto: ad una enfatizzazione delle criticità femminili corrisponde il totale oscuramento delle criticità maschili. L’humus ottimale per alimentare la narrazione ideologica. C’è poi la quinta riflessione – la febbrile necessità di conservare il monopolio del vittimismo. Vediamo come. Abbiamo visto che in Germania il fenomeno delle violenze subite dagli uomini viene riconosciuto: «Il ministro per gli Affari sociali e l’integrazione del Baden-Württemberg, Manne Lucha, ha affermato che la violenza di qualsiasi tipo deve essere resa pubblicamente visibile e che quella contro gli uomini è ancora un tabù. Inoltre, secondo i funzionari il servizio colma una lacuna nel sistema di assistenza sociale della nazione. Anche Ina Scharrenbach, ministra per le Pari opportunità del Nord Reno-Westfalia ha chiesto di porre fine al tabù sulla violenza contro gli uomini e ha cercato di incoraggiare coloro che ne soffrono a cercare aiuto. Inoltre, secondo Scharrenbach la lotta contro i maltrattamenti è una parte naturale del processo verso l’uguaglianza di genere e ha esortato le persone a denunciare la violenza contro gli uomini tanto apertamente quanto quella contro le donne». Tuttavia arriva una precisazione non virgolettata, quindi non possiamo capire se sia anch’essa attribuibile a Lucha e Scharrenbach, oppure sia una valutazione della cronista Giulia Maini. La precisazione é questa:
Il monopolio è blindato.
Ok, gli uomini possono anche subire violenze, ma il monopolio della violenza di genere rimane femminile. Impossibile concordare. La narrazione ideologica nega che anche un uomo possa essere aggredito per il solo fatto di essere un uomo. I fatti, non le opinioni, testimoniano il contrario. Un soggetto di genere maschile può essere vittima di violenza fisica in-quanto-fidanzato perché la ex che viene lasciata lo accoltella; può essere vittima di stalking in-quanto-uomo perché una spasimante respinta lo perseguita; può essere vittima di sfregio del volto in-quanto-uomo perché la ex convivente lo attacca con l’acido; può essere vittima di violenza psicologica in-quanto-uomo perché falsamente accusato da una calunniatrice avida di denaro; può essere vittima di violenza psicologica in-quanto-padre perché la moglie gli vieta di vedere le figlie. Lo dice in maniera inequivocabile una corposa casistica di cronaca giudiziaria. Tutto questo è classificabile esattamente come violenza di genere, sistematica, ricorsiva, culturale, diretta contro gli uomini in quanto uomini, col ruolo di oppressore assunto dal genere femminile.
Inoltre sorprende la vistosa contraddizione, l’ennesima, della narrazione femminista. Se fosse vero ciò che dice l’articolo, vale a dire che «la violenza subita dagli uomini non può essere definita violenza di genere, in quanto è principalmente perpetrata da partner attuali o precedenti, quindi per motivazioni riguardanti il rapporto interno di coppia», qualcuno dovrebbe spiegare per quale motivo la violenza domestica (quindi esclusivamente ad opera di mariti o conviventi) diventa “di genere” solo quando a subirla sono le donne. Anche quel tipo di violenza scaturisce da rapporti interni alla coppia, eppure il mantra vittimistico lo classifica immancabilmente come violenza di genere. L’esempio più eclatante lo abbiamo avuto in concomitanza con il lockdown, quando ha imperversato l’allarme corale per un aumento della violenza di genere poiché le vittime erano chiuse in casa con i propri aguzzini. Ancora maggiore è l’allarme per il picco di violenza di genere che esita nel femminicidio, l’uccisione inquantodonna, anzi, quel tipo di narrazione individua proprio nei rapporti di coppia critici la molla delle pulsioni omicide. “L’orco ha le chiavi di casa” ed “uccisa da chi diceva di amarla” sono slogan ricorrenti in ogni titolo sui femminicidi e in ogni report sulla violenza di genere, ma forse in Germania non lo sanno. Insomma la violenza è di genere quando viene agita dal marito verso la moglie, a ruoli invertiti sarà anche violenza ma non è più di genere. Il monopolio è blindato.