La discrezionalità della magistratura è una prerogativa irrinunciabile. Ogni articolo di legge è costituito da poche righe ma quelle poche righe vanno applicate a 60 milioni di cittadine e cittadini, con le mille variabili che questo comporta. Tuttavia il magistrato a volte applica, altre volte interpreta. Cosa orienta la scelta tra una rigida applicazione e una più elastica interpretazione? Sono sempre più convinto che in troppi casi l’importante sia aver deciso quale provvedimento adottare, poi il motivo si trova. Uno strisciante pregiudizio gender oriented può dare adito a un’opinione precostituita, la quale trova poi legittimazione nel comma di un articolo che in altre occasioni è stato utilizzato per motivare una decisione diametralmente opposta. Entrando nel merito di una questione di cui si è occupata di recente la Corte di Cassazione, si parla di denaro, argomento spinoso delle separazioni.
Un padre separato deve versare alla ex moglie, come da sentenza del 2002, un contributo al mantenimento del figlio minorenne pari a 300 euro mensili. Si attiene a quanto disposto e versa regolarmente fino al giugno 2007, mese in cui il ragazzo – classe 1985 – raggiunge la maggiore età. Dal mese successivo continua a versare regolarmente, ma cambia il destinatario: non effettua più il bonifico alla ex moglie, nonché madre del ragazzo, bensì al ragazzo stesso. Una pazzia, un capriccio inaspettato, un dispetto alla ex? No, si tratta di una scelta concordata tra tutti i soggetti coinvolti: il padre che versa l’assegno, la madre che lo riceve e il figlio in qualità di reale beneficiario.
È una modalità dettata dal buonsenso e assume anche una valenza educativa: il ragazzo ormai maggiorenne viene progressivamente responsabilizzato attraverso la gestione della somma a lui destinata. Trascorrono quattro anni e l’esperimento iniziale diviene una consuetudine consolidata, poi però nel 2011 arriva la sorpresa: al padre viene notificato un atto di precetto per oltre 21.000 euro, la ex moglie pretende che le somme erogate mensilmente al figlio dal 2007 vengano nuovamente versate a lei in soluzione unica. La sentenza viene appellata dal padre, ma la Corte d’Appello di Venezia rigetta l’opposizione. L’uomo ricorre anche per Cassazione, lamentando che la
Non si tratta di una decisione arbitraria.
Gli ermellini dichiarano inammissibile il ricorso con la motivazione, in estrema sintesi, che l’eventuale versamento al figlio deve essere stabilito dal tribunale e non può essere legittimato da un mero accordo tra le parti. Ecco che viene meno la discrezionalità del magistrato, ogni margine di interpretazione risulta annullato. Vero è che l’art. 337 septies recita: «Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto». Però io (che per fortuna non sono un magistrato) interpreto così la norma: la circostanza considerata dal 337 septies è che venga stabilito un assegno non previsto in precedenza. Il giudice può disporre ex novo qualcosa che prima evidentemente non era disposto, altrimenti non avrebbe “disposto” bensì “modificato”. Le parole hanno un senso, è la differenza tra il cosa e il come. La forma dell’eventuale versamento è infatti specificata solo al secondo comma, pertanto l’articolo al primo comma prevede cosa può essere disposto all’obbligato dal giudice (l’assegno al figlio maggiorenne), al secondo comma prevede come possa essere versato (anche direttamente al figlio).
La casistica è ampia, non tutte le coppie separate hanno prole minorenne. Può infatti separarsi o cessare la convivenza una coppia con figli 18enni e oltre per i quali il contributo al mantenimento non è un’estensione del contributo ai figli minori, ma nasce con i figli già maggiorenni sebbene ancora non autosufficienti. Nel caso affrontato in Cassazione, invece, la separazione dei genitori è intervenuta col ragazzo ancora minorenne, quindi col raggiungimento della maggiore età non è necessario disporre nulla che non sia già vigente, semmai l’unica variazione riguarda solo la forma. Non il cosa ma il come. Inoltre il versamento al figlio non è frutto di una decisione unilaterale del padre, imposta iure proprio agli altri soggetti coinvolti. Sia la madre che il ragazzo hanno concordato – come riconosciuto in due diversi passaggi del provvedimento di Cassazione – la nuova forma di versamento.
Si sono limitati ad applicare. E pure male.
Tutto il Diritto di Famiglia è subordinato alla formula “fatti salvi diversi accordi fra le parti” e la modalità in atto dal 2007 è, a tutti gli effetti, un accordo fra le parti. Non corrisponde al vero che qualsiasi piccola o grande variazione debba essere stabilita dal tribunale, né ratificata prendendo atto di una situazione già esistente. C’è un accordo e gli ex coniugi si comportano di conseguenza, punto. Prendiamo ad esempio l’altro grosso terreno di scontro delle separazioni, le modalità di frequentazione con i figli: qualora due genitori separati decidano concordemente di invertire i periodi delle vacanze natalizie, estive o pasquali rispetto a quanto previsto in sentenza, nessun giudice, nemmeno di Cassazione, potrà imporre loro di ripristinare la turnazione stabilità. Né può un genitore prendere un accordo diverso dal dispositivo del giudice, applicarlo per anni e poi ripensarci denunciando l’altro ai sensi del 388 cp.
Ulteriore elemento di valutazione: l’oggetto del contendere non sono eventuali mensilità omesse, quindi il figlio ha effettivamente goduto di tutte le risorse a lui spettanti negli anni. La signora chiede 21.000 euro che poi – almeno in via teorica – non dovrebbe trattenere per sé ma destinare alle esigenze del figlio, il quale quindi si troverebbe a usufruire di una somma doppia rispetto a quella ritenuta congrua dal giudice di prime cure. Onestamente, sembra un trappolone. Magari non lo è, ma lo sembra proprio. Per dirla meglio, sembra un inganno organizzato al duplice fine di nuocere all’ex e ottenere un indebito arricchimento. Anche la tempistica va analizzata: qualora la signora non avesse ritenuto saggio e formativo per il figlio l’accordo raggiunto, avrebbe potuto tornare sui propri passi dopo uno o due mesi senza attendere anni. Qualche malpensante potrebbe credere che la gestione del denaro in autonomia fosse educativa per il ragazzo ma non conveniente per la madre. Lo stesso malpensante potrebbe ipotizzare che agire in giudizio dopo due mesi avrebbe comportato una somma modesta di euro da riscuotere, mentre è più conveniente attendere che la somma diventi più significativa tanto al ragazzo i suoi 300 al mese non sono mai mancati. Lascio queste insinuazioni ai malpensanti, mi limito a rilevare che i giudici, in questo caso di Cassazione, con qualcuno interpretano e con altri applicano. Stavolta si sono limitati ad applicare. E pure male.