Fingendo di non sapere ciò che era pur ovvio, abbiamo accettato la sfida lanciata da AG About Gender dell’Università di Genova inviando l’articolo della cui sorte ha dato rendicontazione questo portale il 12/4/2021. Una delle osservazioni motivanti il rifiuto allude al fatto che gli uomini di androsfera non sarebbero titolati a parlare di questa ancor piccola galassia in quanto ne sono parte costituente e integrante, ciò sulla base del principio secondo cui chi è oggetto dell’analisi non può esserne anche l’analista, l’osservato non può pretendere di essere al contempo osservatore di se stesso. Obiezione già rilevata al punto 6 delle nostre controdeduzioni. Si tratta, in sé, di una tesi ampiamente dibattuta in filosofia ed epistemologicamente fondata, ma che non ha la minima applicabilità al caso in questione per le seguenti banalissime ragioni.
È ben vero che non possiamo essere oggettivi e scientificamente imparziali di fronte a un fenomeno di cui siamo parte attiva, ma questo vale per tutti e quindi anche per i destinatari dell’articolo, tutti gli interlocutori effettivi e potenziali, i revisori, i redattori, i contributori delle riviste di Gender Studies, AG compresa, i membri dei rispettivi Comitati Scientifici, i componenti dei dipartimenti universitari e via elencando. Né qui né altrove, né oggi né domani possono esistere uomini e donne legittimati a pensarsi e dirsi parte terza in un confronto-conflitto tra i sessi, figuriamoci poi se possano farlo i professionisti degli “studi di genere”. Pretesa che ha del grottesco.
La narrazione femminista ingloba il racconto maschile la cui autonomia non è ammessa.
Non basta. La parzialità della prospettiva è rivendicata esplicitamente – come è nell’ordine delle cose – nella mission della rivista AG la quale «...accoglie contributi su qualsiasi argomento e provenienti da qualunque disciplina purché essi presentino una consapevole e articolata prospettiva di genere» …purché dunque adottino un’ottica che legga il mondo sociale in quanto sperimentato, compreso e vissuto da e in una prospettiva sessuata. Cioè parziale. Di più. I Gender Studies, le strutture che li promuovono, gli organi che li elaborano, le agenzie che li diffondono hanno la loro ragione d’essere (e la loro origine storica) precisamente nel conflitto promosso dal femminismo, sono i prodotti (e successivamente i co-produttori) di un racconto che è di parte necessariamente, costitutivamente. Meglio: programmaticamente ed esplicitamente. Senza quella parzialità non sarebbero mai nati e non avrebbero ragione di esistere.
Ciò posto, il cortocircuito di cui saremmo preda è un’accusa clamorosamente autocontraddittoria perché siamo nella stessa condizione dei nostri interlocutori e la si può e deve ritorcere contro di loro. Un boomerang. La presunzione di imparzialità di AG sarebbe risibile se non fosse tragica nelle sue conseguenze, perché nasce dalla convinzione – pur negata – di oggettività del punto di vista femminil-femminista, presupposto che è parte integrante di quel racconto unilaterale il quale non ammette, perché non può, alcun contraddittorio. La narrazione femminista ingloba il racconto maschile la cui autonomia non è ammessa.
Ma ora che ci siamo combattiamo.
Con la parte avversa il femminismo non può interloquire perché con ciò la accrediterebbe come legittima, fatto inconcepibile perché l’antifemminismo è immorale. La sola voce maschile ammessa è quella che rispetta la grammatica e rientra nei parametri stabiliti dal femminismo (la confessione, il pentimento), di qui l’emergere di psicologi edificanti, storici compiacenti, filosofi accondiscendenti. Li conosciamo. L’esistenza stessa del movimento maschile italiano, della sua attività e della sua produzione intellettuale deve essere ignorata e occultata. Se davvero costretti si possono citare spazi, figure, testi, atti dell’androsfera anglosassone (per dirne male, come in nota n. 4 della Call). Terra bruciata attorno a quella italiana. Queste sono le ragioni del rigetto. Le motivazioni formali sono ginnastica verbale, sofismi.
Quanto all’imparzialità, è noto che ogni ortodossia si considera, si definisce, si pensa sempre e ovunque come oggettiva. Essa, ed essa sola, è imparziale, capace di analisi fredde e scientificamente fondate. Legittimata a giudicare. Non ci siamo, signore e signori di AG, uomini e donne dell’Università di Genova, revisori, analisti “imparziali” di androsfera. Gettate la maschera della scientificità e ammettete candidamente ciò che è comunque trasparente: voi non state sulle tribune. No, e men che meno in campo col fischietto o alla VAR. Nel conflitto dei sessi non ci sono spettatori, arbitri, giudici, ruoli virtualmente adatti solo a una specie aliena e per giunta asessuata. Siamo tutti schierati e voi lo siete stati per primi. Noi portiamo la casacca dell’altra metà del mondo, trascinati in campo a viva forza, per uno scontro inaudito, lacerante, persino folle che non abbiamo mai voluto. Ma ora che ci siamo combattiamo, senza infingimenti, a viso aperto e apertamente schierati.