Per evitare rogne, si diventa conformisti, si preferisce cioè rinunciare ad avere un’opinione personale su cose e fatti, per omologarsi a modi di pensare e a comportamenti prevalenti. È il quieto vivere che salva dall’isolamento. Le ricerche sul fenomeno, che consiste nell’adesione acritica alle opinioni e ai comportamenti della maggioranza, sono state approfondite a partire dagli anni ’70 e hanno mostrato, in linea generale, che la tendenza è più sentita nella donna rispetto all’uomo. Secondo la “Teoria dei ruoli sociali” (Eagly, 1987) la donna tende maggiormente ad andare d’accordo con la collettività essendo legata al ruolo di madre e moglie. I problemi possono nascere se qualcuna, all’interno di un gruppo formato da donne, ha posizioni “autonome” che non coincidono con la narrazione maggioritaria. In questo caso scattano dei respingenti e la tagliola della discriminazione. Non c’è sorellanza che tenga: se sei diversa vieni respinta. Un rischio che si corre fin dalla tenera età ben raccontato dal cartone animato “Lillo e Stitch”: la storia di una bambina in essenza, la quale, a causa del suo carattere sincero e spontaneo, viene presa in giro dalle perfide amichette che odiano anche il suo fedele amico.
Gli studi dicono quindi che il conformismo è donna e la scuola è uno degli ambienti dove è più genuino. Il campo dell’Istruzione è il regno delle maestre, delle professoresse, delle direttrici didattiche, delle componenti del Consiglio d’Istituto: un governo in miniatura, composto da deputate e senatrici che approvano leggi, regolamenti e progetti, con le rappresentanti di classe a fungere da sottosegretarie incaricate di presentarli alle mammine per essere approvati. Oltre alla secondaria funzione istruttiva, lo scopo della scuola è addomesticare i bambini e le loro famiglie a riconoscere e rispettare il dominio femminile che regola la vita all’interno dell’istituto. Dal primo giorno i genitori, in particolar modo le madri, vengono cooptate nella scuola attraverso petulanti comunicati per giustificare le proteste, le astensioni, gli scioperi e le assemblee che verranno. Vengono poi persuasi a mettere i soldi per le attività extracurriculari con la scusa del taglio dei finanziamenti, informati (senza poter scegliere) sui progetti più disparati “destinati all’arricchimento dell’offerta formativa”. Non scade mai, infine, l’alibi della mancanza della carta igienica nei bagni della scuola che deve essere portata da casa insieme alle risme di carta per le fotocopie.
La scuola, coacervo di conformismo femminile.
La scuola non è più il posto dove si gettano le basi di matematica italiano e storia ma il luogo dove le Agende Onu trovano applicazione attraverso corsi di educazione al gender e sessuale che prendono il posto della Festa di Natale, di Pasqua, del papà, della mamma. Non esiste POF che non contenga «azioni mirate al miglioramento del pianeta e della popolazione e i 17 obiettivi, articolati in 169 traguardi da raggiungere entro il 2030». È vietato sindacare, a meno che non si voglia essere bannate dalla chat di classe, depennate dalla lista degli invitati alle festicciole di compleanno, avere i figli bullizzati e maltrattati dalle maestre. Nulla è cambiato dai tempi dell’Inquisizione: oggi, come allora, sono le nostre pari a mandare al rogo chi si pone criticamente. Cantava Giorgio Gaber: «Il conformista s’allena a scivolare dentro il mare della parte giusta». Non moralmente, giusta ma solo quella che conviene. E quando fai delle obiezioni su qualcosa deciso da chi, se fosse al comando renderebbe il mondo un posto migliore, non c’è storia, sei dalla parte sbagliata.
Nella “cultura” femminile esiste una legge naturale invisibile che contribuisce a modellare il modo in cui una donna interagisce con le altre donne. Si chiama “regola del potere tra pari”. Coniata da Pat Heim, prevede che a livello inconscio i rapporti femminili funzionino bene solo quando potere e autostima si mantengono pari: se una donna rompe l’equilibrio, ecco che le altre si sentono in diritto di ostracizzarla o sminuirla. Quando ho scoperto questa legge ho finalmente dato un senso all’isolamento vissuto, come madre, quando i miei figli frequentavano la scuola. Pensando di affrontare argomenti condivisi, mi ero messa a fare la sindacalista dei genitori e a chiedere ai vertici scolastici chiarezza sull’utilizzo, poco trasparente dei fondi che le famiglie/bancomat mettevano attraverso i “contributi volontari”. Le mie domande su come venivano spesi i soldi estorti, col ricatto della solidarietà, erano ingiustificate: le altre mamme erano certe che le maestre si inventavano corsi di ogni sorta per il bene dei nostri bambini e non per delegare a collaboratori terzi ore di lezione che sarebbero dovute essere usate per consolidare l’apprendimento. In occasione delle agitazioni chiedevo alle insegnanti quella vera collaborazione che consentiva alle madri lavoratrici di non sprecare giorni di ferie se il corpo docente non aderiva agli scioperi. In nome dell’alleanza scuola-famiglia, concetto tanto abusato quanto demagogico, ero convinta che il Patto di Corresponsabilità dovesse essere rispettato da studenti e genitori ma anche dalle docenti. Le mie richieste erano invece considerate un’insolenza imperdonabile: le mammine preferivano pagare le baby sitter, scoprendo che il giorno dello sciopero le insegnanti erano tutte presenti, piuttosto che far notare i comportamenti scorretti che danneggiavano tutti.
Il fallimento del laboratorio finlandese.
Sottraendosi al confronto (e non essendo allenate a reggere la tensione che ne scaturisce) la donna diventa alleata dell’ordine costituito, che le consente di sentirsi buona, di fare bene. E, non sopportando per natura la disapprovazione, cerca eternamente l’approvazione esterna. Quando una donna arriva in posizioni apicali, ad esempio nella politica, non apre fronti ma svolge quello che sa fare: la segretaria di chi il potere lo esercita veramente. Lo fa notare il comunista Marco Rizzo: «Cosa è cambiato da quando ci sono tre donne in Europa? Invece di mettere in discussione il cinismo delle grandi multinazionali, che vogliono assassinare la nostra civiltà, diventano le annunciatrici dei piani della tolda al comando», ha sostenuto in molte interviste il segretario. Analoga la posizione del giornalista Claudio Sabelli Fioretti. «Le donne raggiungono posti di potere quando vengono cooptate dagli uomini; vengono scelte in base alla loro capacità di essere fedeli (ai principi delle élite) e alla condivisione dei valori di chi comanda. Per conto dei loro capi, fanno le guerre, tassano i popoli, diventano violente, arroganti, presuntuose e sono permalose!». Sosteneva Assunta Almirante: «Oggi diamo l’impressione di essere presenti, ma se si scava a fondo non è così perché il difetto delle donne in realtà è che non indossano mai i pantaloni mentali. Vogliono sentirsi amate, coccolate, rendendosi quotidianamente suddite e non padrone». Per Vittorio Feltri: «Le donne in politica non riescono ad incidere perché non la amano».
Nella progressista Finlandia, guarda un po’, molte donne impegnate in politica hanno deciso di ritirarsi dopo le durissime critiche arrivate al governo guidato da Sanna Marin, la più giovane primo ministro del mondo con la sua squadra tutta rosa, al centro di una feroce campagna denigratoria. La notizia arriva da Politico che ha pubblicato i risultati di uno studio condotto dal Centro di eccellenza per le comunicazioni strategiche della Nato, rivelando come «gli obiettivi dell’esecutivo finlandese siano stati duramente contestati con messaggi altamente offensivi, di attacco ai loro valori e pesanti critiche alle loro capacità decisionali», ha spiegato il ricercatore Rolf Fredheim nel corso della presentazione sui risultati della ricerca. Uno stress che ha indotto molte “promesse” a ritirarsi proprio per non andar incontro a critiche. La scienza lo conferma. La salute mentale delle donne che hanno potere è più a rischio di cadere nella depressione per chi deve prendere importanti decisioni. Lo ha rilevato uno studio dell’Università del Texas, pubblicato sulla rivista Journal of Health and Social Behaviour. Per arrivare a queste conclusioni i ricercatori hanno studiato 2.800 tra uomini e donne. «Le donne con posti di lavoro autorevoli – ha detto Tetyana Pudrovska, autrice dello studio – hanno significativamente più sintomi di depressione rispetto alle donne senza questo potere. Al contrario, gli uomini che hanno autorità nei posti di lavoro hanno meno sintomi di depressione rispetto agli uomini senza questo potere». Lo studio si conclude sostenendo che le donne al potere vivono male la leadership perché incontrano vari pregiudizi di genere, concludendo che occorre impegnarsi per superare discriminazioni e ostilità senza fondamento. Vero, quando le donne al potere incarneranno virtù maschili come il senso della responsabilità, l’istinto di protezione, il coraggio di Leonida, l’integrità, la capacità di fare scelte anche impopolari, allora tutti si fideranno di loro.