Cosa sia accaduto tra il presidente turco Erdogan e Ursula Von Der Leyen, presidente della Commissione Europea, l’abbiamo spiegato in un articolo, venerdì scorso. Niente che abbia a che fare con il sessismo o l’odio per le donne, bensì semplice coerenza rigorosa al protocollo: i rappresentanti ufficiali, Charles Michel e il presidente turco, seduti a fianco sotto le rispettive bandiere, chi conta meno dal lato della rappresentanza internazionale seduto più lontano. Destino che la Von Der Leyen ha condiviso con il ministro degli esteri turco, come mostrato da una foto che gran parte dei media ha astutamente tagliato per non mostrare proprio quest’ultimo. Abbiamo spiegato quanta e quale sporcizia ideologica e politica ci fosse dietro tutto il casino sollevato sulla questione del divano e non ha senso dilungarsi oltre. L’unico approfondimento possibile riguarda la presa di posizione del nostro Presidente del Consiglio Mario Draghi: «con questi dittatori bisogna essere franchi, ma comunque è importante una cooperazione», ha detto l’eurocrate prestato agli interessi nazionali italiani. Una frase detta probabilmente senza riflettere sul fatto che Erdogan è stato democraticamente eletto, al contrario dello stesso Draghi, e che sparare così a freddo uno stigma da dittatore forse non è esattamente il massimo della diplomazia e dell’astuzia politica.
Non aveva molta scelta, in realtà, il nostro Draghi. Lui, come ogni altro capo del governo prima di lui, è tenuto sotto scacco da una potente lobby femminista, da un lato, pronta a scatenare un inferno, sebbene puramente mediatico, se non sta agli ordini. Dall’altro c’è la necessità di mostrarsi più europeisti che mai se si vuole avere speranza di agguantare il mega-debito del Recovery Fund, ed ecco allora che il primo inquilino di Palazzo Chigi veste l’armatura da cavaliere, inforca un bianco destriero e va lancia in resta contro il Saladino per difendere la pulzella nordica così orribilmente offesa. Sebbene, come detto, non ci sia stata offesa alcuna. Risultato immediato: l’ambasciatore italiano viene convocato dal governo turco e riceve un liscebusso con tutti i crismi. La Turchia vuole scuse ufficiali. L’Italia ritiene invece di poter sistemare tutto per la silente via diplomatica, ma si sbaglia di grosso. La prova? Ankara ha già sospeso alcuni importanti contratti commerciali con l’Italia. Roba che complessivamente vale 10 miliardi all’anno, come informa il sito money.it. Niente ancora di ufficiale, più che altro pressioni e inciampi messi a commesse di grande rilievo riguardanti la Leonardo (operazione da 150 milioni di euro) e la Ansaldo Energia, più molte altre società meno note ma non meno importanti che rischiano di finire col sedere per terra grazie all’alzata d’ingegno di Draghi.
I danni dei cavalieri bianchi al governo.
Che Ankara stia facendo sul serio è segnalato chiaramente anche dalle prese di posizione pubbliche di alcuni ministri di Erdogan: «non accettiamo lezioni di democrazia da chi ha inventato il fascismo», ha tuonato Mustafa Varank, Ministro turco dell’industria. Che poi ha rincarato dicendo che il nostro paese «lascia morire i richiedenti asilo». Insomma un attacco a tutto campo sui punti più deboli, storici e attuali, del nostro paese. Mancava solo che denunciassero come l’Italia sia in mano alla mafia femminista, magari citando i 30 milioni di euro regalati ai centri antiviolenza nel bel mezzo della pandemia, giusto un anno fa, mentre era in corso un lockdown durissimo, e avrebbero fatto filotto. Ora tutto sta a capire se riusciranno a costringere Draghi a fare pubbliche scuse, nel qual caso dovremmo assistere a uno spettacolo tristissimo e paradossale, dove una (specie di) democrazia dovrà genuflettersi di fronte a un(a specie di) califfato sotto molti aspetti spietato, di fatto per essersi messa a difendere l’indifendibile per puro servilismo europeista e femminista. L’unico lato positivo è che il tutto sarà una lezione d’oro per cicisbei, cavalieri bianchi e uomini amici delle femministe: questo è ciò che accade a mettersi al servizio di quell’ideologia. Si finisce per difendere la mistificazione e l’indifendibile, con il risultato di fare figure da cioccolatai e mettere nei guai un sacco di altra gente. Dia retta, Presidente Draghi, ci pensi su due volte alla prossima occasione, dopo di che decida di essere uomo e non un paladino prono ai capricci femministi.
Sia chiaro: sappiamo anche noi che il governo di Erdogan non è il più limpido del mondo quanto a rispetto delle libertà e dei diritti umani e ci guardiamo bene dal fare un suo endorsement da queste pagine. Tuttavia, come anche Mussolini di tanto in tanto ha fatto costruire un ponte, una scuola o un ospedale, e occorre riconoscerglielo, senza che ciò neghi l’orrore ideologico e storico che ha rappresentato, così anche noi riconosciamo a Erdogan lo straordinario merito di aver minato alle basi uno dei trattati internazionali più assurdi e discriminatori ad oggi in vigore: la Convenzione di Istanbul. Su quest’unico tema non possiamo non applaudirlo, così come applaudiamo la Polonia che ha preso la stessa scelta o l’Ungheria che ha respinto la ratifica della Convenzione. In entrambi i casi si tratta di democrazie europee, che ad alcuni non piacciono, ma ciò non toglie loro il carattere libero e democratico. In ogni caso, al di fuori della singola e sacrosanta iniziativa sulla Convenzione di Istanbul, siamo ben consci di cosa la Turchia di Erdogan abbia fatto e faccia dentro e fuori dai suoi confini e non ci sottraiamo al dovere di sperare che quel paese così importante torni presto ai fasti di quel laicismo moderno pianificato con tanto impegno dal suo fondatore. Resta vero che prima di salire sul pulpito anche noi come paese dovremmo farci un esamino di coscienza e soprattutto evitare di bruciarci il business estero per una signora che in realtà non è stata lasciata in piedi, ma anzi è stata doverosamente fatta sedere su un comodo divano, là dove l’etichetta diplomatica le imponeva di stare.