Vi ricordate l’allarmistica campagna mediatica che a gennaio ha martellato siti web e giornali? La pandemia la pagano solo le donne, su 101.000 occupati in meno a dicembre 99.000 sono donne. Da Repubblica il grido di allarme ha avuto vasta eco grazie alle reti studentesche, alle pagine femministe, ad varie altre testate. Citavano un sondaggio Istat relativo agli andamenti di un singolo mese (dicembre 2020). La “Nota metodologica” allegata sottolineava: a) che il campione teorico mensile è pari a 22.010 famiglie per i mesi composti da 4 settimane e 27.513 famiglie per i mesi composti da 5 settimane; b) «L’emergenza sanitaria ha ridotto lo svolgimento delle interviste… Il numero di famiglie intervistate per la produzione delle stime di dicembre è di circa il 10% inferiore al numero di interviste mediamente utilizzate»; c) «l’errore statistico sui dati stimati per l’occupazione totale è di 0,38%», ciò a fronte di una variazione risultante dello 0,4%. Una panzana statistica che viene recuperata in questi giorni anche a Bologna, con l’affissione di manifesti secondo cui «nel 2020 il 98% di chi ha perso lavoro è donna».
Oltre a “La Fionda”, che già da tempo ha sottolineato il peso delle donne “inattive”, solo pochi osservatori – tra cui chi scrive – fecero timidamente notare che trattandosi dei dati relativi a un singolo mese, da un campione ristretto per motivi contingenti, interrogato per via telefonica, occorreva cautela prima di proiettare i risultati sull’intero anno e sull’intera popolazione, come se si trattasse della conferma di un trend ancestrale di oppressione delle donne. Sarebbe bastato valutare l’andamento del 2019 e dei mesi precedenti del 2020, per farsi già un quadro molto differente. Infatti, nel 2019 i report trimestrali dell’Istat rilevavano che l’occupazione stimata in Italia fosse cresciuta con un netto sbilanciamento in favore dell’occupazione femminile, per rimanere stabile nell’ultimo trimestre. Per quanto riguarda il 2020, lo stesso report notava che: «Nonostante il calo di dicembre, il livello dell’occupazione nel trimestre ottobre-dicembre 2020 è superiore dello 0,2% a quello del trimestre precedente (luglio-settembre 2020), con un aumento di 53 mila unità». Si può allora obiettare che l’allarme riguardasse unicamente l’impatto della pandemia sull’occupazione. Ma per le ragioni suddette, sarebbe stato più corretto fare questa analisi alla luce dei dati completi relativi al 2020 nella sua totalità. A onor del vero qualcuno si prese la briga di estrarre dai dati di dicembre, non la variazione rispetto al mese precedente, ma la variazione rispetto al dicembre 2019, trovando comunque un calo, in termini assoluti, sfavorevole per l’occupazione femminile, sebbene non del 99% del totale stimato (“solo” del 78%). Comunque, 99% o 78%, la litania era sempre la stessa.
«I nuovi conteggi ISTAT annullano il gap di genere».
Ad esempio la rete studenti: «La pandemia ha messo in evidenza quanto il mercato del lavoro italiano sia ostile nei confronti della popolazione femminile… È evidente come il problema socio-culturale sia preesistente alla crisi sanitaria». Oppure un sito di notizie al femminile: «La realtà ci mette di fronte a un dato chiaro e, purtroppo, assai prevedibile: la crisi economica e sociale generata dalla pandemia da Covid-19 la stanno pagando soprattutto le donne». E continuava ovviamente battendo cassa, promuovendo una campagna di investimenti per incentivare l’occupazione delle donne. Tutto ciò in barba allo stesso report Istat che dava una spiegazione molto più realistica – la quale però aveva il grande difetto di divergere dall’oppressione sistemica del genere femminile: «Gli andamenti peggiori si riscontrano nel settore degli alberghi e ristorazione e nei servizi domestici (a prevalenza femminile)». Finalmente, il 12 marzo e il 6 aprile scorsi sono usciti i report Istat completi sul 2020: quello che misura la variazione sul 4° trimestre ’19/’20, e quello che misura la variazione dal febbraio ’20 al febbraio ’21. L’ultimo è inoltre aggiornato retroattivamente su direttive che ora impongono l’inclusione dei cassintegrati da più di 3 mesi tra i non occupati. Cosa dicono i dati completi sull’impatto della pandemia sul mercato del lavoro?
Il confronto sul IV° trimestre vede l’occupazione calata dell’1% per gli uomini e dello 0,7% per le donne, e del 2,3% per i giovani (15-34 anni); mentre rispetto al febbraio 2020, vediamo una flessione del 2,5% per gli uomini e dell’1,8% per le donne, tra 2,7% e 3% per i giovani. Avete sentito Repubblica, le reti studenti, le pagine femministe “che si battono per l’uguaglianza”, le altre testate, i media, far partire campagne mediatiche e gridare all’emergenza e allo scandalo? No, nessun allarmismo anzi mutismo completo, sebbene ci sia da preoccuparsi e si registri un tracollo soprattutto nell’occupazione giovanile, che sono la categoria più debole e più strategica per il futuro del nostro paese. Stupisce a fronte di questo dato perfino il silenzio delle reti studentesche, che dovrebbero essere più sensibili a tale tracollo, piuttosto che a un dato in negativo per l’occupazione femminile – o almeno altrettanto! Quanto a Repubblica, il 6 aprile se ne usciva condannando le proteste dei lavoratori e il “rischio della radicalizzazione” della tensione, e con Vittoria Puccini che si lamenta degli uomini che le fischiavano per strada gridando alla molestia. La stessa Repubblica ci regala però un piccolo capolavoro a stampa, il 7 aprile scorso, rimangiandosi la figuraccia in un sottotitolo. Il titolo è infatti dedicato agli ‘scoraggiati’, coloro che non solo non lavorano ma non cercano un lavoro. Ma il sottotitolo, in fondo, recita: «I nuovi conteggi ISTAT annullano il gap di genere: uomini e donne colpiti alla pari dalla crisi».
Scusateci se esistiamo.
Dice l’articolo: «È giusto non considerare occupati i lavoratori… cassintegrati da oltre tre mesi? In teoria sì… ma se la modifica metodologica, accolta da Istat, ha un suo senso… la pandemia sporca la lettura dei dati e sarebbe sbagliato prenderli troppo alla lettera.» Ma quando c’erano dati sballati sul lavoro femminile era giusto prendere alla lettera e gridare al patriarcato? E in quel caso i dati “sporcati” dalla pandemia andavano benissimo, vero? «Nulla è cambiato rispetto a quanto diciamo da mesi: la crisi si è scaricata soprattutto sui lavoratori deboli e precari, a partire da donne e giovani.» Se per i giovani questo, come si è visto, è verissimo, per le donne, dati alla mano, no – ma viene subito rassicurato il femminismo vittimista: le vittime sono contate sempre e comunque a partire dalle donne. «Si assiste al “controsorpasso” in negativo degli uomini sulle donne: il tasso di occupazione maschile cala più di quello femminile.» Ma nel sottotitolo non avevate scritto «uomini e donne colpiti alla pari»? Inoltre come abbiamo mostrato, non si tratta affatto di un controsorpasso e neanche la “colpa” è delle nuove direttive, infatti il report di marzo dà dati coerenti con quello di aprile in cui esse sono integrate. «I settori coperti dalla CIG nell’ultimo anno sono a prevalenza di occupati uomini. Includerli tra gli inattivi fa sballare le statistiche.» Che dire, scusateci se noi uomini esistiamo e se perdendo in massa il lavoro vi facciamo sballare le statistiche rispetto al vostro desiderio di bollare le donne sempre e comunque quali vittime numero uno di qualsiasi cosa.