Il catcalling sembra essere la nuova frontiera del vittimismo gender oriented, in molti si precipitano a demonizzarlo. Il mantra “allarme femminicidio” comincia a scricchiolare, non crede più nessuno alla bufala che le famiglie italiane gronderebbero sangue e diventa sempre più difficile sostenere la menzogna di un femminicidio ogni due giorni senza essere sbugiardati tramite verifiche accurate. L’allarme mediatico pilotato dalla politica ha raggiunto i minimi storici, la Commissione Femminicidio non esterna più a raffica e continua a non pubblicare un elenco ufficiale dei cosiddetti femminicidi. Nascono osservatori blasonati che utilizzano periodi diversi di rilevazione per i femminicidi o presunti tali, ma inseriscono sistematicamente casi che con l’oppressione di genere non hanno nulla a che fare e vengono dettagliatamente sbugiardati. Allora c’è bisogno di nuovi allarmi, nuove angosce, nuove emergenze sociali dalle quali far nascere altre norme liberticide.
“Ci vuole un nuova legge per sanzionare il catcalling”, tuonano da più parti. La strategia è collaudata: basta la percezione. L’eventuale configurazione del reato viene trascinata dall’oggettività alla soggettività, e non c’è nulla di più soggettivo della personalissima sensazione di un individuo. Prova ne sia che alcune donne sono infastidite dal complimento di uno sconosciuto, alcune rimangono indifferenti, altre ne sono addirittura lusingate, altre ancora si rammaricano di non essere oggetto di attenzioni. La realtà incontestabile è che da sensibilità diverse nascano sensazioni, aspettative e reazioni diverse, impossibile omologare tutto al diktat vittimista. Però è esattamente ciò che accade: il catcalling deve diventare la nuova emergenza sociale e c’è urgente bisogno di una legge ad hoc, ragione per cui quelli che per secoli sono stati semplici complimenti, a volte anche sgradevoli e maleducati, vengono dipinti come terribili molestie a sfondo sessuale, quindi reati.
I comportamenti molesti vengono già sanzionati.
Inoltre il catcalling identifica prevalentemente i suoni rivolti ad una ragazza per richiamare la sua attenzione; un colpo di clacson, un fischio, il classico pssssst. Chi proprio vuole esagerare butta lì una frasetta scelta nel festival delle banalità: “mamma mia che occhi, sembri un’attrice, ho visto una stella, prima di incontrarti non credevo nelle fate, sei stupenda, complimenti a tua mamma, sei da finale di Miss Italia, ma sei vera?”, e robetta simile tratta dal repertorio del pappagallo D.O.C. Non è vero che si tratti di insopportabili molestie a sfondo sessuale, “ciao bella” non è “ti sbatterei al muro” o “hai un culo favoloso”, però insinuare che tutto sia immancabilmente inquinato da allusioni sessuali è utile alla costruzione di una emergenza fasulla. Conviene quindi insinuare che sguardi, complimenti e fischi di ammirazione abbiano sempre un significato propedeutico allo stupro.
Molti si limitano a sottintenderlo ma c’è anche chi lo scrive espressamente: “il catcalling può sfociare in vere e proprie condotte criminose quali lo stalking, l’aggressione e lo stupro”. Capito? “hai due occhi stupendi” magari viene detto dal pappagallo anche a chi stupendi non li ha, ma serve a strappare un sorriso, a farsi notare, magari a conoscere la ragazza omaggiata, mentre dalla povera vittima dovrebbe essere percepito come “oddio, ecco un altro che vuole violentarmi”. Perché allora dovrebbe nascere una norma che sanzioni ‘sto benedetto gattchiaming? “In Italia questo fenomeno non è ancora considerato un reato. Non esiste, infatti, una norma di legge che punisce questo tipo di condotta”. Un articolo farcito di inesattezze Non è vero, la norma esiste. Quella che non esiste nel nostro ordinamento è la denominazione anglofona oggi tanto di moda. I comportamenti molesti vengono sanzionati come previsto all’art. 660 del Codice Penale, che infatti recita “Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a euro 516”.
La menzogna è sempre la strategia prevalente.
L’articolo sanziona le molestie o disturbo alle persone, non c’è scritto espressamente catcalling ma è la stessa cosa che lamentarsi perché l’art. 612 bis cp non sanzionerebbe lo stalking ma solo gli atti persecutori. Come molestie o disturbo sono sanzionati fischi, complimenti goffi o volgari, allusioni e doppi sensi, apprezzamenti o critiche sull’aspetto fisico, anche la sola maleducazione può trasformarsi in molestia. Briciole di dottrina giuridica: la norma che parla di “petulanza” comprende arroganza, sfacciataggine e indiscrezione; la dicitura “altro biasimevole motivo” indica ogni altro movente riprovevole che rechi fastidio, disturbo, imbarazzo. È compresa ogni sfumatura di molestia, dal fischio cafone al sorriso ammiccante senza emettere un fiato, dall’offerta di un fiore fino al complimento più esplicitamente volgare. Nonostante tutto, c’è chi sostiene che “tradizionalmente, si ritiene che questo crimine intenda punire il turbamento alla pubblica tranquillità e non la dignità della persona offesa molestata”. Neanche questo é vero. “Tradizionalmente” fa sorridere, in Diritto la tradizione si chiama prassi giurisprudenziale, orientata dalla giurisprudenza di merito e di legittimità.
Le chicche non sono finite: “in sostanza il reato di molestia o disturbo alle persone si integrerebbe soltanto quando la condotta del responsabile sia idonea non tanto a ledere la dignità della vittima, quanto a turbare l’ordine pubblico”. Ancora una volta: non è vero! Bisogna stravolgere la realtà pur di sostenere che la norma attuale non è sufficiente, ci vuole proprio la fattispecie autonoma di reato gattchiaming. Il disturbo della collettività o “turbamento alla pubblica tranquillità” è sanzionato dall’articolo precedente, il 659 cp, la molestia invece (660 cp) riguarda il/la diretto interessato/a; chiunque reca a taluno molestia o disturbo. Taluno che quindi deve avere un nome ed un cognome, non deve sentirsi molestata l’intera collettività. Il fatto che il reato sia procedibile d’ufficio e non solo a querela di parte sta a tutelare la vittima, che potrebbe non essere in condizione di denunciare per timore o altro; tuttavia l’eventuale querelante terzo non diviene parte lesa, che è e resta esclusivamente la persona vittima di molestie. Affermare che il reato di molestie “si integrerebbe soltanto quando la condotta del responsabile sia idonea non tanto a ledere la dignità della vittima, quanto a turbare l’ordine pubblico” è indice di malafede o di scarsa competenza giuridica, tertium non datur. Ma, ripetiamolo ancora una volta, quando l’emergenza non esiste bisogna costruirla a tavolino, e la menzogna è sempre la strategia prevalente.