Recep Tayyp Erdogan non è uno stinco di santo, si sa. In Turchia ci sono problemi non da poco con la democrazia e le libertà personali, senza contare una deriva confessionale che anno dopo anno cancella la modernizzazione laicista voluta dal fondatore e padre della patria Mustafà Kemal Atatürk. Però il “Califfo”, come viene chiamato dai detrattori, due pregi assoluti li ha e bisogna riconoscerglieli. Il primo è che è stato eletto direttamente dalla maggioranza del popolo di Turchia con regolari elezioni. Dunque, accettando il principio democratico, egli sta dove sta a pieno diritto. Il secondo è che sta sottraendo il suo paese dalla tenaglia oltranzista, ben più pericolosa di quella fondamentalista islamica, del femminismo internazionale, con la sua recente decisione di far uscire la Turchia dalla Convenzione di Istanbul. Quest’ultima disposizione ha fatto sì che il presidente turco diventasse per tutto il mondo, oltre che un brutale dittatore (a dispetto della sua regolare elezione), anche uno schifoso misogino dedito al sessismo più bieco e sciovinista. Di recente ha dichiarato che per lui le donne sono «soprattutto madri». Orrore! Quella parola lì è la più esecrata dalle femministe. Avesse detto «per me le donne sono tutte zoccole» se la sarebbero presa di meno.
Presso questo personaggio già ampiamente sotto il mirino del politicamente corretto in salsa rosa si sono recati in visita diplomatica alcune istituzioni europee: il Consiglio Europeo, rappresentato dal suo presidente Charles Michel, e la Commissione Europea, rappresentata da Ursula Von Der Leyen. Giunti nella stanza dell’incontro, Erdogan ha fatto accomodare Michel accanto a lui, davanti alla bandiera dell’UE, lasciando la Von Der Leyen interdetta, in piedi nella stanza, per poi invitarla ad accomodarsi sul divano poco discosto, di fronte a un secondo divano dove è stato fatto accomodare il ministro degli esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu. Da lì lo scandalo: Erdogan sessista e misogino! Ha fatto sedere lontano la Ursula inquantodonna! Incidente diplomatico! Dichiarazione di guerra! Non stiamo scherzando: a leggere le reazioni di alcune politicanti nostrane, di destra e di sinistra, i toni sono questi e viene da sbellicarsi. Draghi definisce Erdogan un “dittatore necessario”, ottenendo la convocazione dell’Ambasciatore italiano ad Ankara. Addirittura Valeria Valente, presidente dell’inutile Commissione sul femminicidio, posta un commento quasi minaccioso nei confronti del presidente turco: «Erdogan va rimesso al suo posto», tuona, davanti a una foto della Von Der Leyen dallo sguardo intenso. E noi pensiamo a che bello sarebbe lasciare la Valente per dieci minuti a colloquio con Erdogan per vedere come ne esce. Lì sì che qualcuno verrebbe finalmente rimesso al proprio posto.
Il femminismo è la iattura del mondo civile.
La verità, a fronte di tutta l’indignazione espressa, è che come al solito si tratta di una gigantesca fake news derivata in parte da una manina politica interessata ad attaccare il presidente turco da posizioni femministe, in parte da una profonda ignoranza delle regole comunitarie e dei protocolli internazionali. Banalmente: il protocollo delle istituzioni europee nonché i suoi trattati fondativi danno potere di rappresentanza estera dell’Unione al presidente del Consiglio Europeo e non al presidente della Commissione. Che, per altro, non è eletto da nessuno (al contrario di Erdogan). Di fatto, normative alla mano, in quel contesto (un incontro diplomatico bilaterale), la Von Der Leyen era un di più, un soggetto accompagnatore pressoché privo di titolarità a sedere alla pari con il presidente turco. Se al suo posto ci fosse stato un uomo, sarebbe stato messo a sedere ugualmente sul divano, come infatti è accaduto per il ministro degli esteri turco, meno importante del presidente. Dice: in altre occasioni la Von Der Leyen è stata fatta sedere alla pari con i capi di Stato: bene, ogni leader ha la facoltà di seguire o meno il protocollo legale ed è preoccupante che ci siano in giro capi di Stato che aggirano le regole dando dignità e accesso agli incontri di vertice a chi non ne ha titolarità. Dice ancora: in altre occasioni, ad esempio nei G20, Erdogan non si è fatto problemi a sedere accanto al presidente della Commissione, quando era un uomo (Jean-Claude Junker). Balle: il G20 è un consesso multilaterale, dove le autorità dei vari paesi si incontrano a vario titolo e dove a malapena il paese ospitante ha una minima rilevanza rispetto agli altri. Ad Ankara è avvenuta una cosa diversa: un incontro bilaterale di politica estera, che ha le sue regole e i suoi protocolli. Non a caso quando si è usciti dal contesto protocollare, Erdogan non ha avuto problemi a farsi fotografare avendo al fianco paritariamente sia Michel che la Von Der Leyen.
Il problema sta proprio lì, nelle regole. La polemica suscitata dalla segregazione logistica della Von Der Leyen è un imbarazzante esempio della refrattarietà alle regole da parte del grande stream di malpensiero femminista. Il fatto di essere donna, questo è il messaggio sottinteso, dovrebbe indurre tutti a superare le sciocche e antipatiche regole dei protocolli internazionali e le prassi della diplomazia. Essere donna va über alles. L’appartenenza al genere femminile solleva da ogni vincolo e apre le porte ad ogni indebito privilegio. In questo senso bene ha fatto Erdogan a rimettere al proprio posto quest’arroganza dilagante che opera e predica in spregio ad ogni regola: il presidente della Commissione Europea, oltre a non rappresentare nessuno (non essendo stato eletto), non ha poteri di rappresentanza diplomatica. Dunque è già tanto che sia stato fatto entrare nella stanza: le femministe tossiche dovrebbero baciare dove Erdogan passa per questo, altro che «rimetterlo al suo posto». Insomma un plauso al presidente turco dovrebbe andare a tutti coloro che riconoscono la forza e la legittimità delle regole, di ogni regola, che ad ogni livello le comunità sociali o politiche si danno, in opposizione alla dirompente forza sovversiva dell’ideologia femminista. Ed è cosa tanto evidente che, non potendo prendersela ragionevolmente col presidente turco, ora si sta massacrando il povero Charles Michel che non si è alzato per lasciare il posto alla Von Der Leyen… Così funziona la dottrina femminista, che per di più usa i propri argomenti da quattro soldi per scopi biecamente politici (criticare aspramente chi sta usando la Convenzione di Istanbul per quella che è: carta straccia). La vicenda di Ankara mostra insomma una volta di più che iattura sia per tutto il mondo civilizzato il dilagare del femminismo. Con una punta di vergogna anche per i tanti media mainstream che si sono accodati allo sdegno telecomandato, salvo qualcuno che poi, trattati e protocolli internazionali alla mano, ha dovuto rimangiarsi l’indignazione, con marce indietro ancora più penose della figuraccia iniziale.