A Brescia un uomo accusato di violenza sessuale viene assolto e i suoi due avvocati, due donne, vengono travolti dagli insulti in rete. L’odio antimaschile domina incontrastato, il popolo della rete indossa la toga e in un attimo sbriga la pratica dei tre gradi di giudizio: i magistrati da tastiera hanno deciso, l’indagato è colpevole e deve marcire in galera quindi la sentenza di assoluzione è uno scandalo. Doppio scandalo anzi, perché l’assoluzione è stata ottenuta grazie al patrocinio di due avvocati donna (o avvocate, o avvocatesse … col delirio politically correct è ormai difficile capire quale sia la dicitura che il femminismo totalitario vorrebbe imporre). Abbiamo archiviato il 24 marzo un articolo che riferiva una doppia assoluzione: in Valtrompia una ragazza denuncia il padre ed il fratello, uno per maltrattamenti in famiglia e l’altro per violenza sessuale; assolti entrambi con formula piena perché i fatti non sussistono, il tribunale di Brescia in tre anni non è riuscito a trovare alcun riscontro alla narrazione della presunta vittima che – precisa l’articolo – si è fatta aiutare dal centro antiviolenza Casa delle Donne. Ah, ecco. Ma agli indignatissimi forcaioli women friendly non piace che i processi si facciano in tribunale con le fastidiose perdite di tempo di diverse udienze, escussione testi, acquisizione di referti e relazioni, deposito degli atti, dibattimento. La ragazza ha denunciato quindi il processo a che serve? In galera, punto.
Anzi, la galera è poco, i commenti che riferisce ilgiornaledibrescia.it sono più cruenti e spaziano dall’evirazione alla pena di morte: “vergogna”, “schifo” , “vomito” e “scandalo” ricorrono spesso, ma i giudici non sono gli unici bersagli dell’indignazione populista: gli avvocati donna/avvocatesse/avvocate hanno la colpa di aver assunto la difesa di un uomo quindi non devono essere risparmiate dalle bordate d’odio. «Non una, ma due donne che lo hanno difeso. Vergognoso», una forse era sopportabile, ma due… «Se la faccenda fosse vera mi chiedo come possono due donne difendere una persona del genere». Ma la faccenda non è vera, questo ha accertato il tribunale. Un dettaglio fondamentale: la formula dell’assoluzione è piena (art. 530 primo comma) e non dubitativa (530 secondo comma), quindi non arriva per insufficienza di prove ma proprio perché il fatto non sussiste. In giuridichese: non è mai esistito, non ha consistenza né validità. «Ma questi avvocati non si vergognano a difendere un delinquente simile? Lo schifo assurdo che per i soldi non si guarda in faccia nessuno, eppure sono donne ma nessuna solidarietà». Esiste un diritto alla difesa costituzionalmente garantito a chiunque, anche i boss di Cosa Nostra che accumulano decine di ergastoli per aver sciolto bambini nell’acido, commesso decine di omicidi e commissionato stragi che rimarranno nella storia d’Italia hanno diritto al proprio legale. E non hanno certo avvocati d’ufficio perché i penalisti di grido ne rifiutano il mandato.
La colpevolezza è di genere.
Tralasciando l’ignoranza dei più elementari meccanismi giudiziari diffusa tra gli haters professionisti, deve far riflettere la logica puerile alla base dei loro proclami: non c’è solidarietà. L’accusato è “un delinquente simile” nonostante il tribunale abbia accertato che non ha commesso i reati ascrittigli. È un uomo quindi deve essere un delinquente. Di contro una donna non può essere un serio avvocato, deve anteporre la solidarietà femminile alla propria professionalità; ci sarebbero anche gli elementi di prova per dimostrare l’infondatezza delle accuse e l’innocenza dell’accusato, ma inquantouomo non deve essere difeso. Soprattutto non deve essere difeso da avvocati donne/avvocate/avvocatesse che, proprio in nome della sorellanza inquantodonne, dovrebbero dimostrare solidarietà per la vittima femminile anche se dal processo emerge che non era affatto vittima. Il presunto stupratore, se proprio voleva dimostrare che stupratore non era, avrebbe dovuto scegliersi un avvocato col cromosoma Y. Quindi un bastardo della sua stessa razza, senza sporcare la nobile superiorità della stirpe rosa. Scegliendo invece due donne ha oltraggiato l’intero genere femminile, stupro non solo della sorella ma violenza ideologica verso tutte le donne del mondo, avvocate e non.
Ancora: «davvero mi delude profondamente il comportamento legale ma prima ancora disumano e antifemminile dei due avvocati donna». Già, è disumano assistere un uomo ed esercitare il diritto di difesa Forse è limitativo definire “puerile” la logica che inquina il pensiero di odiatori e odiatrici seriali. Si tratta in realtà di razzismo, odio sessista, ideologia tossica della peggiore specie. E ancora: «per me l’unica soluzione è di ammazzarli immediatamente perché non c’è una giustizia certa per tutte le donne violentate, maltrattate e ammazzate» Ecco, irrompe la giustizia compensativa che si manifesta come prevaricazione di genere, ed il genere prevaricato è quello maschile. La sentenza che riguarda “quella donna” deve rappresentare una sorta di risarcimento per “tutte le donne” che vengono violentate, maltrattate, uccise. Quindi l’accusato ha una “colpa di genere” da espiare, deve essere ammazzato immediatamente prima ancora del processo perché altrimenti potrebbe – pensa un po’ – risultare addirittura innocente. Ma un uomo innocente non lo è mai, neanche se vi sono le prove che non ha commesso i reati dei quali è accusato. La colpevolezza è di genere, la donna è geneticamente programmata per essere vittima e l’uomo carnefice quindi deve pagare per tutte le donne violentate, maltrattate e ammazzate.
Un odio nato da un preciso brodo di coltura.
L’ideologia tossica di questi raffinati giuristi è la stessa che spinge migliaia di commentatrici – ma anche qualche commentatore – a gioire quando una donna maltratta, accoltella, sfregia o uccide un uomo. Sotto le notizie fioccano i commenti di solidarietà all’accoltellatrice all’insegna di batti il cinque, brava, ha fatto bene, avrà avuto i suoi motivi, era ora, sei tutte noi, uno di meno, e robetta simile. L’ideologia tossica non si limita a gioire quando viene ucciso un uomo, è la stessa molla che fa scattare il doppio standard quando c’è da esprimersi su un infanticidio: povera donna che nessuno ha saputo capire quando l’assassina è una madre, ignobile criminale sanguinario quando è il padre. Oppure plauso per le pene miti a donne assassine ma incapaci di intendere e volere, indignazione a pioggia quando è un assassino a beneficiare degli sconti di pena previsti per chi soffre di disturbi psichiatrici. La teoria discriminatoria antimaschile sfodera sempre la stessa asimmetria valutativa in base al genere di chi delinque: guanto di velluto per la donna, pugno di ferro per l’uomo.
Il rabbioso sessismo online non nasce dal nulla, è il prodotto di un condizionamento in atto da anni, i cui picchi sono appannaggio di alcune parlamentari molto mediatiche. Veronica Giannone, ad esempio (eletta col M5S, poi cacciata dal partito e passata al gruppo misto, quindi confluita in Forza Italia) utilizza i social per le sue invettive: maledice platealmente le leggi esistenti invece di adoperarsi in Parlamento per cambiarle. Non è l’unica, la Senatrice Cinzia Leone ha esternato alla stampa la propria indignazione per l’ “ennesimo femminicidio”, salvo poi emergere una verità diversa: la mandante dell’omicidio era la nipote della donna uccisa. L’intera Commissione Femminicidio appoggia i comitati di donne vittime di violenza istituzionale, ma non ha mai fornito una definizione di cosa sia il femminicidio, né un elenco delle vittime. Anche così si viene a creare il brodo di coltura nel quale proliferano le asimmetrie valutative, la discriminazione sessista e i pregiudizi antimaschili che poi sfociano nella deriva forcaiola. È un uomo, non doveva essere assolto, ma soprattutto non dovevano assisterlo due donne.