Francesco Piccolo (nomen omen, come vedremo) viene ospitato qualche giorno fa su Repubblica con un articolo che segna forse un punto di svolta nel confronto-scontro tra una visione normale della realtà e la visione deformata dall’ideologia femminista. «Date ai maschi il giusto processo», è il titolo del pezzo, concepito da un autore che già in passato, con i suoi romanzi, si è distinto per l’inclinazione a sostenere la solita originalissima visione criminalizzante della sfera maschile. Nonostante la qualifica di scrittore, tuttavia, Piccolo produce un articolo pessimamente scritto, con diversi errori concettuali che già denotano la sua forma (de)mentis. Il più evidente è l’utilizzo della parola “maschio”, anche nell’autodefinirsi, in luogo di “uomo”. Non è casuale: Piccolo riduce così la complessità e la profondità dell’androsfera a un fatto meramente animale, secondo uno schema che già ha adottato nel suo romanzo antimaschile più noto, intitolato “L’animale che mi porto dentro”. Se dunque da un punto è doveroso iniziare nell’analizzare il suo articolo, è proprio questo: noi non siamo maschi, siamo uomini. Se poi Piccolo vuole chiamarsi fuori dalla categoria, non lo tratterremo di certo.
Un secondo grave errore che fa l’autore è quello di ergersi a portavoce di tutti. «Noi maschi dobbiamo prenderci la responsabilità collettiva», dice al termine del suo articolo. Come detto, qui ci sono uomini, non maschi, che se proprio necessitano di un portavoce, non si affidano certo a Francesco Piccolo. Tanto meno, entrando nel merito dell’articolo, per prestarsi a ficcarsi in una trappola che lo scrittore concepisce in modo abbastanza astuto e viscido. I punti di snodo del suo ragionamento sono tre: 1) è vero che c’è una minoranza di maschi arretrati (Piccolo, mostrando di non avere idea di ciò che dice, li chiama “maschi alfa”) che si comporta in modo scorretto nei confronti delle donne; 2) le femministe hanno ragione su tutta la linea; 3) per evitare che quel loro aver ragione le spinga a tracimare oltre il consentito, arrivando a provocare danni sotto il profilo dei diritti, tutti i maschi devono accettare di sedere al banco degli imputati. Da quella posizione devono assumersi la responsabilità collettiva per le devianze di pochi, ma con la garanzia di potersi esprimere e difendere nell’ambito di un “giusto processo”. In sostanza: cari maschi, se volete placare la furia femminista, che essendo nel giusto potrebbe sentirsi legittimata a togliervi dei diritti, dovete rassegnarvi a essere tutti portati metaforicamente alla sbarra per un regolare processo.
Folli teoremi femministi alla ricerca di legittimazione.
Piccolo, da fiancheggiatore delle femministe, sembra così sporgersi segretamente per bisbigliare un minaccioso avvertimento al “nemico”, verso cui finge di mostrarsi solidale. Sembra dire: «oh ragazzi, io queste le conosco… se non accettate il processo e la condanna, non si fermeranno e vi stermineranno!». Per evitare di arrivare a tanto, Piccolo si fa garante presso le femministe del fatto che il maschio avrà un giusto processo. Verrà condannato comunque, ma per lo meno potrà confrontare le sue tesi con quelle dell’accusa, il che è già qualcosa rispetto al totale annientamento. In sostanza Piccolo prende per mano tutti noi portatori di maschilità tossica per condurci con garbo al cospetto del gigante femminista, davanti a cui dovremmo poi inginocchiarci e dire qualche parola di circostanza, in attesa della sentenza di condanna e dell’esecuzione. Il meccanismo, tanto somigliante al cavallo di Troia, è però più sottile di ciò che sembra. Lo scopo di Piccolo è un altro da quello apparente: nel momento infatti in cui l’androsfera si lasciasse impressionare dalla minaccia di queste novelle Turandot “dalla parte della ragione” e assetate di vendetta, e accettasse dunque di sedere a quel banco degli imputati, per quanto “garantista”, evocato da Piccolo, allora quello stesso tribunale, le sue procedure, la logica stessa sottesa all’accusa, troverebbero una legittimazione.
La logica sottesa è la solita, è il teorema fondante del femminismo tutto, dalla prima all’ultima ondata, dall’intersezionale al tradizionale: gli uomini hanno sempre oppresso le donne tramite la violenza, la cultura dello stupro e altri strumenti socio-culturali di predominio. I “maschi alfa” che oggi assumono comportamenti devianti sono figli di questo dato di fatto che tuttora perdura e che va cambiato. Ebbene, nel momento in cui l’androsfera accettasse di sottoporsi al giudizio supremo del femminismo, come Piccolo invita a fare, tutto quel teorema verrebbe automaticamente certificato come vero, o verosimile, o ragionevole. Qui sta la vera trappola tesa da Piccolo, probabilmente su mandato del femminismo nazionale. Che, diversamente da altri femminismi in altri paesi, pur tenendo saldamente buona parte delle leve del potere, non riesce a dilagare come previsto e desiderato. Questo perché alla prova dei fatti la maggioranza degli italiani e delle italiane, per quanto condizionata da una propaganda martellante, non si lascia irretire dalle sciocchezze murgiane o dagli estremismi boldriniani, che poi alla lunga mostrano bene di che pasta sono fatti. In aggiunta a ciò, il movimento di resistenza antifemminista in Italia è sempre più solido, strutturato e ascoltato. Il terreno italiano è sempre più arido per la grande menzogna del femminismo, che per questo necessita di una legittimazione, da ottenere anche sotto minaccia.
Francesco Piccolo, che tu possa vivere per sempre.
Questo è il trucco nascosto nell’articolo apparentemente progressista e diplomatico di Piccolo che, mettendo la sua firma, mostra chiaramente come il suo cognome gli si attagli alla perfezione. In questo scenario lui è infatti l’Efialte di Trachis della situazione: quell’individuo troppo (eticamente) deforme per fare degnamente parte di una comunità, quella degli uomini, da cui infatti si chiama fuori autodefinendosi maschio. Con quella qualifica si mette al servizio del più forte e minaccioso femminismo e da quella posizione spera di poter sfogare la propria frustrazione distruggendo la comunità stessa degli uomini nella quale mostra di sentirsi inadeguato. Che lo faccia perché crede veramente in ciò che dice o per continuare a produrre libercoli (editori come Einaudi ormai pubblicano solo autori che scrivano roba femminista o femministoide) importa poco. Lui è la mostruosità nana che si rivolge a Leonida supplicandolo di sottomettersi, insieme ai suoi 300 guerrieri, al re persiano Serse, che nella sua divina potenza è così generoso e misericordioso verso chi si inginocchia, mentre può travolgere senza pietà chi gli si oppone e non gli riconosce di avere ragione. Sappiamo come andò: il re spartano si rifiutò di legittimare l’invasore inginocchiandosi, combatté fino alla morte con i suoi guerrieri e il loro sacrificio innescò la reazione di tutta la Grecia unita, che respinse i persiani da dove erano venuti. Ma prima dell’epilogo Leonida ebbe il tempo di fare un augurio allo storpio Efialte: «che tu possa vivere per sempre». Così è stato: la figura del personaggio deforme (dal lato etico) vive ancora oggi.
È questa lezione storica che deve dettare la risposta degli uomini alla proposta di Piccolo. E la risposta è un puro e semplice no. Non perché gli uomini abbiano paura del processo, come lo stesso Piccolo suggerisce malignamente. Non siamo così infantili da farci attirare in trappola dall’accusa di essere codardi. Semplicemente gli uomini non riconoscono alcuna autorità né alcuna legittimazione a quel tribunale e ai capi d’accusa che muove. Di più: non riconoscono legittimità a un contesto da procedimento giudiziario, sebbene solo metaforico. Quello lo lasciamo a Francesco Piccolo e a quelli come lui. Ben intesi: comprendiamo che il femminismo possa avere delle recriminazioni, ma non gli concediamo la facoltà di avanzare accuse. Il nostro contesto è quello del confronto paritario, del consesso circolare dove la verità stia in mezzo, equidistante da ogni punto della circonferenza su cui uomini e femministe possono sedere con piena ed eguale legittimità, a confrontarsi sotto gli occhi di tutti. Da un siffatto dibattito si capirà se e verso chi si sposta il baricentro del vero. Gli uomini da tempo sfidano e invitano le femministe a questo tipo di confronto, ottenendo in risposta solitamente fughe rapide e istantanee. Nonostante ciò, a questo e solo a questo gli uomini sono e restano disponibili, non ad altro. Ciò farà infuriare le femministe inducendole a dilagare e a massacrare i diritti maschili ancor più di quanto già non capiti? E sia. Non temiamo la furia che Piccolo sbandiera come uno spauracchio. Facciano pure. Godranno del massacro di qualche centinaio di noi, ma si ritroveranno in breve un’intera Grecia di uomini e donne che insieme respingeranno il loro fanatismo e i loro teoremi malsani nel buco nero che li ha vomitati. Nel frattempo già ora possiamo guardare Francesco Piccolo negli occhi e dirgli: «che tu possa vivere per sempre».