Martedì 23 marzo, una mattina apparentemente ordinaria al Brauer College di Warrnambool, Australia. Ragazzi e ragazze vengono radunati per una lezione generale sul tema di molestia e aggressione sessuale, e rispetto verso le donne. Durante le attività viene proiettato il video di un discorso fatto una settimana prima da Mason Black, direttore del Brisbane Boys’ College (che ha totalizzato centinaia di migliaia di visualizzazioni online): in esso Black invita gli studenti ad «accettare l’esistenza di questa ingiustizia verso le donne e fare la propria parte per ristabilire la giustizia». Dichiara poi: «Avrei preferito crescere in un’Australia in cui non fosse vera la narrazione secondo la quale 1 donna su 3 subisce abuso fisico o sessuale durante la sua vita, ma purtroppo lo è. C’è bisogno di accettazione e rispetto, e questo, ragazzi, è responsabilità di noi tutti», e infine sprona gli allievi a «smettere di essere ragazzi per diventare umani». Come se i ragazzi, in virtù della grave colpa di essere nati maschi, non fossero propriamente, pienamente, esseri umani.
Gli allievi maschi del Brauer College sono stati poi fatti alzare in piedi «in un gesto simbolico di contrizione per tutti quei comportamenti del proprio genere che hanno ferito e offeso ragazze e donne». Naturalmente alcuni dei genitori di questi poveri ragazzi hanno protestato presso la scuola. Le testate locali riportano ad esempio la testimonianza di Danielle Shepherd, madre di un allievo dodicenne, che racconta: «Mio figlio non ha capito bene perché, ma gli hanno fatto chiedere scusa per cose che non ha mai fatto. Ne è rimasto scioccato. Ora ha quest’idea che tutti quanti considerino lui e gli altri maschi quali predatori o persone che vogliono aggredire sessualmente altre persone… diamine, ha soltanto 12 anni». La direttrice, Ms. Jane Boyle ha poi sentito il dovere di fare una pubblica dichiarazione di scuse: «benché attuata con buone intenzioni, riconosciamo che parte della lezione fosse inappropriata».
La gerarchia uomo-donna basata sulla violenza.
Ma ha anche difeso la necessità di iniziative del genere nelle scuole: «La scuola gioca un ruolo fondamentale nella promozione della sicurezza e del rispetto verso tutti gli studenti, e la discussione sul rispetto verso donne e ragazze è uno strumento chiave di questa promozione». In Europa e in Italia cose del genere sono lontane? Nient’affatto. Parole analoghe informano un report uscito lo scorso febbraio (2020) effettuato da Indire (Istituto nazionale su innovazione e ricerca educativa), col bollino del Dipartimento per le Pari Opportunità, dal titolo Gender School. Affrontare la violenza di genere, che illustra un progetto per la lotta contro la violenza di genere attraverso le scuole. Sia chiaro, l’intento di fare attività formative contro la violenza è positivo e incontra la nostra adesione. Se non fosse che l’impostazione generale del progetto si fonda su premesse decisamente sbilanciate, come già il nome stesso denuncia.
Si legge infatti nel documento INDIRE: «si è dato seguito alla richiesta di dare organicità al programma di contrasto della violenza di genere, riconoscendo priorità al potenziamento delle seguenti azioni: educare alle relazioni non discriminatorie nei confronti delle donne». Oppure: «Tutte le scienze hanno sempre parlato da un punto di vista androcentrico come se fosse costruito su misura di un unico individuo e essere umano con comportamento, fattezze e la genetica maschile […] La scuola deve ricostruire percorsi tortuosi della storia umana che hanno creato sofferenze inutili (si pensi al delitto d’onore o alla pratica delle infibulazioni) e utilizzare gli studi di genere» e ancora «Nella Convenzione di Istanbul […] il raggiungimento della parità uomo-donna è considerato un elemento fondamentale per prevenire la violenza di genere, a sua volta definita come uno dei meccanismi tramite cui le donne sono costrette in posizione subordinata rispetto agli uomini. Il ruolo della scuola è ritenuto, quindi, determinante dalla stessa Convenzione che ribadisce la necessità di includere nei programmi scolastici materiali didattici sul tema […] La Convenzione sottolinea, inoltre, come la presenza di modelli culturali che strutturano in maniera gerarchica il rapporto uomo-donna sia strettamente collegata alla violenza sulla donna in tutte le sue forme». Infine: «Fenomeni come il ricatto basato sulla minaccia di diffusione di materiale intimo (sextortion), la diffusione di materiale intimo senza il consenso dell’interessata (cd. revenge porn), lo stalking e le molestie online, non possono essere affrontate senza parlare di stereotipi, immagine della donna, rispetto». Pura ideologia antimaschile che pervade l’istruzione. Poi ci si stupisce se un numero crescente di stati esce dalla Convenzione di Istanbul.
Non tacere di fronte alla misandria.
Il tutto viene detto tralasciando che la misoginia online vede una folta partecipazione femminile così come i fenomeni dello stalking e del revenge porn. D’altra parte il femminismo diffonde da decenni l’idea che i maschi vadano “educati”, già nell’ambiente familiare, a riconoscere in sé i germi della violenza sulle donne e responsabilizzarsi in merito. Basta digitare su un motore di ricerca “come crescere un figlio femminista” o “educare i figli maschi a rispettare le donne” o simili, per ottenere una valanga di risultati, anche ospitati da testate autorevoli. Dal momento che i testi che girano in italiano sono perlopiù rielaborazioni di articoli in lingua inglese, citeremo due esempi di questi, per mostrarne ai lettori l’orrore intrinseco. In un articolo del 2016 sul Washington Post, intitolato “My teen boys are blind to rape culture”, Jody Allard racconta l’insofferenza dei figli nel sentire parlare di misoginia e di cultura dello stupro per l’ennesima volta, discorsi che ammette di far loro fin da quando erano bambini, e cui sono sempre stati (comprensibilmente) refrattari. «I miei figli, che odiano sentir parlare del loro status di privilegiati, ci si adagiano, come in una coperta, e accusano me di essermelo inventato. I miei figli sono parte del problema. Sono bravi ragazzi, ma non sono alleati nella battaglia contro la cultura dello stupro perché si rifiutano di riconoscere la loro colpevolezza quando danno della “troia” a una ragazza, o ridono per una battuta sessista, o restano in silenzio quando gli amici descrivono la loro discutibile condotta sessuale. E in questo sistema corrotto, chiunque non è con noi è contro di noi».
Oppure si veda l’articolo di Louisa Leontiades del 2018 intitolato “#MeToo: Will my son grow up to be a rapist?”. L’autrice confessa la sua angoscia nel notare segnali preoccupanti nel proprio figlio di 5 anni: «i suoi disperati tentativi di ottenere ragione quando ha palesemente torto, la sua indisponibilità ad ammettere alcuna responsabilità», comportamenti che la figlia femmina di 7 anni invece non mostrerebbe. «Per quanto io supporti ogni individuo che abbia subito violenza, il fatto è che sono le donne, 1 su 3, a subirla, e ad essere sincera non conosco personalmente nessuna delle “fortunate 2”. E se il comportamento predatorio è così pervasivo tra i maschi è statisticamente probabile che mio figlio, a un certo punto della sua vita, violerà qualcuno». La ferocia misandrica e ideologica di queste madri arriva fino a non risparmiare neanche i propri figli maschi dalla lista dei potenziali futuri stupratori. Estremismi? Può essere. Ma questi estremismi trovano una sempre più larga diffusione e connivenza sui media e sui social, e se qui in Italia siamo arrivati alle “veline di regime” su come trattare in tv e nei giornali il tema del “femminicidio” e della violenza di genere, quanto ci vorrà prima che qualcuno faccia alzare i nostri ragazzi nelle scuole per chiedere scusa alle ragazze per crimini mai commessi, come è accaduto pochi giorni fa nella super-civilizzata Australia? Occorre restare quanto mai vigili, e non restare zitti di fronte a ogni manifestazione di misandria, e “La Fionda” continuerà a fare la sua parte in questo.