di Roberta G. C’era una volta la madre, essere che incarnava la dolcezza, l’accoglienza, la morbidezza, la cura verso i più piccoli, per i quali sarebbe stata disposta anche a sacrificare la propria vita. Il suo ruolo nella società era chiaro, era ritenuto importante, rispettato: era colei che, con la sua dedizione e la sua pazienza, avrebbe contribuito a costruire la società del futuro, educando i cittadini che la avrebbero poi sostenuta e sviluppata. Poi è arrivato il femminismo: finalmente da quel momento le donne hanno potuto istruirsi, votare, emanciparsi, svalutare il proprio ruolo sfigato di madri e spose, ammazzare i loro fig…. ehm, abortire tutte le volte che volevano, finanche negare la propria natura, il proprio istinto di cura e tutto ciò che le rendeva tanto speciali, uniche, complementari all’uomo.
Ed è proprio grazie a tutto questo “empowerment” che oggi ci ritroviamo notizie come questa all’ordine del giorno. Le “madri” (appositamente virgolettato) che abusano dei propri figli, quasi sempre per ottenere un utile economico, sono in continuo aumento. Le donne che un tempo sarebbero state disposte a dare la propria vita per i loro figli, che si sarebbero fatte ammazzare pur di proteggerli, adesso ce le ritroviamo sempre più spesso in cronaca o nelle statistiche dei monitoraggi sulla pedofilia. E quasi non è possibile neanche colpevolizzarle, perché pare che oramai sia loro concesso tutto, c’è sempre una ragione per dover empatizzare con loro, perfino di fronte a questi orrori.
“Chi sei tu per giudicare?!”.
Episodi del genere sarebbero stati impensabili fino a qualche tempo fa, ma ora, nell’epoca in cui il ruolo delle madri è stato completamente svalutato, svilito e sminuito, non fanno quasi più scalpore. Alla donna è richiesto di liberarsi il più possibile del fardello (ovvero la maternità, i figli) che la ostacola nella sua realizzazione. La società sembra premiarla ed elogiarla solo quando è la “breadwinner”, solo se è incentrata il più possibile su se stessa e sul proprio individualismo. Il ruolo di cura e di dedizione gratuita che l’ha sempre caratterizzata va insabbiato il più possibile, per non deludere le aspettative di quest’epoca, delle amiche, delle madri.
Ed ecco che ci ritroviamo con episodi di violenza all’ordine del giorno: donne violente con le persone più fragili, proprio quelle categorie che dovrebbero avere l’istinto di proteggere (le violenze consumate all’interno di asili o case di riposo sono al 90% compiute da donne), quando non addirittura donne violente nei confronti dei propri figli. Notizie come questa delle “pedomamme” quasi non sconvolgono più, né possiamo lontanamente permetterci di avere qualcosa da ridire al riguardo senza doverci sorbire il solito: “Chi sei tu per giudicare?!”.
A farne le spese saranno sempre i più piccoli.
E si ritorna sempre lì, allo stesso punto: la donna si è voluta “liberare”, perché prendersi cura dei propri figli era diventato degradante, qualcosa che la faceva apparire inferiore agli occhi di una società che premia solo se produci. Le donne che danno tutte se stesse, senza ottenere qualcosa in cambio, sono oggi delle sfigate. Ed è in quest’ottica che perfino i figli (quando malauguratamente sono su questa terra) devono (per lo meno!) diventare un mezzo per poter guadagnare qualcosa. Il messaggio di episodi così e di come vengono raccontati sembra voler legittimare un ragionamento del tipo: “Ok, purtroppo questi bambini ormai ci sono, almeno li si utilizzi per guadagnarci”.
Fin quando il ruolo di madre non sarà rivalutato, finché le madri saranno viste come delle stupide perdenti che stanno sprecando la propria vita dedicandola in modo assolutamente gratuito (c’è bisogno di precisarlo, a quanto pare!) ai propri figli, finché le donne continueranno ad essere valutate solo in base a ciò che riescono a guadagnare e a come riescono a imporsi in un contesto sociale votato all’individualismo, all’utilitarismo e all’edonismo, episodi simili non faranno che diventare sempre più frequenti. E a farne le spese saranno sempre i più piccoli.