L’8 marzo scorso, tra le varie corbellerie donniste affermate qua e là, è spiccata per strabismo l’esternazione di Carla Garlatti, nominata a metà del novembre scorso Garante Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza. Sottinteso tutta l’infanzia e l’adolescenza, non solo una parte. Eppure nel giorno della Festa della Donna la Garlatti ha voluto chiarire quanto parzialmente sembri interpretare il suo impegno. «È tempo di introdurre nei programmi scolastici i temi relativi all’educazione all’affettività e alla parità di genere», ha dichiarato. «Il rispetto nei confronti delle donne, dei loro diritti e delle pari opportunità si impara da piccoli e va coltivato nel tempo». Quello nei confronti degli uomini, dei bambini, degli anziani, degli animali, di qualunque essere vivente no, non è prioritario, sono tipi di rispetto di serie B, che devono cedere il passo a quello nei confronti delle donne. Un messaggio di per sé spaventoso, che non smette di essere tale solo perché paga pegno a una giornata commemorativa. Tra le tante cose belle e importanti che si potevano dire, magari auspicando che si insegni a bambini e bambine che la reciproca conflittualità è sbagliata, oltre che contro-natura, la Garlatti sceglie la corbelleria più grossa, raccogliendo gli scontati applausi dell’ampia platea nazionale, troppo conformista e indottrinata per comprendere la portata discriminatoria delle sue parole.
Purtroppo però l’8 marzo, come il 25 novembre, fa sentire molte rappresentanti delle istituzioni autorizzate a spingere l’esibizione del loro settarismo oltre il limite del tollerabile e la Garlatti non sembra aver fatto eccezione. Godetevi per intero il prosieguo della sua esternazione al profumo di mimosa (corsivi nostri): «La pandemia ha fatto emergere fenomeni preoccupanti. Durante il lockdown le chiamate al 1522, il numero antiviolenza del Dipartimento per la famiglia e le pari opportunità, sono cresciute in una misura che non ha paragone negli anni precedenti. A tale aumento, come ha rilevato l’Istat, non è corrisposto tuttavia un incremento delle denunce. Non solo bisogna costruire sin da bambini una cultura della parità di genere, ma è indispensabile anche insegnare a non avere paura o vergogna di denunciare». Una frase non lunga ma densissima di errori. Vediamoli brevemente uno ad uno. Primo: l’aumento delle chiamate al 1522. Abbiamo trattato l’argomento più volte: si tratta del conteggio dei “contatti” ricevuti, inclusi gli scherzi telefonici o le chiamate che chiedono mere informazioni (che lo stesso Telefono Rosa ammise anni fa essere parecchi). Non solo: il numero non indica quante donne hanno chiamato, ma quante sono state le chiamate ricevute. La stessa donna che chiama cento volte conta per cento contatti, e non è possibile verificare se accade perché le persone chiamanti restano anonime e nessuno verifica o certifica i dati forniti dai gestori del 1522. Last but not least, chi gestisce il 1522 ha tutto l’interesse a fornire dati da emergenza nazionale, da cui dipendono i ricchi finanziamenti che tengono in piedi strutture, alimentano clientele e posti di lavoro. In altre parole i dati di chi gestisce il 1522 sono inquinati da un lampante conflitto d’interesse, che induce alla sovrastima. Come tali, valgono quanto quanto ciaccole di portineria. Anzi forse meno.
Un rafforzamento della penetrazione del teorema diabolico anche nelle scuole.
Secondo: a conferma di quanto appena detto, quel profluvio di contatti non si è mai concretizzato in passato in un proporzionale profluvio di condanne, che anzi viaggiano su livelli risibili (meno di 5.000 uomini condannati all’anno, dati del Ministero della Giustizia) posizionando l’Italia tra i paesi più sicuri d’Europa e forse del mondo per tutti, donne incluse. Tanto meno nel 2020, per stessa ammissione della Garlatti, si sono concretizzate in altrettante denunce. Una persona dotata di un pensiero non deviato dall’ideologia concluderebbe senza timori che i dati del 1522 sono palesemente inaffidabili e gonfiati, anche sulla scorta di quanto accertato di recente dal CSM prima e dal Viminale poi. La Garlatti trae invece la conclusione che questo accade perché le millemila donne che chiamano il 1522 hanno paura o vergogna a denunciare. Ben intesi: può essere che, in determinati contesti, alcune possano trovarsi in quelle condizioni, non si può negare, ma difficilmente si tratta di una maggioranza di donne. Per il semplice motivo che la rete di assistenza e protezione per le donne in Italia è radicata ovunque e diffusa in modo capillare, pubblicizzata più di ogni altro servizio di carattere sociale a disposizione della cittadinanza, con tanto di forze dell’ordine ormai da anni indottrinate proprio da quella rete antiviolenza ad attivarsi immediatamente al primo gemito vagamente addolorato di una fanciulla. Una donna che si trovi vittima di violenza ha l’imbarazzo della scelta nel cercare possibilità di sostegno, tutte reclamizzate con un martellamento ossessivo e inviti incessanti a denunciare, denunciare, denunciare. Inviti che nella maggior parte dei casi vengono colti, tanto che si conta (dati del Ministero dell’Interno) una media di 50 mila denunce all’anno di donne contro uomini per reati tipicamente rientranti nella “violenza contro le donne”. Tutte poi nella gran parte archiviate o esitate in assoluzione (perché in gran parte false e strumentali), d’accordo, in ogni caso dire che le donne italiane hanno “paura” o “vergogna” a denunciare significa far finta che i dati reali non esistano.
Terzo: l’elemento più grave di quella frase della Garlatti è il periodo finale, dove auspica un vero e proprio indottrinamento nelle scuole, affinché si insegni alle bambine a denunciare, denunciare, denunciare. Un insegnamento da somministrare alla presenza dei compagni maschi, cosicché sviluppino da subito un potente senso di colpa e una paura profonda nel rapportarsi con quella superpotenza chiamata “donna”. E tutto questo viene beffardamente definito un impegno per “la parità di genere”. È probabile che la Garlatti arriva a dire ciò che ha detto perché in cuor suo abbraccia senza riserve il teorema femminista della persecuzione. Quello, ricordiamolo, secondo cui da secoli e secoli l’uomo, di per sé biologicamente inferiore alla donna, si è organizzato per imporre con la forza un sistema dove le donne, per natura superiori, potessero essere depotenziate, sfruttate, oppresse. Un sistema organizzato e strutturato che perdura ancora oggi, per ribaltare il quale si impone una forma di rivalsa con relativo ottenimento di un risarcimento pressoché eterno. Un processo che implica di fatto un’oppressione dell’uomo in quanto essere inferiore e per sua natura carnefice, e un’elevazione della donna da vittima predestinata a protagonista del mondo. Dalla lotta di classe alla lotta di genere, insomma o, se si vuole, dalla guerra all’internazionale ebraica alla guerra al patriarcato, cambia davvero poco. Un teorema falso alla radice, per ciò stesso capace di condurre a conclusioni distruttive, ma che pure ha ormai attecchito, normalizzandosi ad ogni livello.
Un’istituzione del tutto parziale.
Ma, come sempre, dulcis in fundo. La Garlatti ha inteso produrre un capolavoro per l’8 marzo, ed ecco allora come conclude la sua esternazione d’ordinanza: «La pandemia ha ridotto le occasioni di socialità e le opportunità di dialogo con gli insegnanti: si tratta di un effetto preoccupante, poiché potrebbero essere sfuggite situazioni di difficoltà che hanno coinvolto minorenni. Non penso solo alle violenze psicologiche e fisiche, ma anche altri gravi fenomeni dei quali sono vittime bambine e ragazze come ad esempio i matrimoni forzati». In sostanza per la Garlatti durante il lockdown si è tenuto in totale segretezza un numero imprecisato di matrimoni forzati coinvolgenti minorenni (sottinteso tutte bambine, ovviamente). Intendiamoci: si tratta sicuramente di una fattispecie esecrabile, su questo non ci piove, ma vale la pena chiedersi quale sia la sua incidenza reale. Insomma, se ne parla la nuova Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, deve avere proporzioni dilaganti! Ebbene, ovviamente no. E basta leggere il report della Polizia di Stato pubblicato nel novembre scorso (ne abbiamo parlato qui) per scoprire che in un anno ci sono stati la bellezza di 11 casi di matrimoni forzati, di cui 7 con vittime femmine e 4 con vittime maschi. Ribadiamo: di per sé si tratta di un reato grave, fortunatamente sanzionato dal nostro codice, ma dal lato numerico si può ben dire che siamo enormemente al di sotto di una soglia fisiologica, anche considerando la presenza di persone immigrate sul nostro territorio (è fra gli immigrati che, soprattutto, si verificano situazioni di matrimonio forzato).
Insomma quando si dice che “un bel tacer non fu mai scritto”, forse si pensava in prospettiva proprio a rappresentanti istituzionali come la Garlatti, che nella sua uscita da 8 marzo ha detto più cose sbagliate di quanto Michela Murgia riesca a dire in tre mesi. Abbiamo trattato di recente, con grave preoccupazione, la penetrazione sempre più profonda del femminismo all’interno dell’educazione e dell’istruzione scolastica e quello che dovrebbe essere un baluardo contro il settarismo ideologico nell’istruzione, appunto il Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, si mostra invece del tutto proclive a quel tipo di penetrazione, tanto da auspicarla con argomentazioni basate su dati distorti o irrilevanti, per di più interpretati in modo strumentale. Tanto da farci pensare che lei, come già tante altre nel nostro paese, incarni un’istituzione del tutto parziale. Una Garante ideologicamente schierata a favore soltanto di una metà dell’Infanzia e dell’Adolescenza?