La notizia piomba stamattina come un regalo dal cielo per chi ha trasformato l’8 marzo da “Festa della Donna” in mobilitazione contro la violenza di genere, a mo’ di clone del 25 novembre: Pierluigi Barbieri, sospettato di essere il sicario pagato per sopprimere Ilenia Fabbri, ha confessato. È effettivamente lui l’assassino della donna e il mandante, così asserisce il Barbieri stesso, è Claudio Nanni, l’ex marito di Ilenia. Si confermano così le ipotesi investigative che hanno preso corpo pochi giorni dopo il delitto. Un’ipotesi che noi non abbiamo mai nascosto di giudicare pochissimo convincente, per una molteplicità di aspetti che, per la verità, ci lasciano profondamente perplessi ancora adesso, pur di fronte a una confessione. Barbieri viene descritto come un energumeno di un metro e novanta, “picchiatore su commissione” e per questo anche avanzo di galera. Eppure, stando alle ricostruzioni lette fino a qualche giorno fa, non sarebbe stato capace di avere la meglio su una donna, tanto da farsela scappare e da doverla inseguire per casa prima di riuscire a ucciderla.
Non solo: la premeditazione dell’ex marito, a questo punto, risalirebbe a molti mesi, forse anche anni fa. Uno scenario che ci è parso poco credibile, così come la contraddizione tra l’essersi studiato un alibi apparentemente di ferro, con il viaggio in macchina assieme alla figlia, e l’idiozia di dare via libera al killer mentre in casa era presente un’altra persona (la compagna della figlia), per di più con l’uso di una macchina di proprietà dell’assassino e senza tener conto delle telecamere sparse in città. Infine, forse perché ingenui, ritenevamo troppo debole il movente di qualche decina di migliaia di euro in ballo in una causa di lavoro per condurre a un delitto architettato da un uomo che, stando per lo meno alle sue manifestazioni pubbliche tramite i social network, sembrava vivesse un’esistenza tutto sommato serena e appagata. Evidentemente siamo stati tratti in inganno da quel “rasoio di Occam” che più volte abbiamo sollecitato gli inquirenti a utilizzare. Stavolta la soluzione non era quella più semplice: la morte della donna, infatti, avrebbe avvantaggiato la figlia Arianna, cui andranno le proprietà di Ilenia. Questo ci ha indotti a guardare con sospetto proprio la figlia e la sua compagna, più che Claudio Nanni. L’assenza di impronte estranee in casa e la presenza della compagna insieme alla vittima ci hanno rafforzati nella propensione verso questo tipo di sospetto, di cui ora non possiamo che scusarci verso le interessate, esprimendo loro sincera vicinanza.
Due punti restano comunque fermi.
Ammettiamo dunque l’errore e a questo punto auspichiamo che mandante ed esecutore materiale vengano giudicati con la massima severità prevista dalla legge. Tuttavia due punti specifici del nostro ragionamento restano fermi. Primo: ora sì, si può dire che Claudio Nanni è colpevole della morte di Ilenia Fabbri. Di fronte a una confessione è lecito farlo, anche senza attendere una sentenza. Questo significa che prima no, non era lecito, né in termini di logica né in termini etici. Eppure abbiamo assistito a un vero e proprio massacro mediatico di Claudio Nanni, processi sommari tenuti sulle pagine di tutti i media e sui social, con tanto di immagini del suo arresto date in pasto all’opinione pubblica, contro ogni prassi, contro ogni decenza, tanto da suscitare l’indignazione dell’Unione delle Camere Penali Italiane. Non è importante che Nanni risulti ora davvero colpevole. Non è degno di un paese civile che tali livelli di gogna mediatica si inneschino e dilaghino in modo così dirompente. Aggiungiamo noi: solo ed esclusivamente quando il bersaglio è un uomo. Prova ne sia che la donna di Milano che ieri ha soppresso la propria figlia di due anni è in queste ore trattata con i guanti da tutti i media e da tutti i commentatori sui social, intenti per lo più a colpevolizzare il padre in ogni modo possibile. Nei nostri interventi precedenti sulla vicenda di Ilenia Fabbri mettevamo in dubbio, è vero, la colpevolezza di Claudio Nanni, ma soprattutto sottolineavamo la vergogna di questo modo di fare informazione. Ed è un punto che resta valido, anche a confessione resa.
Il secondo punto riguarda la classificazione del delitto, che fin dall’inizio è stato definito “femminicidio”, e come tale inserito in ogni elenco disponibile e in tutta la retorica conseguente. Al “femminicidio” e alle falsificazioni che si imperniano sulla sua non-definizione abbiamo dedicato un’intera settimana, osservando con quanta sfacciataggine negli elenchi relativi vengano inseriti casi che con il predominio maschile, la maschilità tossica, la gelosia, il possesso, l’oppressione patriarcale, l’incapacità di accettare rifiuti o separazioni non hanno nulla a che fare. Perché, cercando un fattore comune delle decine di definizioni diverse di “femminicidio”, questo si trova: esso si identifica per un movente che ha a che fare con la percezione distorta dei ruoli di genere. La stessa boss nazionale del femminismo, Michela Murgia, distingue in questo senso tra “omicidi di criminalità comune” e “femminicidi”. Ebbene, Claudio Nanni (e ancor più Pierluigi Barbieri) ha ucciso per una questione di interesse, per motivi economici. Non voleva essere costretto a pagare all’ex moglie i soldi che questa esigeva nell’ambito di una causa di lavoro. Non l’ha fatto per gelosia o possesso: l’abbiamo testimoniato, al momento aveva una relazione con una ragazza bella e giovane, si era rifatto una vita, erano passati anni dalla separazione, dunque il movente che un tempo si sarebbe detto “passionale” non poteva esserci. Era questione di soldi, solo di soldi. Avrebbe agito uguale anche nei confronti di un ex socio di sesso maschile. Nei nostri interventi precedenti non abbiamo mancato di dirlo: quand’anche Nanni fosse colpevole, non è femminicidio. E pure questo è un punto che resta valido, anche a confessione resa.